RICCIOTTI, Nicola
RICCIOTTI, Nicola. – Nacque a Frosinone l’11 giugno 1797 da Luigi e da Angela Ferretti.
La famiglia, radicata nella provincia frusinate, formata da professionisti e proprietari, era stata coinvolta dall’intensa fase di cambiamento politico e istituzionale che aveva interessato lo Stato pontificio nei due decenni precedenti. Durante la Restaurazione la carboneria intercettò le conseguenze di questa profonda politicizzazione, raccogliendo al suo interno radicali e liberali, ex militari e funzionari dell’Impero, collegando le questioni locali ai problemi italiani ed europei. La rete familiare dei Ricciotti, tra Roma e Napoli, era spesso inserita nell’organizzazione segreta.
Nicola, e i due fratelli Domenico e Giacomo, avevano una solida posizione economica. Il primo, gestendo attività commerciali e proprietà nel Frusinate, ampliò la sua impresa al settore della sartoria sposando nel 1817 Rosaria Reali. Tutti i fratelli furono però affascinati dall’atmosfera cospirativa, e dall’ambizioso ruolo che sembrava offrire la carboneria ai giovani della loro generazione. Decisero di passare alla militanza politica. Nicola, come molti suoi coetanei, ne fece rapidamente una scelta di vita.
La carboneria era il luogo di sperimentazione di nuove forme organizzative, rituali simbolici, progetti ideologici, oltre che di commistione con interessi e odi provinciali e familiari. I Ricciotti giunsero subito al vertice dell’organizzazione (Nicola era maestro ricevitore, responsabile della cassa e del reclutamento di nuovi associati). Furono tra i promotori di uno dei confusi tentativi di insurrezione che seguirono la rivoluzione napoletana del luglio del 1820. Il progetto dei rivoltosi mescolava ambizioni locali (l’adesione della provincia alle Due Sicilie) e richieste costituzionali. Si risolse in un nulla di fatto. Pochi giorni dopo furono arrestati alcuni capi, tra cui Nicola Fabrizi di Torrice e il fratello Domenico. Molti altri, tra cui Nicola e Giacomo Ricciotti, fuggirono a Pontecorvo, territorio pontificio, dove si era formato un governo provvisorio costituzionale. Solo poche settimane più tardi gli austriaci invasero il Napoletano. Gli esuli frusinati seguirono quindi l’armata di Guglielmo Pepe, che fu però facilmente sconfitta dagli asburgici.
Nicola e il fratello tornarono nello Stato pontificio, con la speranza di un perdono. Invece furono imprigionati. Fecero così l’esperienza dei processi politici che marcarono diverse generazioni risorgimentali. Nicola Ricciotti e Fabrizi furono condannati a morte (poi commutata in detenzione perpetua), i loro fratelli ad altre pene. Nella fortezza di Civita Castellana passarono quasi dieci anni in condizioni durissime, che tra l’altro nel 1827 provocarono la morte di Giacomo Ricciotti. Nicola lesse e trascrisse libri, cercando di consolidare la propria formazione culturale e politica da autodidatta. Nel 1831 ottenne di lasciare il Regno per l’esilio. Si inserì rapidamente nell’ambiente di rivoluzionari internazionali che contribuirono a formare una nuova identità panitaliana. Fu in Corsica, conobbe Giuseppe Mazzini, coltivò nuovi obiettivi radicali. Tornò in patria per ricostruire le fila cospirative utilizzando i consolidati rapporti familiari e le amicizie sparse tra le province romane e napoletane. Si avvicinò alle reti mazziniane in Italia e Francia, conobbe Giuseppe Garibaldi e poi, con il suo gruppo, decise di aderire all’organizzazione repubblicana, pur mantenendo autonomia operativa.
Nel 1835, con altri italiani, come Fabrizi, Manfredo Fanti, Enrico Cialdini, Francesco Anzani, conobbe l’esperienza delle guerre civili ottocentesche, dove si mescolavano carriere militari, scelte politiche, appartenenze ideologiche. Tentò il mestiere delle armi in Spagna, come ufficiale in un battaglione di tiratori della Navarra, combattendo per oltre cinque anni contro i carlisti a favore del regime liberale isabellino. Lasciò la penisola iberica solo nel 1841, dopo aver ottenuto riconoscimenti e una certa fama nell’ambiente rivoluzionario. Subito riprese l’attività politica. Fu coinvolto dalla politica mazziniana, ma senza trascurare il proprio retroterra provinciale. Ricciotti era tra coloro che contribuirono a cambiare il profilo politico dei gruppi di opposizione sui territori, viaggiando in Italia e in Europa e contemporaneamente creando reti attraverso contatti familiari e personali.
