GUERCIO, Nicola
Nacque probabilmente a Genova nella prima metà del sec. XIII; non conosciamo i nomi dei genitori. Apparteneva a un'importante famiglia vicecomitale, tra le più influenti nella vita politica genovese dei secoli XII-XIII.
Il G., giurista e letterato, compare per la prima volta nelle fonti nel 1266 tra gli ambasciatori incaricati di recarsi a Napoli presso Carlo d'Angiò dopo la vittoria di quest'ultimo su Manfredi di Svevia.
Fino a quel momento Genova aveva seguito una politica neutrale fra i due contendenti al trono di Sicilia per non compromettere le posizioni di privilegio economico detenute nel Regno da molti mercanti genovesi. La vittoria di Carlo a Benevento rendeva però indispensabili accordi con il nuovo sovrano del Regno meridionale, del resto confacenti all'orientamento prevalentemente guelfo delle famiglie che controllavano in quel momento la politica genovese, anche per non aprire un nuovo fronte di ostilità che andasse ad aggiungersi a quelli in corso fin dal 1258 contro i Veneziani su tutto lo scacchiere del Mediterraneo centrale e orientale.
Fu così inviata una delegazione composta da quattro laici (Boverello Grimaldi, Tedisio Fieschi, Enrico Spinola e Luchetto Gattilusio) e due giuristi (il G. e Marchesino de Cassino); partiti in aprile, dopo una breve permanenza alla corte pontificia essi raggiunsero il re a Napoli.
Per più di due mesi seguirono il sovrano nei suoi spostamenti cercando di persuaderlo a stipulare un accordo con Genova che riconfermasse i privilegi del Comune nel commercio con il Regno, ma gli sforzi e le spese sostenute (come sottolineano, con velato accenno di critica per lo sperpero di denaro pubblico, gli Annali sincroni) non portarono a un accordo, nonostante alcuni segnali di buona disposizione nei confronti di Genova da parte del re, come la scelta di utilizzare una galea genovese per il trasporto in Sicilia di uno dei nuovi rappresentanti nell'isola, Filippo di Montfort, figlio dell'omonimo signore di Tiro, vecchio amico e alleato di Genova.
Le critiche per il sostanziale, e costoso, fallimento della missione non dovettero tuttavia intaccare la reputazione del G., che proprio l'anno successivo - insieme col giurista Guglielmo di Multedo e i due laici Enrico Drogo e Bonvassallo Usodimare - fu incaricato della redazione degli Annali per il biennio 1267-69. Il G. fu così nel gruppo che ebbe la ventura di registrare le fasi del trionfo del guelfismo nella penisola, ma anche i continui rinvii che re Carlo, avviato a divenire il nuovo padrone di gran parte d'Italia sotto l'egida della Chiesa, frapponeva alla conclusione di un trattato con Genova, pur continuando ad assicurare le legazioni che gli venivano inviate della sua simpatia verso il Comune e consentendo che suoi stretti collaboratori, come Filippo di Montfort, risiedessero in città per lunghi periodi.
Carlo, forte anche dell'aiuto dei guelfi di Toscana e della carta bianca concessagli da Clemente IV per la politica italiana, mirava a mantenere i Genovesi in uno stato di continua incertezza circa il mantenimento dei loro privilegi commerciali, utilizzando questo strumento di pressione anche per favorire il prevalere della fazione guelfa nel governo del Comune: ciò spiega la prontezza con la quale le galee genovesi di ritorno da una crociera contro i Veneziani nel Mediterraneo orientale intervennero in sostegno delle forze fedeli all'Angiò al momento dell'insurrezione suscitata in Sicilia nel 1267 dai fautori di Corradino di Svevia, giunto nel frattempo in Lombardia a rianimare i resti del partito ghibellino. Quando, però, nel 1268 Corradino riuscì a passare in Toscana e a raggiungere Roma senza incontrare particolari ostacoli nella marcia verso Sud, fu il turno dei Genovesi (che pure avevano già respinto la proposta pisana di sostenere Corradino o quantomeno di garantire la loro neutralità) di mostrarsi freddi verso l'alleanza che il re si affrettò a prospettare.
La tragica conclusione dell'avventura italiana di Corradino, rendendo inattaccabile la posizione di Carlo d'Angiò, impose a Genova la ripresa di serrate trattative alla positiva conclusione delle quali, forte dell'esperienza precedente, anche il re dimostrava ora maggiore interesse. Il trattato fu stipulato il 12 ag. 1269; pur riconfermando in gran parte i privilegi commerciali detenuti dai Genovesi in Sicilia, esso risultava di gran lunga più vantaggioso per il re di quanto non lo fosse per il Comune che si assumeva una serie di obblighi (primo fra tutti quello di non accettare un podestà che fosse sgradito al re o alla Chiesa, il che era praticamente lo stesso) che lo inserivano di fatto nell'ormai lunga lista dei satelliti politici di Carlo d'Angiò in Italia.
