NICOLA di Bartolomeo da Foggia
NICOLA di Bartolomeo da Foggia. – Ignote sono le date di nascita e di morte di questo scultore attivo in Italia meridionale nel XIII secolo.
Figlio di Bartolomeo, era originario di Foggia, all’epoca città emergente della Capitanata in virtù della sua felice posizione geografica nonché dei privilegiati rapporti con l’imperatore Federico II, che nel 1223 l’aveva nobilitata con la fondazione di una sontuosa residenza, distante poche miglia dal prediletto sito di svaghi di San Lorenzo in Pantano. È attestato la prima volta nel 1272, allorché sottoscrisse con la qualifica di «marmorarius» il pulpito maggiore della cattedrale di Ravello («Ego magister Nicolaus de Bartholomeo de Fogia marmorarius hoc opus feci»), a tutt'oggi l'unica sua opera superstite tra le poche documentate. Nell'agosto 1275 risulta attivo nel cantiere del castello di Lucera, un fortilizio svevo trasformato da Carlo I d’Angiò in un’imponente cittadella militare col compito di controllare l’infida colonia dei saraceni insediatavi decenni prima da Federico II. In questa data, con esplicite attestazioni delle sue doti («satis necessarius et utilis reputatur»), il sovrano angioino lo richiese al giustiziere di Capitanata per impiegarlo come «incisor lapidum» nella fabbrica del monastero cistercense di S. Maria di Realvalle, presso Scafati (Napoli), agli ordini del soprastante francese Pierre de Chaules (Registri… [1274-75], in Carabellese, 1908, p. 207 n. 4).
Dopo il 1275 le tracce di Nicola si perdono. Le due costruzioni angioine, ridotte a ruderi (Haseloff, 1920; Bruzelius, 2004), non hanno conservato alcun manufatto plastico nel quale sia stato possibile finora ravvisare la sua mano. Un bel capitello erratico d'impronta gotica nel Museo civico di Lucera, riferito a Nicola in coincidenza di tempi col ricordato suo coinvolgimento nei lavori del castello (Calò Mariani, 1984), costituisce, in effetti, solo un antefatto, connesso con un ben individuato filone della scultura meridionale dei primi decenni del Duecento, ramificato dall’Abruzzo alla Sicilia e con frequenti attestazioni anche in ambito federiciano (Aceto, 1990).
La cifra stilistica e il consumato mestiere d’intagliatore di cui Nicola dà prova nel pergamo di Ravello presuppongono una lunga carriera alle spalle, fortemente segnata dalle esperienze artistiche di marca gotica in auge nei cantieri svevi. In questa prospettiva, il punto di più forte convergenza con il suo linguaggio plastico è offerto dalle sculture del quinto-sesto decennio del Duecento sintonizzate sulle conquiste di naturalismo espressivo degli artisti transalpini; così come è innegabile che alle più belle testimonianze della miniatura di età manfrediana, in primo luogo alla celebre Bibbia Vaticana e al De arte venandi cum avibus, nella stessa biblioteca, sembrano rinviare, per il loro intenso sentore di vita, i rari apparati figurativi del monumentale manufatto liturgico.
Una consolidata tradizione storiografica, autorevolmente accreditata in passato da Cavalcaselle (1864, p. 129) e da Bertaux (1903, pp. 703 s.), ha ritenuto di poter suffragare tale dato di fatto con labili prove di natura biografica. Fondandosi su mere coincidenze onomastiche e di luogo, si è ipotizzato che il tirocinio di Nicola si sarebbe svolto sotto la guida del padre, identificato col «Bartholomeus» che nel 1223, molto verosimilmente in qualità di soprastante e non di scultore-architetto, vergò il suo nome, accanto a quello di Federico II, sul superstite architrave del portale del palazzo imperiale di Foggia («Sic Caesar fieri iussit opus istum pto [praecepto?] Bartholomeus sic construxit illud»). Destituita di fondamento è altresì la proposta di riconoscere incunaboli di Nicola in alcuni capitelli nella cripta della collegiata di S. Maria Icona Vetere a Foggia (Jacobs, 1968), a dispetto di talune consonanze tipologiche troppo timide a confronto delle virtuosistiche creazioni del foggiano.
