LEVOLI, Nicola (al secolo Remigio Enrico Policarpo)
Nacque a Rimini nel 1728 da Giacomo Nicola Policarpo, medico chirurgo, e da Anna Alda Maddalena Sarzetti (per i dati biografici si veda Muti, in Milantoni, 1990, pp. 95-111).
I genitori si erano sposati il 28 apr. 1716 e si erano stabiliti, dal 1721, in una casa nella parrocchia dei Ss. Giovanni e Paolo. Seguendo le orme del fratello Piergentile, il 29 genn. 1747, dopo aver fatto rinuncia ai beni, il L. vestì l'abito agostiniano a Bologna, nel convento di S. Giacomo Maggiore, assumendo il nome di Nicola. Nel 1762 il L. era già ascritto all'Accademia Clementina di Bologna e il 5 apr. 1765 concorse, presso la stessa accademia, al premio Fiori, vincendolo. La frequentazione dell'istituzione bolognese lo mise in relazione con Ubaldo Gandolfi, che dal 1761 era direttore di figura: tale rapporto è testimoniato da una Vergine Addolorata, di collezione privata, resa nota da Milantoni (1990, p. 44 n. 25), sul cui verso si trova la scritta "il P.e Leuoli Agos[…] / ritocco di Ubaldo Gandolfi / F[ec]it l'[ann]o 1766", e da un S. Agostino di Gandolfi, presso la collezione Molinari Pradelli a Marano di Castenaso, che reca invece l'iscrizione "Il Sig.r Ubaldo Gandolfi dipinse / Il Santo Agostino, e il / P. Leuoli i fiori", senz'altro allusiva a un'antica cornice floreale di mano del L., ora perduta. Anche l'opera Fiasco, panno e lonza, di collezione privata, pubblicata da Milantoni (1990, pp. 20 s. n. 2), rivela precise derivazioni dall'unica natura morta finora riconosciuta a Gandolfi, la piccola tela raffigurante un fiasco, pane e formaggio (ibid., p. 55 n. 29).
Oretti ricorda altre due opere sacre, oggi perdute, un ovato con la Madonna e s. Giuseppe nella chiesa della Resurrezione e un palio sull'altare di S. Nicola in S. Giacomo Maggiore a Bologna; mentre è stata rintracciata in S. Maria Maggiore a Castel San Pietro una Lapidazione di s. Stefano, dipinta per la chiesa bolognese di S. Bartolomeo, verso la fine degli anni Sessanta (ibid., p. 46 n. 26). La presenza del L. in questa città si protrasse almeno fino all'8 giugno 1769, quando firmò un atto nel convento bolognese; ma già il 26 agosto dello stesso anno celebrava la messa nella chiesa di S. Giovanni Evangelista a Rimini. Da allora risiedette nella città natale, presso il convento di S. Agostino, eccezion fatta per gli anni dal 1779 al 1787, quando il suo nome scompare dal libro delle messe. In seguito il L. fu di nuovo presente nel monastero fino alla soppressione, nel 1797, da parte del nuovo governo, insediatosi con l'occupazione francese della Romagna. Si trasferì poi a Rimini presso il convento dei minori osservanti, dove morì il 21 febbr. 1801.
