DANZETTA, Nicola
Nacque a Perugia il 6 maggio 1820, primogenito del barone Fabio e della contessa Tommasa Oddi Baglioni, e ricevette, insieme con i fratelli Giuseppe e Pompeo, un'educazione adeguata al suo rango: nel 1829 entrò convittore nel collegio Pio della Sapienza, e nell'agosto del 1837 fu ammesso a frequentare la facoltà di giurisprudenza presso l'ateneo perugino, conseguendo il dottorato nel luglio 1840.
Con la morte del padre, nel 1837, a causa dell'inesperienza della madre di fronte a una serie di vertenze giudiziarie contro debitori, il D. dovette assumersi, diciassettenne, il difficile compito dell'amministrazione del patrimonio e della casa.
Le prime carte del Fondo Danzetta a lui relative, a partire dal 1840, lo mostrano impegnato in lunghe e costose cause; e il suo primo successo fu la vincita della vertenza contro la famiglia Aluigi per l'eredità Friggeri, iniziata nel 1831 e dibattuta davanti alla Sacra Rota. Questa attività di amministratore, che lo spingeva a lunghi e frequenti soggiorni a Roma e a Firenze, fu un'esperienza proficua per la sua formazione intellettuale e per l'allargamento di rapporti, poi assai importanti, sul piano politico. Si aggiungano il peso avuto dal padre in certi ambienti cittadini, e forse anche per il D. come per i fratelli, il ricordo e l'esempio del suo impegno politico e delle relazioni avute nel periodo francese e napoleonico.
Il D. entrava intanto nella vita amministrativa cittadina: nel Collegio della mercanzia di cui, nel luglio del 1841, assunse l'incarico di amministratore; nel 1843 venne chiamato all'ufficio di cassiere di un istituto di credito privato, sorto per iniziativa di alcuni cittadini fra cui lo stesso D., che fu il nucleo della futura Cassa di risparmio di Perugia. L'elezione nel 1845 a consigliere comunale segnò l'inizio della sua attività politica; all'incirca in questo periodo era ammesso alla massoneria nella loggia perugina "Fermezza" assieme al fratello Pompeo e all'amico R. Ansidei. Abbandonerà la loggia alla fine del 1860, poiché di orientamento repubblicano e fedele alla ritualità scozzese, per entrare nella loggia governativa di rito italiano o rito simbolico denominata "Fede e Lavoro", fondata da T. Ansidei.
In seguito alle riforme concesse da Pio IX, divenne capitano del I battaglione della guardia civica; come consigliere comunale venne nominato membro di numerose deputazioni, tra cui quella della Grascia preposta all'amministrazione dell'Annona (carica ricoperta varie volte dai membri della sua famiglia), e venne nominato elettore ai comizi distrettuali per il comune.
Di fronte alla domanda politica di partecipazione al potere da parte del gruppo moderato di cui il D. era esponente, la situazione a Perugia alla fine del 1847 si era andata facendo sempre più difficile. Delusione dei liberali per la lentezza del riordinamento dell'amministrazione e per il fatto che rimaneva ancora saldamente nelle mani degli ecclesiastici; malcontento ed irrequietezza fra le masse popolari. Sintomo di una situazione che recava in sé pericolosi elementi di deterioramento fu una denuncia anonima inviata al governo di Roma nel '48, animata da un acceso spirito reazionario, in cui si sottolineava il pericoloso stato "effervescente" della città di Perugia, l'ostilità della "gioventù... contrarissima ai sistemi del... Pacifico e benevolo Governo", le "massime perverse, e principii settari e Liberali" dei dirigenti della locale Cassa di risparmio, sempre a contatto, per il loro lavoro, con il "Basso Popolo ignorante"; e denunciava soprattutto i soggetti particolarmente "perfidi, ed iniqui", cioè Guardabassi, Girolamini, G. Degli Azzi e il loro "Amico del Cuore, Nicola Danzetta" (Ciaurro, pp. 58, 245-51).
Allo scoppio della guerra, mentre i due fratelli, Giuseppe e Pompeo, partivano col numeroso corpo dei volontari perugini, il D., cui la diretta amministrazione del patrimonio familiare richiedeva la presenza in città, continuò a svolgere la sua opera nell'ambito del Consiglio comunale. Nell'aprile del '48, con F. Guardabassi, A. Fabretti, R. Ansidei ed altri, fu tra i promotori dei comitati preparatori per i comizi elettorali tenutisi in tutto lo Stato romano nel maggio dello stesso anno. A luglio avanzato, quando già le sorti della guerra volgevano al peggio (Pompeo era morto il 9 maggio durante gli scontri a Cornuda, e Giuseppe si apprestava a spostarsi a Venezia), si costituì a Perugia un Comitato di guerra di cui anch'egli fece parte. Tra la fine di agosto e i primi di ottobre il D. soggiornò a Roma per ottenere l'esenzione dalla tassa di successione; la corrispondenza con la madre (Fondo Danzetta, lettere per nominativi, b. 18) è interessante per i giudizi e i commenti sull'ambiente politico romano e per una prima valutazione diretta del suo impegno politico.
