GIACCHI, Nicola
Secondo figlio maschio di Biagio Maria e Maria Cristina Tiberio, fratello del più celebre Michele, nacque a Sepino, in Molise, il 6 dic. 1809. Educato in famiglia e quindi presso il seminario della vicina Boiano, si recò a Napoli per gli studi universitari e vi conseguì la laurea in legge. Tornato a Sepino, ricoprì l'incarico di decurione nell'amministrazione cittadina.
Entrato per concorso nell'ordine giudiziario nel 1837, esercitò le funzioni di giudice circondariale in vari centri molisani (Forlì del Sannio, Morcone, Palata, Trivento, Sant'Elia, Boiano), riscuotendo favorevoli apprezzamenti, sia per la dottrina sia per l'equilibrio, nelle periodiche valutazioni effettuate dalle commissioni censorie. Pur avendo ottenuto una rapida promozione alla seconda classe, attese invano quella alla prima classe, che non gli fu assegnata sebbene ne fosse ripetutamente giudicato degno e venisse spesso inviato a risolvere le situazioni più delicate. Anche una supplica inviata al re Ferdinando II (1845) non sortì effetto.
Trasferito nel 1846 nel difficile circondario di Pagani (nel Salernitano), il G. si guadagnò presto la stima delle autorità. Nel 1848, allo scoppio dei moti, ebbe però a manifestare il suo sentimento liberale, insieme con il fratello maggiore Michele, che peraltro aveva seguito da vicino i suoi progressi nella magistratura, interessandosi dei relativi avanzamenti. Fu finalmente promosso, dal governo costituzionale di G. Spinelli principe di Cariati, giudice circondariale di prima classe a Santa Maria Capua Vetere, in Terra di Lavoro. Incorse però nelle indagini successive ai fatti napoletani del 15 maggio, per la denuncia di un sarto del palazzo Maddaloni che dichiarò di averlo visto imbracciare un fucile sulle barricate al largo della Carità (Arch. di Stato di Napoli, Prefettura di Polizia, b. 1686).
Fu, tuttavia, scagionato da un supplemento d'indagine effettuato dal commissario del quartiere napoletano di S. Giuseppe, in cui si accertò che egli era sì nella capitale, ma che non era uscito dalla casa del fratello, al più mostrandosi al balcone o alla finestra. Rimase, pertanto, a Santa Maria, nonostante l'intendente di Terra di Lavoro ne chiedesse ripetutamente il trasferimento e anche la promozione, pur di allontanarlo dalla sua provincia, in quanto "magistrato senza dubbio integerrimo e capace ma che contrasse forse degli obblighi con la fazione", e perciò inidoneo all'adempimento delle funzioni di polizia ordinaria (Arch. di Stato di Napoli, Ministero di Polizia. Gabinetto, b. 517). Cinque anni dopo, il G. divenne giudice di tribunale, non senza un nuovo interessamento del fratello (che pure era registrato fra gli "attendibili" quale ex deputato). Una nuova indagine compiuta dall'intendente di Salerno accertò che il G. aveva assunto un atteggiamento filoliberale per sfuggire a coloro i quali volevano approfittare della confusione per fargli pagare la severità nell'amministrazione della giustizia a Pagani. Prestò, quindi, servizio nelle sedi di Avellino, Potenza, Cosenza e L'Aquila (1853-60).
Salito al potere L. Romano, cui il fratello del G. era particolarmente legato tanto da divenirne il più stretto collaboratore al ministero dell'Interno e della Polizia, il G. fu promosso nel luglio 1860 giudice di gran corte civile e inviato in missione di procuratore generale prima a Lucera, poi ad Avellino. Nel novembre 1860 fu trasferito a Napoli.
Eletto deputato per il collegio di Morcone nel turno di ballottaggio (3 febbr. 1861), partecipò assiduamente ai lavori della prima legislatura unitaria (1861-65). Preoccupato per il pericolo di una reazione borbonica, si rivolse direttamente a M. Minghetti, ministro dell'Interno, invitandolo a richiamare gli ufficiali del disciolto esercito garibaldino perché servissero nella guardia nazionale; insieme con altri colleghi indirizzò successivamente un analogo memoriale a B. Ricasoli (Scirocco).
Tra i fautori della legge Pica per la repressione del brigantaggio (1° ag. 1863), il G. prese spesso la parola su argomenti giuridici, e in particolare sull'enfiteusi (23 luglio 1862), i beni demaniali (5 ag. 1862), gli usi civici (12 genn. 1865). Fu relatore sulla proposta di legge di M. Raeli volta a semplificare la procedura forense vigente nelle province meridionali, e in particolare quella relativa alla formulazione delle sentenze, allo scopo di alleviare l'impatto della tassa sul bollo degli atti giudiziari (10 luglio 1862). Presentò inoltre un'interpellanza sulla riforma dell'ordinamento delle circoscrizioni provinciali, con riguardo alla funzione amministrativa del circondario (21 nov. 1864).
Costante fu il suo impegno per inserire il Molise, e Sepino in particolare, nella nuova rete ferroviaria che si andava progettando. Sostenne a tal fine le petizioni di più Comuni e la proposta di N. Nisco per la tratta Capua-Termoli (1° luglio 1862), riprendendo l'indicazione della valle del fiume Biferno quale via più idonea per raggiungere l'Adriatico, già espressa in un ordine del giorno insieme con F. Torre (4 luglio 1861).
Alla fine del mandato parlamentare il G. non ripresentò la sua candidatura e ritornò nell'ordine giudiziario, in cui gli era stato nel frattempo riconosciuto il grado di consigliere di corte d'appello (1863). Presidente di sezione nel 1876, prese congedo nel 1882 con il titolo di primo presidente. Insignito dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro e di quello della Corona d'Italia, morì a Napoli il 7 maggio 1888.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Napoli, Ministero di Grazia e Giustizia, b. 1862, f. 567; Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, legislatura VIII (1861-65); T. Sarti, Il Parlamento subalpino e nazionale, Torino 1896, p. 510; G.B. Masciotta, Il Molise dalle origini ai nostri giorni, II, Napoli 1915, p. 368; N. Ruotolo, Uomini illustri di Sepino, Matera 1971, pp. 87 s.; A. Scirocco, Il Mezzogiorno nella crisi dell'unificazione (1860-1861), Napoli 1981, p. 255.