DELLA TUCCIA, Nicola
Nacque a Viterbo il 1° nov. 1400 da Nicola di Bartolomeo, morto alcuni mesi prima.
Quasi tutto quello che sappiamo della sua vita è stato tramandato da lui stesso nelle Cronache di Viterbo e di altre città, l'unica opera che risulta da lui scritta ed a noi pervenuta (edita da I. Ciampi nel 1872). Per la giovinezza nulla si sa dei suoi studi, della sua formazione, delle condizioni della sua famiglia. Fra quanto il D. racconta di aver visto in quegli anni, è da ricordare la venuta a Viterbo di papa Innocenzo VII nell'agosto 1405 con la successiva partenza per Roma nel marzo 106 e la tragica conclusione del tentativo di occupare Viterbo da parte dell'abate di Lanciotto nel 1413.
Tra il 1420 e il 1421 il D. prese parte con la milizia cittadina ai fatti che portarono le località di Soriano e Toscanella a rendersi alla Chiesa. Aveva ancora poco più di venti anni quando rimase affascinato dalle predicazioni, a Viterbo, di fra' Bernardino da Siena, tanto che poi, insieme con altri viterbesi, lo accompagnò fino a Roma con grande onore. Esercitò con successo la mercatura ("l'arte mia fu l'arte di mercatante, e abitai presso la porta di San Mattia della Botte, in una casa ove .sta un chiostro e una fontanella, il quale chiostro e fontanella e caposcala sopra detta fonte feci fare di nuovo io Nicola sopra detto"), procurandosi un discreto patrimonio, come si puo dedurre, per esempio, dal fatto che in occasione dei tumulti che sconvolsero, con ruberie e violenze, la città nel 1456, fu fra coloro che fecero un prestito di denaro al Comune.
Delle sue capacità di uomo e di amministratore sono testimonianza i numerosi incarichi che il D. ricoprì in Viterbo, in modo speciale i cinque priorati di cui si ha notizia, e precisamente negli anni 1452, 1454, 1456, 1458, 1467.
Gli avvenimenti cui si trovò a far fronte nel corso di questi priorati furono molteplici e di varia natura. Nel 1452, ad esempio, dovette provvedere alla sosta a Viterbo di Federico III, diretto a Roma per l'incoronazione imperiale, e quando il sovrano entrò in città il D. fu tra i portatori del baldacchino sotto cui incedeva Federico; poi fu tra coloro che lo visitarono nella casa di Princivalle Gatti, e forse si recò successivamente a Roma per assistere all'incoronazione. Nel 1456 cercò, senza grande successo, di riportare la pace a Viterbo, sconvolta dalla lotta delle fazioni contrapposte. In occasione del priorato del 1458 troviamo il ricordo compiaciuto di essere stato ritratto, insieme con vari altri magistrati, in una grande tavola dedicata alla Madonna; ma questa tavola è andata perduta, mentre miglior fortuna ha avuto un altro ritratto del D., ormai settantenne, dipinto in un affresco nella chiesa di S. Maria della Verità in Viterbo. Altre cariche ricoprì il D. in varie epoche. Più volte, ad esempio, fu deputato, insieme con altri cittadini, al restauro delle mura e delle torri; fu sovrintendente, nel 1459, alla costruzione del nuovo palazzo del Comune. Spesso andò a Roma, o per motivi privati o per uffici pubblici: così nel 1450 per il giubileo (quando si trovò ad assistere, come narra nelle Cronache, al disastro avvenuto sul ponte S. Angelo per l'enorme affollamento di gente, la notte di Natale, secondo il D., ma in realtà il 19 dicembre 1450: cfr. Pastor, I, p. 402, n. 3), nel 1455 per l'incoronazione di Callisto III, nel 1461 per un'ambasceria a Pio II, a cui già l'anno prima aveva reso onore a Viterbo.
Riguardo al tempo della sua morte è difficile stabilire una data sicura. L'ultima testimonianza precisa che il D. dà di sé nelle Cronache risale al 1472, allorché, dopo aver parlato dell'apparizione di una cometa, scrive: "Di notte sparì detta cometa, secondo vidi io Nicola a dì 15 febbraio 1472".
È vero poi che la più inoltrata datazione della prima parte delle Cronache - quella che cronologicamente arriva più lontano - è riferita ad una sentenza del 10 maggio 1476 della corte di Roma contro i Montefiaschesi; ma, come osservò anche l'editore I. Ciampi, le ultime notizie appaiono aggiunte da un'altra mano. Ciò si presenta convalidato dal fatto che il racconto delle vicende del 1473, staccandosi, alla fine, dalla consueta cronaca particolare e assumendo una più generale panoramica delle condizioni di Viterbo, termina con un'esaltazione calorosa dei grandi vantaggi che i cittadini ottennero dal vivere in concordia, e quindi con un'esaltazione della pace, la quale sembra assumere il valore di un messaggio conclusivo che il vecchio cronista, pensoso osservatore di tante tragedie di singoli individui e di intere popolazioni, intende lasciare a tutti gli uomini, sentendosi ormai, forse, sul punto di abbandonare la vita.