La riscoperta dell'opera del L. nel campo della natura morta è stata avviata da Zauli Naldi (1961), che peraltro gli riferì tre tele della collezione Ongaro di Milano, in seguito restituite a Ludovico Soardi, un nobile riminese nato nel 1764, che riprendeva quasi alla lettera i soggetti levoliani (Milantoni, 1990, p. 15). Roli (1964), a sua volta, incrementò il catalogo del pittore con due nature morte, allora nella collezione Molinari Pradelli e in quella Zauli Naldi a Faenza (quest'ultima è oggi nella Pinacoteca civica), la cui autografia è stata messa successivamente in discussione (Milantoni, 1990, pp. 91 s. nn. 61, 65). Nuovi dipinti furono pubblicati da Frisoni (1979), da Volpe (1981), da Consigli Valente (1987) e da Milantoni (1986); ma la prima opera ascrivibile con certezza al pittore fu resa nota da Colombi Ferretti (1989): il dipinto, raffigurante un pollo e un cappone appesi a una sporta, era stato donato dallo stesso artista all'Accademia bolognese e da questa pervenne alla locale Pinacoteca. Partendo da ciò, Milantoni (1990) ha costruito il primo catalogo ragionato dell'opera del L., riferendogli oltre quaranta dipinti, buona parte dei quali inediti o di nuova attribuzione. Sambo (2000) ha in modo convincente attribuito alla fase iniziale del L. un gruppo di tele, già raccolte sotto la denominazione di "Monogrammista romagnolo PM", sulla base della sigla che compare in un dipinto appartenente alla collezione della Banca popolare dell'Emilia Romagna. In queste tele, in cui si palesa già tutto il repertorio levoliano, il chiaroscuro è più marcato e il segno più grafico e sottile; ma si tratta di caratteri rintracciabili anche in alcuni dipinti di indiscutibile autografia, che probabilmente appartengono a una fase immediatamente successiva (Milantoni, 1990, pp. 27, 86 nn. 9, 54). Fin dal 1979 Frisoni aveva riconosciuto in questo periodo iniziale il prevalere di riferimenti ad Arcangelo Resani, di cui il L. replica alcune sigle peculiari, come la selvaggina appesa alla sporta di cannarella, sottolineando invece, nella fase tarda, il progressivo allineamento ai modi di Carlo Magini; mentre Milantoni (1990, p. 13) segnalava tra le possibili fonti, oltre al Gandolfi, i principali esponenti della declinazione "rustica" della natura morta emiliana, dal cosiddetto Pittore di Rodolfo Lodi all'anonimo definito da Volpe Pseudo Resani. La tematica quotidiana e umile delle sue nature morte ha indotto Sambo a insistere sul loro carattere conventuale, negato invece da Colombi Ferretti, che addebitava tale declinazione, comune a Magini e allo Pseudo Resani, a un più generale orientamento arcaizzante del collezionismo di fine secolo. Il catalogo del L. può essere integrato da una Cesta con uva e mele e da un Vaso di fiori, passati in un'asta Babuino-Salomon Agustoni Algranti, Giove in Teverina, 6-9 giugno 1985, n. 848, con un'attribuzione alla scuola napoletana del XVIII secolo, insieme con un altro pendant, di identiche misure, allora assegnato a Elena Recco, ma poi ascritto al L. da Milantoni (1986, p. 19 nn. 1-2). L'accertata autografia del primo dipinto, di soggetto più consueto, permette di riferirgli anche i fiori, e in tal modo riscopre un aspetto della sua pittura finora sfuggito, anche se ricordato dalle fonti sette-ottocentesche (Longhi, Oretti, Zani). Al L. vanno restituiti anche un Fiasco, bicchiere, fichi, pera, lonza e pane presso la Galleria Pallavicini di Roma, lì catalogato tra gli anonimi emiliani (Zeri), due dipinti con selvaggina, pubblicati da Baldassari sotto il nome di Resani, oltre a una Lepre appesa a una sporta di cannarella, cacciagione, gatto, frutta e verdura e a una Cacciagione, fucile e cesto con uva e mele, opere recentemente comparse sul mercato antiquario bresciano.
