PAVONCELLI, Nicola
PAVONCELLI, Nicola. – Nacque a Napoli il 30 marzo 1860, secondo dei tre figli di Giuseppe (1836-1910) grande agrario e politico, e di Maria Teresa Cannone figlia di Nicola, un ricco e noto speculatore granista.
Entrambi i genitori erano originari di Cerignola (Foggia) e legati per tradizione al commercio del grano. Il padre, Giuseppe, aveva creato un vasto patrimonio avviando in Capitanata un processo di trasformazione delle colture, dei sistemi di conduzione e dei mezzi di produzione in senso capitalistico; liberale conservatore, deputato dal 1874 fino alla morte (tranne la legislatura XIII 1876-80), ministro dei Lavori pubblici nel 1897 (IV governo Di Rudinì), legò il proprio nome alla realizzazione dell’Acquedotto pugliese.
Il 7 marzo 1883, a Napoli, sposò la giovanissima Giulia Monaco dei principi di Arianello (n. 1865), figlia di Augusto e di Donna Giulia Romaldo, che gli portò in dote un palazzo di cinque piani sito in via Chiaia. Dal matrimonio nacquero otto figli: Maria (1884), Giuseppe (1885), Giulia (1887) Demetria (1888), Augusta (1890), Federico (1896), Gaetano (1900) e Antonio (1903).
Professionalmente, Pavoncelli si impegnò innanzitutto nella gestione del rilevante patrimonio familiare, sia in relazione ai cospicui possedimenti terrieri (stimati attorno ai 12.000 ettari circa) sia all’industria di trasformazione vinicola e olearia; ma si distinse presto come un abile imprenditore introdotto nelle maggiori iniziative finanziarie e industriali del suo tempo.
Il ruolo della famiglia di origine fu determinante per la sua carriera. Assieme ai due fratelli creò un sistema di attività basato su una divisione di ruoli interconnessi: Federico (n. 1858) avvocato, residente a Cerignola si impegnò più direttamente nella gestione della casa commerciale; mentre lui e il fratello Gaetano da Napoli, si occupavano dell’amministrazione del vasto patrimonio finanziario, immobiliare e imprenditoriale. Il padre, poi, svolse un ruolo cruciale nella sua affermazione nel mondo della finanza italiana, almeno fino alla più decisa svolta personale della metà degli anni Novanta.
Inserito ben presto in alcune iniziative imprenditoriali tramite la ditta del padre, Nicola partecipò con quest’ultimo, nel 1883, alla fondazione della Banca Commerciale di Torre Annunziata (Napoli) della quale divenne contestualmente revisore dei conti (sindaco). Due anni dopo entrò a far parte della Federico e Giuseppe Pavoncelli padre e figlio (nata dalla disciolta omonima società, formata tra il padre e il nonno Federico dal 1860 al 1882), società per il commercio di grani, vini, oli, e altro – associandosi al padre, allo zio Gaetano e al fratello Federico – alla quale anni dopo (1906) si sarebbe unito anche il fratello Gaetano (la società si sciolse poi nel 1916). Nel 1886, Nicola seguì il padre nella costituzione di una propria banca in forma di società anonima, il Credito Agricolo di Cerignola.
Parallelamente all’ingresso nel mondo della finanza, sviluppò forti interessi nell’attività di compravendita immobiliare, consolidando il proprio patrimonio personale. Nel decennio 1881-91 intraprese una serie di operazioni di acquisto di suoli edificabili, appartamenti e locali commerciali a Napoli (principalmente nella zona di piazza Vittoria, via Caracciolo, Santa Lucia e via San Giacomo), rivenduti poi a costruttori, banchieri e società.
Il punto di svolta nella carriera di Pavoncelli fu rappresentato dal legame con la Banca d’Italia risalente alla nascita di questa nel 1894: subentrando al ruolo del padre nella ex Banca nazionale nel Regno d’Italia (l’istituto predecessore nonché il perno principale sul quale si costituirà la Banca d’Italia), fu nominato reggente della sede napoletana, mantenendo la carica fino alla morte. Dal 22 marzo 1902, approdò al Consiglio superiore, il massimo organo di governo della stessa banca, divenendone poi presidente dal 1924 al marzo 1927 e vicepresidente pochi mesi prima della morte.
L’inizio del rapporto con la Banca d’Italia segnò l’intensificarsi dell’impegno di Pavoncelli nel settore bancario e finanziario. Da quel momento, e fino alla morte, acquisì partecipazioni – sia in nome proprio sia per conto della ditta di famiglia – in moltissime società italiane ed estere operanti nei settori più disparati di attività e in molte di esse ricoprì cariche di rilievo.