Allo stato dei fatti, la ricostruzione della personalità di Nicola resta affidata al sontuoso pulpito ravellese, patrocinato da Nicola Rufolo per devozione alla Vergine e in onore della patria («Virginis amore … patrieque honore», come recita un’iscrizione in sito), ma anche con l’obiettivo di ricavare al di sotto di esso una cappella funeraria, alla quale Rufolo legò diversi beni nel suo testamento dettato nel 1275 (Ravello, Archivio capitolare, n. 408; in Camera, 1881, pp. 313 ss.). Esponente di un’antica e potente famiglia della Costiera Amalfitana, in quegli anni in stretti rapporti politici ed economici con la corte angioina, che più volte era ricorsa a essa per prestiti, Nicola Rufolo rappresentava la tipica figura di mercante e banchiere-funzionario innalzato ai ranghi della nobiltà. Il figlio primogenito, Matteo, nel 1269 aveva ottenuto l'ufficio di secreto e portolano di Puglia, regione dove tra l'altro i Rufolo possedevano banchi, negozi e fattorie (Camera, 1881, pp. 374 s.; Widemann, 2000). La presenza di Nicola di Bartolomeo a Ravello si iscrive con ogni verosimiglianza nel quadro di queste consolidate relazioni mercantili tra le due aree del Regno, di cui un'altra ben nota attestazione è costituita dalla porta di bronzo di Barisano da Trani, donata nel 1179 alla cattedrale dal patrizio Sergio Muscettola.
Il pergamo di Ravello, sostenuto da sei ruggenti leoni stilofori e dotato di scala di accesso in muratura, conclude degnamente in Campania una lunga stagione di arredi liturgici marmorei, la cui nota qualificante è costituita dallo smagliante rivestimento musivo, di solito affidato alle mani di maestranze specializzate. Le qualità di Nicola rifulgono nella modellazione delle parti plastiche, tra le quali si segnala per l’alto livello esecutivo non meno che per il suo enigmatico significato (Zchomelidse, 1999) il superbo busto di giovane donna, addobbata come una basilissa, già sulla scala del pulpito e ora esposto nel Museo della Cattedrale, oggetto nel 1541 delle mire collezionistiche del viceré di Napoli don Pedro di Toledo, frustrate solo dalla ribellione dei ravellesi (protocollo del notaio Bernardo Battimelli; in Camera, 1881, p. 313 n. 1; Filangieri di Candida, 1903).
Un problema a lungo dibattuto, dopo il primo acuto avvistamento di Cavalcaselle (1864, p. 128), è quello relativo ai rapporti con Nicola Pisano. Con un occhio puntato alle origini 'pugliesi' di quest'ultimo e con l'altro alla precedenza delle sue opere sul pulpito di Ravello, autorevoli studiosi hanno creduto di riconoscere negli aspetti più moderni dell'opera di Nicola di Bartolomeo i segni di un'influenza di Nicola Pisano, rifluita dalla Toscana per vie non meglio precisabili (Bottari, 1955).
Effetti dell'attività campana di Nicola di Bartolomeo sono state segnalati di recente in sculture architettoniche dell'abbazia di Cava de' Tirreni (Aceto, 1992). Dalla seconda metà dell'Ottocento (Lübke, 1880), al suo nome è stato associato un busto femminile marmoreo proveniente dalla vicina Scala, acquistato dai Musei di Stato di Berlino e andato disperso durante l'ultima guerra mondiale, che tuttavia, a giudicare dalla documentazione fotografica, meglio conviene a uno stretto collaboratore di Nicola per la condotta corsiva e meno pungentemente espressiva. Un'analoga soluzione critica sembra ragionevole prospettare anche per la testa femminile coronata esposta nel Metropolitan Museum of Art di New York, gravemente menomata proprio nei tratti del volto, mentre una palese copia moderna del busto ravellese è da ritenere un busto ligneo coronato in collezione privata, ripetutamente proposto come opera dello scultore foggiano (Mellini, 1978, 1998).