Fonti e Bibl.: Bologna, Biblioteca comunale dell'Archiginnasio, Mss., B.135: M. Oretti, Notizie de' professori del disegno, c. 80; G. Longhi, Pitture, scolture ed architetture delle chiese, luoghi pubblici, palazzi, e case della città di Bologna e suoi sobborghi, Bologna 1776, p. 31; P. Zani, Enciclopedia metodica… delle belle arti, I, 11, Parma 1823, p. 339; C. Tonini, Rimini dal 1500 al 1800, II, Rimini 1888, pp. 268 s.; L. Frati, Storia documentata di Castel San Pietro dell'Emilia, Bologna 1904, p. 223; G. Sabazio, Artisti agostiniani d'Italia, Genova 1938, p. 28; F. Zeri, La Galleria Pallavicini in Roma. Catalogo dei dipinti, Firenze 1959, pp. 146 s., n. 249; L. Zauli Naldi, N. L. e le sue nature morte, in Paragone, XII (1961), 141, pp. 40-42; R. Roli, in La natura morta italiana (catal., Napoli-Zurigo-Rotterdam), Milano 1964, p. 124; A. Emiliani, L'opera dell'Accademia Clementina per il patrimonio artistico e la formazione della Pinacoteca nazionale di Bologna, in Atti e memorie dell'Accademia Clementina di Bologna, X (1971), p. 79 n. 227; R. Roli, Pittura bolognese 1650-1800. Dal Cignani ai Gandolfi, Bologna 1977, pp. 127, 266; F. Frisoni, in L'arte del Settecento emiliano. La pittura. L'Accademia Clementina (catal.), Bologna 1979, pp. 161 s.; Collezioni private bergamasche, II, Bergamo 1981, fig. 493, tavv. CXXV-CXXXIV; C. Volpe - D. Benati, Natura morta in Italia, antica moderna e contemporanea (catal., Galleria Ph. Daverio), Milano 1981, n. 14; P.G. Pasini, La Pinacoteca di Rimini, Cinisello Balsamo 1983, p. 189 n. 90; D. Biagi, in La raccolta Molinari Pradelli. Dipinti del Sei e Settecento (catal., Bologna), Firenze 1984, p. 114 n. 73; L. Salerno, La natura morta italiana 1560-1805, Roma 1984, ad ind. e p. 358 nn. 108.1 s.; Id., Natura morta italiana. Tre secoli di natura morta italiana. La Raccolta Silvano Lodi (catal.), Firenze 1984, pp. 154-158; G. Milantoni, Oggetti di ferma. Nature morte dal XVIII al XX secolo nella Romagna meridionale (catal.), Rimini 1986, pp. 12-17; P. Consigli Valente, Nature morte del Seicento e del Settecento, Parma 1987, pp. 131 s., 139 figg. 123-125, 138 s.; F. Frangi, in Giacomo Ceruti, il Pitocchetto (catal., Brescia), Milano 1987, pp. 180 s. n. 39; F. Frisoni, in I dipinti antichi della Banca popolare dell'Emilia, Modena 1987, pp. 171-173; A. Colombi Ferretti, in La natura morta in Italia, I, Milano 1989, pp. 446, 502-504; L. Salerno, Nuovi studi su la natura morta italiana, Roma 1989, p. 151 fig. 148; La pittura in Italia, Il Settecento, a cura di G. Briganti, Milano 1990, I, ad ind.; C. Maggini, ibid., II, p. 766; D. Biagi Maino, Ubaldo Gandolfi, Torino 1990, p. 261; G. Milantoni, N. L. pittore (1728-1801), Rimini 1990; F. Frisoni, in Banca popolare dell'Emilia Romagna. I dipinti antichi, Modena 1997, pp. 138 s.; G. Bocchi - U. Bocchi, Naturaliter. Nuovi contributi alla natura morta in Italia settentrionale e Toscana tra XVII e XVIII secolo, Casalmaggiore 1998, pp. 366-370; F. Baldassari, in Fasto e rigore. La natura morta nell'Italia settentrionale dal XVI al XVIII secolo (catal., Colorno), Milano 2000, pp. 226 s. n. 88; Id., in La natura morta in Emilia e in Romagna. Pittori, centri di produzione e collezionismo fra XVII e XVIII secolo, Milano 2000, p. 274 figg. 298 s.; E. Sambo, ibid., pp. 255 s., 278-285; F. Eusebi, in L'anima e le cose. La natura morta nell'Italia pontificia nel XVII e XVIII secolo (catal., Fano), Modena 2001, pp. 171 s. nn. 110 s.