Sembra pertanto che si possa fissare la data della morte del D. tra il 1473 e il 1474, o poco oltre.
Il D. risulta essere autore, come già si è detto, di una sola opera, le ricordate Cronache di Viterbo e di altre città, da lui stesso divise in due libri. Nel primo sono narrate le vicende di Viterbo dalle origini al 1476 (ma per gli ultimi anni, come si è sopra osservato, appare piuttosto evidente l'intervento di altro autore); nel secondo sono esposti i fatti generali d'Italia e del mondo, sempre con riferimento anche a Viterbo, dal 1417 al 1468. A tale distinzione di materia più volte accenna lo stesso D.; per esempio nel primo libro, a proposito di alcune vicende del 1458, scrive: "Del fatto del Reame di Napoli qui non fo mentione, perché l'ho scritto in un mio altro volume, quale tratta delli fatti d'Italia", e più oltre: "Si partì messer Borza di Viterbo, e all'11 andò verso Roma. Quello poi seguirà di lui scriveremo in un altro libro, ove tratto di cose generali. Con questo tratto solo di Viterbo".
Nel primo libro il D., seguendo il metodo comune dei cronisti contemporanei, dapprima trascrive, con lievi modifiche e adattamenti al suo piano espositivo, quanto già trova esposto in cronache precedenti, finché, giunto ai tempi da lui personalmente vissuti, incomincia a registrare anno per anno e giorno per giorno tutto quello di cui ha avuto conoscenza e che crede degno di essere tramandato ai posteri. Dallo stesso D. sappiamo che le prime cronache da lui seguite furono quelle di due viterbesi della famiglia Tignosi: Gotofredo, creato vescovo di Viterbo nel 1184, e Lancilotto, che continuò il racconto di Gotofredo fino al 1255. Per quanto riguarda gli anni successivi al 1255, è probabile che dapprima il D. abbia seguito il racconto di un certo mastro Geronimo medico, mentre è sicuro, per sua stessa testimonianza, che poi attinse dalla cronaca di Cola di Covelluzzo, al quale, con i primi anni del Quattrocento, subentrò direttamente nella narrazione, fissando quanto di più notevole vide accadere durante il corso della sua vita. Per questo si può concludere che mentre del primo libro soltanto le vicende dei sec. XV (le quali però occupano quasi due terzi dell'intero libro) sono cronaca dovuta tutta all'esperienza personale del D., il secondo, partendo, come si è detto, dal 1417 e in particolare da un accenno al concilio di Costanza, risale completamente al Della Tuccia.
Fra i due libri c'è, in generale, una corrispondenza sostanziale e formale nella conduzione del racconto; tuttavia è da rilevare il fatto che mentre il primo fino a tutta la metà del secolo XV, e anche un po' oltre, si presenta di solito come schematica registrazione annalistica di fatti, quasi un diario aggiornato soltanto per le notizie che di anno in anno sembrava più opportuno tramandare, il secondo ha più l'aspetto di una narrazione continuata di cose importanti, rimeditate a distanza di tempo, e quindi inserite in una riflessione più attenta e in una prospettiva più vasta. Altro elemento di differenziazione, del resto naturale, è costituito dalle frequenti, e talvolta ampie, lacune di fatti: esse sono di gran lunga più numerose ed estese nel primo libro, specie nella parte iniziale desunta da precedenti cronache o da tradizioni più o meno favolose, mentre il secondo libro appare più completo. Si deve però riconoscere che in tanta pluralità di vicende narrate non sempre le notizie sono esatte, sia per quanto attiene alle date sia per quanto riguarda il reale svolgimento dei fatti; ma anche in questa condizione le Cronache del D. hanno una loro validità per la conoscenza della storia di Viterbo.
Fonti e Bibl.: Fonte insostituibile per le notizie biografiche sul D. è la sua opera Cronache di Viterbo e di altre città, pubblicata da I. Ciampi, in Cronache e statuti della città di Viterbo, Firenze 1872. Allostesso Ciampi si deve un'ampia ricostruzione della vita del D., premessa al volume citato, dove, fra l'altro, sono indicati anche manoscritti e precedenti, parziali edizioni del libro del Della Tuccia. Si vedano anche: F. Bussi, Istoria della città di Viterbo, Roma 1742, ad Ind.; G. Signorelli, Viterbo nella storìa della Chiesa, I, Viterbo 1907-08, ad Ind.; V. Rossi, Il Quattrocento, Milano 1964, pp. 176 s.