DASPURO, Nicola
Nacque a Lecce il 19 genn. 1853 da Domenico e Almerinda Portoluzzo. Dopo alcune modeste prove letterarie, esperimenti narrativi senza pretese come Almeno e T'avea sognata, stampate a Lecce nel 1881 (Foscarini, p. 86), e la monografia storica su Masaniello, curata per l'editore Sonzogno di Milano nel 1884 si dedicò attivamente al giornalismo, non trascurando però il teatro e lo spettacolo in genere. Si stabilì a Napoli e diventò corrispondente del Secolo di Milano, collaborando al Teatro illustrato e alla Commedia umana. La grande amicizia che lo stringeva a E. Sonzogno gli permise, in breve tempo, di diventare rappresentante generale della Casa musicale Sonzogno per l'Italia meridionale, per conto della quale organizzò anche stagioni liriche al teatro Mercadante dal 1893 al 1895.
In quegli anni la fortuna del D. fu legata soprattutto al libretto dell'opera L'amico Fritz, commedia lirica in tre atti, approntato per Mascagni nel 1891 sotto il francesizzante pseudonimo di P. Suardon e rappresentata per la prima volta al teatro Costanzi di Roma il 31 ott. 1891 tratto da L'Amico Fritz degli ErkmannChatrian (dapprima come romanzo nel 1864, poi ridotto a dramma nel 1877), il soggetto dell'opera era stato scelto da Mascagni stesso dopo il successo di Cavalleria rusticana in quanto il compositore desiderava "un'azione quasi inconsistente, in modo che l'opera potesse venir giudicata soltanto per la musica e non per il libretto" (Cassi Ramelli, p. 257). Mascagni fornì infatti una delle sue migliori partiture, riscuotendo un grande successo di pubblico e di critica, nonostante la mediocrità del soggetto.
Con il proprio nome il D. firmerà invece Mala vita, melodramma in tre atti, con musiche di U. Giordano, messo in scena per la prima volta al teatro Argentina di Roma il 21 febbr. 1892. Ispirato al celebre dramma Malavita di S. Di Giacomo e G. Cognetti del 1889 (ristampato successivamente col titolo di '0 voto), è la cronaca di poveri amanti in un popolare quartiere di Napoli agli inizi dell'Ottocento. Ricca di numerosi spunti veristi - conteneva tra l'altro (atto III, scena II) la canzone inedita "Ce sta ce sta nu. mutto ca dice accussì" composta per l'occasione da Salvatore Di Giacomo -, l'opera fu il risultato della migliore trama mai scritta dal D. e di un'ottima prova melodica offerta dal giovane Giordano. Accolta calorosamente a Roma e in altre città, Mala vita subì invece a Napoli un fiasco clamoroso. Questo spinse il D. a cambiare sostanzialmente il libretto, sopprimere alcuni personaggi e apportare alcune modifiche alle scene (atto I, scene II e III; atto II, scene II e IV; atto III, scene I e III), aggiungere addirittura una nuova scena, la quarta, al III atto. Ma il racconto riesce artificioso e sforzato. L'opera così modificata dopo il 1894 si chiamò Ilvoto.
Negli anni che seguirono il D. intrecciò una fitta relazione artistica con i maestri G. Luporini e O. M. Scarano. Nel 1896 scrisse per il primo il libretto della commedia lirica Collana di Pasqua (che diventa Maria Perrau o La belle épicière nel 1899, Marie di Lacroix nel 1901, infine Nora nel 1908). Nel 1901 (e ancora nel 1906) stese e completò Renata, dramma lirico in tre atti, musicato dallo Scarano. Si tratta di infelici storie d'amore ambientate entrambe in Francia - la prima a Parigi verso la fine del sec. XVII, la seconda nella Vandea del 1799 -, che rappresentano comunque un valido banco di prova per un librettista esperto e cesellatore del verso, ma dalla vena poetica oramai sterile. Del D. si ricordano ancora: Hassan (1892), melodramma in tre atti, scritto in collaborazione con Federico Verdinois; Bito (1895), melodramma in tre atti; 190r (1910), bozzetto lirico in due quadri, musicato da M. Perilli e rappresentato al teatro Mercadante di Napoli nello stesso anno; La giacobina (1940)., dramma lirico in tre atti; Orlof (1940)., dramma lirico in due quadri. Lasciò inedita Almansor, commedia lirica in tre atti per L. F. Bianco.
Agente teatrale di grande valore, poligrafo versàtile e garbato, il D. si ritrovò scopritore di talenti lanciando il giovane E. Caruso nell'Arlesiana di Cilea al teatro Lirico di Milano nel 1898. Più tardi, nel 1938, si avvicinerà nuovamente al famoso tenore celebrandone i fasti in una delle migliori biografie che siano mai state scritte su di lui (Enrico Caruso, Milano 1938).
Negli ultimi anni della sua lunga esistenza, il D. preferi alla vita difficile del palcoscenico i più solidi e redditizi introiti di alcune imprese edilizie. Morì a Napoli, in grande agiatezza, il 13 dic. 1941.
Fonti e Bibl.: Lecce, Arch. della cattedrale, Liber baptizatorum, vol. 88 (1853), c. 4; A. Foscarini, Saggio di un catalogo bibliogr. degli scrittori salentini, Lecce 1894, pp. 86, 286;G. Bastianelli, P. Mascagni, Napoli 1910, p. 147; P. Sorrenti, I musicisti di Puglia, Bari 1966, p. 68;A. CassiRamelli, Libretti e librettisti, Milano 1973, pp. 255-257; H. Rosenthal-J. Warrack, Diz. dell'opera lirica, I,Firenze 1974, p. 21; V.Terenzio, La musica ital. nell'Ottocento, Milano 1976, p. 421; C. Parmentola, La giovane scuola, in Storia dell'opera, I, 2, Torino 1977, pp. 533- 554, 562, 571;L. Alberti, Caruso, Enrico, in Diz. biogr. degli Ital., XXI,Roma 1978, pp. 1 s.; C. SchmidI, Diz. univ. dei musicisti, suppl., pp. 238 s.; Encicl. dello Spett., IV, col. 198;V, coll. 1314, 1317; VII, col. 228; Encicl. della musica Rizzoli Ricordi, II, p. 247.