Il movimento repubblicano sperava in una grande rivolta provocata da iniziative eroiche e coraggiose. Anche Ricciotti era partecipe di quei meccanismi di esaltazione e depressione, entusiasmo ideologico e trasfigurazione della realtà, propri dei gruppi clandestini. Nel 1844 l’ennesima piccola insurrezione napoletana, a Cosenza, illuse i mazziniani. Ricciotti, dopo un incontro a Londra con Mazzini, decise di raggiungere a Corfù i fratelli Attilio ed Emilio Bandiera, due nobili veneziani, disertori della Marina asburgica, esaltati dalle idee del patriottismo rivoluzionario panitaliano. La sua scelta, secondo Mazzini, fu del tutto autonoma. Era forse motivata dalla volontà di collegare una possibile spedizione nel Regno delle Due Sicilie con una più ampia rivoluzione italiana, alla quale Ricciotti lavorava nello Stato pontificio.
Nel frattempo la sommossa di Cosenza era stata facilmente sconfitta. Il gruppo partì comunque da Corfù, composto da una ventina di rivoluzionari. Ricciotti volle unirsi alla spedizione e ne condivise il comando con i due fratelli veneziani. Il 16 giugno sbarcarono in Calabria alla foce del fiume Neto. Si resero conto che non c’era nessuna insurrezione in corso, ma decisero di proseguire verso Cosenza, forse con il parere contrario proprio di Ricciotti. Uno di loro, il corso Pietro Boccheciampe, convinto del fallimento, lasciò il gruppo, raggiunse un posto di polizia e raccontò tutto sull’impresa. Gli altri, affrontati poco dopo da un reparto di guardia urbana di San Giovanni in Fiore, furono facilmente sconfitti e catturati. Il re Ferdinando II volle un giudizio severo. I superstiti furono giudicati da un tribunale di guerra che decise pene durissime: i capi e altri sei furono condannati a morte, gli altri al carcere duro. Emilio Bandiera, poco prima dell’esecuzione, scrisse una lettera ai genitori in cui sostenne che erano stati loro, e non il vecchio carbonaro, a determinare le scelte che avevano portato al tragico epilogo. I Bandiera, Ricciotti e gli altri furono fucilati vicino a Cosenza, nel Vallone di Rovito, il 25 luglio 1844.
Diventarono un mito del movimento mazziniano e della rivoluzione europea. Nel 1847 Garibaldi, in segno di ammirazione, volle chiamare Ricciotti il quarto figlio. In seguito, dopo l’unificazione, la storia della spedizione si trasformò in uno dei simboli più importanti della rielaborazione delle radici del nazionalismo panitaliano.
Fonti e Bibl.: G. Mazzini, Ricordi dei fratelli Bandiera, Parigi 1845; L.C. Farini, Lo Stato romano dal 1815 al 1850, Firenze 1863, passim; G. Ricciardi, Storia dei fratelli Bandiera e consorti, Firenze 1863, passim; F. Visconti Venosta, I fratelli Bandiera, Milano 1863; S. De Chiara, I martiri cosentini del 1844, Roma 1904; R. Pierantoni, Storia dei fratelli Bandiera e dei loro compagni martiri in Calabria, Milano 1909; T. Palamenghi-Crispi, Giuseppe Mazzini. Epistolario inedito. 1836-1864, Milano 1911, ad ind.; L. Carci, La spedizione e il processo dei fratelli Bandiera, Modena 1939; S. Meluso, La spedizione in Calabria dei fratelli Bandiera, Soveria Mannelli 2001; G. Galasso, Storia del Regno di Napoli, V, Il Mezzogiorno borbonico e risorgimentale (1815-1860), Torino 2006, ad ind.; M. Isabella, Risorgimento in esilio. L’internazionale liberale e l’età delle rivoluzioni, Roma-Bari 2011; Su Ricciotti: G. La Cecilia, N. R., Torino 1852; O. Fortuna, Martiri e patrioti del circondario, Frosinone 1890, passim; A. Fortuna, Nella inaugurazione del monumento a N. R. martiri e patrioti della regione, Frosinone 1910; A. Vannucci, I Martiri della libertà italiana, Firenze 1932, ad ind.; G.L. Munno, N. R., Roma 1936; D. Ricciotti, N. R. e il Risorgimento nazionale: il caso Frosinone, Frosinone 2004.