Nel 1899, sempre tramite la ditta Federico e Giuseppe Pavoncelli padre e figlio, partecipò alla costituzione della Società anonima Elba di miniere e altiforni con la sottoscrizione di un pacchetto azionario di 3200 azioni (L. 800.000, pari al 5,3% del capitale) e alla costituzione della Società coloniale italiana, con sede a Milano, finalizzata all’attività commerciale con Abissinia, Somalia Francese, Kenya eccetera. Nel 1901, insieme ai Mylius, ai Manzi, alla ditta Zaccaria Pisa, al Credito italiano e ad altri, la ditta Pavoncelli sottoscrisse una quota del capitale della costituenda Società anonima delle miniere dello Uollega, con sede ad Anversa, per lo sfruttamento di una concessione aurifera in Etiopia. Nello stesso anno, divenne socio in nome proprio della Nuova cooperativa case, costituita a Genova, dalla quale acquistò – a condizioni agevolate – un intero edificio dell’isola D della galleria Umberto I di Napoli, rivenduto poi negli anni successivi. Nel 1907 i Pavoncelli furono gli unici italiani, insieme ai Piaggio, a partecipare alla costituzione della società Union des mines marocaines. Nicola rivestì inoltre la carica di consigliere di amministrazione in molte società tra cui: la Società agricola lombarda (Milano); Fondiaria vita (Firenze); Navigazione generale italiana (Roma); Società meridionale dei magazzini generali (Napoli); Società frutta Bonvicini (Massalombarda), Reale grandine (Bologna).
Già nel 1905, del resto, i Pavoncelli erano stati tra i fondatori della Società agricola industriale creata a Milano per la realizzazione dei lavori della bonifica integrale e per la trasformazione fondiaria dei terreni in Italia e all’estero. Due anni dopo, la società aveva modificato il proprio statuto assumendo la denominazione di Fondi rustici-Società agricola industriale italiana e deliberato il trasferimento a Roma. Nel formare il CdA della nuova società, l’allora direttore generale della Banca d’Italia Bonaldo Stringher sostenne fortemente l’entrata di alcuni consiglieri tra cui Nicola Pavoncelli.
Negli anni a cavallo della Grande Guerra entrò nei CdA di società milanesi (Società Bancaria italiana e Banca italo-britannica) e romane (Società nazionale servizi marittimi, Compagnia generale delle industrie agricole meridionali e Società bonifiche pontine). Dal 1913 rivestì la carica di consigliere dell’Assonime (Associazione fra le società italiane per azioni) e nel 1916 entrò nel comitato di vigilanza della sede di Napoli del Banco di Roma.
Ancora, dal 1919, fu – insieme ad altri otto membri tra cui Stringher, Alberto Beneduce e Nicola Miraglia – nel Consiglio dell’Opera Nazionale Combattenti, ente istituito nel 1917 con la duplice finalità di riavviare il mercato del lavoro subito dopo la guerra e di incrementare la produttività del sistema agrario, dominato, soprattutto nel Mezzogiorno, dal latifondo a coltura estensiva. Ma Nicola fu anche vicepresidente di: Fondiaria incendi (Firenze), Istituto italiano di credito fondiario e Società meridionale di macinazione (Napoli).
Il crescente prestigio nel mondo imprenditoriale, la collaudata esperienza nel settore del commercio e il ruolo in Banca d’Italia, gli valsero – all’indomani della Grande Guerra – anche la designazione a Consigliere della Sezione italiana della camera di commercio internazionale, costituita a Parigi nel 1919, per promuovere l’apertura degli scambi e gli investimenti internazionali dopo gli sconvolgimenti del conflitto.
Con la fase politica apertasi con la marcia su Roma (1922), la carriera di Nicola Pavoncelli ebbe ulteriore slancio. Sollecito nell’«iscriversi nelle file dei gregari» di Mussolini (ASBI, Banca d’Italia, Segretariato, pratt., b. 512, C. Fraschetti, Commemorazione di N. P., p. 150), egli visse in realtà solo la prima fase del fascismo.
Il periodo si aprì con un forte smobilizzo del patrimonio immobiliare personale (per 1,5 ml di lire): tra il 1922 e il 1924, alienò l’intero palazzo di via Chiaia portato a suo tempo in dote dalla moglie; l’edificio di via San Giacomo 29 – sua precedente abitazione prima della residenza definitiva alla Riviera di Chiaia – e una parte della vastissima proprietà di Posillipo, inclusa parte dello scoglio di Frisio.