Fonti e Bibl.: Registri della Cancelleria angioina, 21 (perduto), 1274-1275, c. 290r, regesto edito da F. Carabellese, Il restauro angioino dei castelli di Puglia, in L'Arte, XI (1908), pp. 197-208, a p. 207 n. 4; Ravello, Archivio capitolare, protocollo del 1541 del notaio Bernardo Battimelli, edito da M. Camera, Memorie storico-diplomatiche dell'antica città e ducato di Amalfi, II, Salerno 1881, pp. 313 n. 1, 374 s.; Napoli, Biblioteca nazionale, Fondo S. Martino, 101: G.B. Bolvito, I registri delle cose familiari di casa nostra (1585), pp. 258 s.; J.A. Crowe - G.B. Cavalcaselle, A new history of painting in Italy, from the Second to the Sixteenth century, I, London 1864, pp. 128 s.; W. Lübke, Geschichte der Plastik, Leipzig 1880, pp. 554-556; É. Bertaux, L'art dans l'Italie méridionale, II, Paris 1903, pp. 703 s., 778-784; A. Filangieri di Candida, Del preteso busto di Sicilgaita Rufolo nel duomo di Ravello, in Napoli nobilissima, XII (1903), pp. 3-9, 34-37; A. Venturi, Storia dell’arte italiana, III, Milano 1904, pp. 681-684; A. Haseloff, Die Bauten der Hohenstaufen in Unteritalien, Leipzig 1920 (trad. it. in L. Bibbò, Architettura sveva nell'Italia meridionale, Bari 1992, pp. 99-340); S. Bottari, Intorno a N. di B. da Foggia, in Commentari, VI (1955), pp. 159-163; F. Jacobs, Die Kathedrale S. Maria Icona Vetere in Foggia. Studien zur Architektur und Plastik des 11. -13. Jahrhunderts in Süditalien, Hamburg Universität (diss.) 1968; C. Guglielmi Faldi, Il duomo di Ravello, Roma 1974, pp. 24-33; A. Carotti, in L'art dans l'Italie méridionale. Aggiornamento dell'opera di Émile Bertaux, sotto la direzione di A. Prandi, II, Roma 1978, pp. 751-768, 975-985 (con bibl.); G.L. Mellini, Appunti per la scultura federiciana, in Comunità, XXXII (1978), pp. 322-324 n. 179; M.S. Calò Mariani, L'arte del Duecento in Puglia, Torino 1984, pp. 193-195; R.W. Lightbown, Portrait or idealization: the Ravello bust, in Apollo, 1988, n. 127, pp. 108-112; F. Aceto, «Magistri» e cantieri nel «Regnum Siciliae»: l'Abruzzo e la cerchia federiciana, in Bollettino d’arte, s. 6, LXXV (1990), 59, pp. 15-96; Id., Sculture duecentesche, in Appunti per la storia di Cava, a cura di A. Leone, VII, Cava de' Tirreni 1992, pp. 39-45; J. Caskey, Una fonte cinquecentesca per la storia dell’arte medievale ad Amalfi, in Rassegna del Centro di cultura e storia amalfitana, II (1992), pp. 71-81; G.L. Mellini, Per N. di B. da Foggia, in Labyrinthos, 1998, n. 17, pp. 3-31; N. Zchomelidse, Amore Virginis und honore patria. Die Rufolo Kanzel im Dom von Ravello, in Analecta romana Instituti Danici, XXVI (1999), pp. 99-117; F. Widemann, Les Rufolo. Les voies de l’anoblissement d’une famille de marchands en Italie méridionale, in La noblesse dans les territoires angevins à la fin du Moyen Âge. Actes du Colloque international, Angers-Saumur…1998, Roma 2000, pp. 115-130; C. Bruzelius, The stones of Naples: church building in Angevine Italy, 1266-1343, New Haven-London 2004, pp. 27-36; J. Caskey, Art and patronage in the medieval Mediterranean: merchant culture in the region of Amalfi, New York 2004, pp. 143-146, 177-183.