Il G. partecipò all'ambasceria che si recò a Napoli per ottenere dal re la ratifica del trattato (in realtà un vero e proprio atto di sottomissione di Genova al re di Sicilia) che fu sanzionata il 4 genn. 1270.
Subito dopo il G. dovette rientrare in Genova, poiché il 15 gennaio dello stesso anno lo troviamo menzionato fra i giuristi presenti, come consulenti, alla proclamazione della sentenza con la quale il podestà Bonifacio di Canossa da Reggio annullava l'ordine del 19 ag. 1269, che aveva imposto ad alcune Comunità della Riviera di Ponente di prestare fideiussioni per 300 lire a garanzia del fatto che non avrebbero consentito il commercio del sale di contrabbando nei territori di loro pertinenza.
Ma gli eventi andavano precipitando: una sollevazione popolare, abilmente orchestrata dalla nobiltà ghibellina, il 28 ott. 1270 portò all'instaurazione del regime dei capitani del Popolo Oberto Doria e Oberto Spinola. Come la maggior parte dei suoi congiunti e dei nobili guelfi, il G. si trovò allora estromesso dal potere e prese la via dell'esilio, cercando probabilmente rifugio alla corte napoletana, divenuta ben presto il luogo di raccolta, sotto l'interessata protezione del re, di tutti gli avversari dei diarchi. Come gli altri capi guelfi fuorusciti, anche il G. dovette dare ampio sostegno alle operazioni belliche avviate contro Genova da Carlo I a partire dal 1272. Ma la speranza di rientrare in Genova con la forza, coltivata dai guelfi, si rivelò priva di fondamento di fronte alla vittoriosa resistenza e alla successiva controffensiva messa in atto dal governo dei capitani con l'appoggio di tutte le forze ghibelline dell'Italia settentrionale.
Con la mediazione di papa Innocenzo V si giunse nel 1276 a un compromesso tra le due fazioni, che si incontrarono a Roma per definire gli accordi sotto l'egida congiunta del papa e del re, ormai rassegnato a non imporre i suoi sostenitori al governo del Comune. Il G. fece parte della delegazione guelfa insieme con altri maggiorenti della sua fazione tra cui l'ammiraglio Simone Guercio, suo parente, e i nipoti del cardinale Ottobono Fieschi (vero capo dei fuorusciti, e futuro papa Adriano V).
La riammissione degli esuli in città e il clima di equilibrio tra le fazioni seguiti agli accordi di Roma consentirono dunque anche al G. di ritornare in patria e, con il tempo, di ricoprire nuovamente incarichi di fiducia per conto del governo dei diarchi, nonostante le turbolenze di una parte dei maggiorenti guelfi. Il distacco del G. dalla parte più estremista dei nobili guelfi divenne del resto evidente dopo il fallito colpo di Stato organizzato sotto la direzione dei Fieschi e dei Di Negro alla fine del 1288. Lo troviamo nel 1289, nell'ultima attestazione documentaria nota, quale membro della commissione incaricata dai capitani di redigere le istruzioni per gli ambasciatori impegnati a dimostrare presso la corte pontificia le buone ragioni dei Genovesi in alcune complesse questioni politiche della Terrasanta, ma soprattutto a ribadire l'inopportunità della scelta di papa Niccolò IV di confermare quale amministratore apostolico della sede arcivescovile vacante di Genova proprio uno dei capi della cospirazione appena sventata, il patriarca di Antiochia Opizzo Fieschi.
Del G. non conosciamo luogo e data di morte.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Archivio segreto, b. 2737 A, doc. 41 (1289, Genova); A. Ferretto, Codice diplomatico delle relazioni fra la Liguria, la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante, I, Roma 1901, pp. 42, 207 s.; II, ibid. 1903, p. 76; Annali genovesi di Caffaro e de' suoi continuatori, IV, a cura di C. Imperiale di Sant'Angelo, in Fonti per la storia d'Italia [Medio Evo], XIV, Roma 1926, pp. 88, 97, 116; P. Lisciandrelli, Trattati e negoziazioni politiche della Repubblica di Genova, in Atti della Soc. ligure di storia patria, n.s., I (1960), p. 94; A. Giustiniani, Annali della Repubblica di Genova, a cura di G.B. Spotorno, Genova 1854, I, pp. 436, 438; G.B. Spotorno, Storia letteraria della Liguria, I, Genova 1824, pp. 134 s.; G. Caro, Genova e la supremazia sul Mediterraneo, I, in Atti della Soc. ligure di storia patria, n.s., XIV (1974), pp. 177, 364; Rep. fontium hist. Medii Aevi, II, p. 291.