Nel 1923, Pavoncelli entrò nel CdA del Giornale d’Italia che, sotto la direzione di Emilio Borzino, inaugurò una linea politica favorevole al nuovo regime. L’anno successivo, come già ricordato, divenne presidente del Consiglio superiore della Banca d’Italia: in tali vesti, si trovò a vivere le importanti riforme del 1926 (con il riconoscimento di banca unica di emissione) e la rivalutazione della lira (con il ritorno alla convertibilità).
Pavoncelli assunse al riguardo posizioni ampiamente coerenti con la sua tradizione di grande agricoltore e commerciante, allineandosi alle ragioni governative sul provvedimento che privava i banchi meridionali del privilegio di emissione, ed esprimendo invece forti perplessità rispetto al rientro della lira nel Gold Exchange Standard convinto degli effetti negativi sulla bilancia commerciale, oltre che sui prezzi e sui salari interni.
In quello stesso torno di anni, nel 1925 – con Comit, Credit, Banco di Roma e altri privati – entrò nell’azionariato (200.000 lire) della neocostituita Società mobiliare italiana; e divenne presidente della Società Autostrade meridionali e della Società funicolare centrale, entrambe con sede a Napoli e fondate rispettivamente nel 1925 e nel 1926. Profondo conoscitore della realtà meridionale, da presidente delle Autostrade meridionali, in un discorso tenuto al Primo Congresso per lo sviluppo economico nel Mezzogiorno del 1926, tracciò una lucidissima analisi del dualismo economico e dell’arretratezza meridionale denunciando la penalizzazione imposta da un sistema viario e ferroviario inadeguato, facendosi sostenitore presso il governo della costruzione dell’autostrada Napoli-Salerno-Reggio Calabria, il cui primo tratto sarebbe stato avviato tre anni dopo.
Nel 1925 era stato insignito dell’onorificenza di Grand’Ufficiale dell’Ordine della Corona d’Italia, riconoscimento che si andava ad aggiungere a quelli di Console di Romania a Napoli (1886), di commendatore (1910) e di membro dell’Ordinul Naţional ‘Steaua României’ (1920).
Pochi mesi prima di morire, tra il maggio e il settembre 1927, da vicepresidente del Consiglio superiore della Banca d’Italia, Pavoncelli operò da mediatore per il salvataggio della Banca generale della penisola sorrentina – impegnata nel finanziamento di molte società italiane – esercitando un’intensa opera di persuasione su Stringher e ottenendo per essa e la collegata Banca Biellese l’acquisizione da parte della Banca agricola italiana.
Morì a Napoli il 1° novembre 1927 nella sua villa di Posillipo.
Il funerale si svolse nella chiesa dei Pellegrini a Napoli, in forma semplice e privata, proprio secondo le sue volontà. Venne seppellito a Cerignola.
Fonti e Bibl.: Per la ricostruzione del patrimonio immobiliare: Napoli, Archivio della Conservatoria dei registri immobiliari, Atti di accettazione ereditaria e di compravendita, V Conto aa. 1860-1900; VI Conto aa. 1900-1930; su incarichi e iniziative: Roma, Archivio Storico della Banca d’Italia (ASBI), Banca d’Italia, Segretariato, regg., nn. 93, 97; ibid., Segretariato, pratt., nn. 102, 512; ibid., Sconti, pratt., n. 32, f. 1; ibid., Carte Stringher, n. 23, f. 1; ibid., Carte D’Aroma, n. 26, f. 4; ibid., Carte Beneduce, n. 131, f. 2 e 278, f. 79; ibid., CSVI, pratt., nn. 341, 684. Notizie provenienti dall’archivio familiare sono state gentilmente fornite da Cosimo Dilaurenzo.
Bollettino della Società africana d’Italia, a. X, fasc. 3, Napoli 1891, pp. 57 s.; International Chamber of Commerce, Proceedings of the first congress, Paris 1921, p. 173; O. Majolo Molinari, La stampa periodica romana dal 1900 al 1926: scienze morali, storiche e filologiche, I, Roma 1977, p. 351; L. De Rosa, Storia del Banco di Roma, II, Roma 1982-83, pp. 112, 466; L. Musella, Proprietà e politica agraria in Italia, 1861-1914, Napoli 1984, p. 57; A.M. Banti, Storia della borghesia italiana. L’età liberale, Roma 1996, p. 301; M. Lungonelli, Un passato industriale. Miniere e siderurgia all’isola d’Elba fra Otto e Novecento, Torino 1997, pp. 19, 43; G.L. Podestà, Il mito dell’impero. Economia, politica e lavoro nelle colonie italiane dell’Africa orientale, 1898-1941, Torino 2004, p. 123.