Il 7 settembre - era al governo il ministero Fabbri - scriveva: "...Non è possibile l'ideare la confusione e il disordine che regna in quasi tutti i dicasteri... i birbanti (e qui sono molti) non fanno altro che attorniare il papa e mettergli delle paure addosso o di eresia o di Repubblica, nel che sono adiuvati da alcuni giornalisti in specie dai redattori del Labaro e del Costituzionale, nell'ultimo dei quali si è avuto persino l'impudenza di dire che nel giorno di domani doveva proclamarsi in Roma la Repubblica, mentre invece questi gaudentoni di Romani richiamano i bei tempi di Gregorio XVI, ne' quali si sentivano sempre dei buoni cantanti, perché era sempre aperto il teatro, e cose simili. Qui in Roma dai buoni si desidererebbe rieletto a deputato Sereni, poiché la Camera ha bisogno di deputati veramente liberali, onesti e l'ingegno; tra gli altri posso[no] citarsi Galletti, Mamiani, ed il famoso Andrea Romeo, che ebbi la fortuna di conoscere ieri...".
Anche il D., quindi, come gran parte dei moderati del tempo, tendeva a scagionare Pio IX, considerandolo vittima delle "mene gesuitiche e del partito gregoriano austriacante". Si manifesta inoltre anche una costante della sua posizione politica: l'avversione a ogni avventura rivoluzionaria di tipo popolare che potesse portare ad un'eversione politico-sociale; da qui la sua ferma opposizione al mazzinianesimo (nel '61 additerà in Mazzini e Garibaldi i nemici più pericolosi dell'Italia e nel '62 accuserà la "scuola democratica" di far proseliti per rovinare la causa italiana, "al trionfo della quale han ben poco o nulla contribuito" (FondoDanzetta, lettere alla moglie Vittoria, b. 22, del 21, 23 e 24 marzo 1861 e del 25, 28 e 29 genn. 1862).
Nel grave periodo conclusosi con l'assassinio di P. Rossi, il D. non dette che schematici resoconti. Motivo di continua preoccupazione era l'andamento degli affari privati; tra essi molto gli premeva la definitiva conclusione del contratto dotale con la famiglia Guardabassi: infatti qualche mese dopo (14 febbr. 1849) sposò Vittoria, figlia di Francesco Guardabassi, uno dei maggiori protagonisti della vita politica perugina. Se alla decisione il D. era giunto dopo molte esitazioni, dovute assai probabilmente a considerazioni economiche (aveva chiesto una dote di 13.000 scudi, fedele alla linea della "politica matrimoniale" della famiglia), il matrimonio segnò la sua rapida ascesa, anche se inizialmente non godeva di una larga base politica. Aveva già aderito al Circolo popolare, in cui si raccoglievano tutte le forze dell'opposizione perugina, nell'ottobre del '48, come membro della commissione economica, ed aveva anche rinunciato ad altre cariche, tra cui quella di maggiore del I battaglione della guardia nazionale per le sue "limitatissime militari cognizioni, e la molteplicità delle sue attività pubbliche e private".
Rivelandosi assai difficile la pratica per l'esenzione dalla tassa di successione, il D. ottenne un'udienza dal papa, e in una delle sue ultime lettere da Roma alla madre riferiva le impressioni: "...non potete immaginare l'affabilità del Papa per quanto ne fossi prevenuto; ha quasi sempre superato la mia aspettazione. Ho conosciuto che è un furboinarrivabile! maè certo che in ogni modo, la sua affabilità per chi deve parlargli di affari, fa molto piacere..." (Fondo Danzetta, b. 18, 3 ott. 1848).
Mentre il fratello Giuseppe combatteva con Garibaldi alla difesa di Roma, il D. non prese diretta posizione, continuando in questo la politica del "doppio binario" tipica di tante famiglie dello Stato pontificio. Con la caduta della Repubblica a lui e a G. Negroni venne affidata la rappresentanza in Perugia da G. Rota; la nuova giunta governativa - in cui svolse un ruolo di mediatore - si sciolse solo il 31 ag. 1849. Venne coinvolto comunque nella repressione: nel 1852 la polizia redasse un rapporto segnalando moltissimi nomi di "cittadini perugini sospetti di patriottismo" e nella notte tra il 16 ed il 17 agosto il D. venne arrestato.
Accusato di appartenere a una società segreta di tipo "mazziniano-rosso", con la funzione di cassiere e pagatore degli associati, nella sua relazione (Fondo Danzetta: Narrazione dei fatti concomitanti e susseguenti l'arresto del barone N. D, di Perugia descritti da se medesimo) afferma che poté scagionarsi "trionfalmente, e con poca difficoltà". Comunque, la detenzione continuò ancora per otto mesi, nonostante l'intervento di nobili famiglie di assoluta ortodossia politica, come i Baglioni e i Conestabile, che si muovevano ai più alti livelli, riuscendo a chiedere raccomandazioni allo stesso Radetzky, alla principessa Maria Bonaparte Valentini, al principe di Liechtenstein.
Liberato nell'aprile del '51 sottoposto a stretta sorveglianza da parte della polizia, il D. sembrò scomparire dalla scena politica, dedito esclusivamente agli affari ed alla gestione del suo patrimonio, di quello del Sodalizio di S. Martino e del Collegio della mercanzia. Nel luglio del '56 si recò a Livorno dal conte Valentini per trattare le nozze tra la figlia e il cognato Giunio Guardabassi; a Firenze frequentò il Gabinetto Vieusseux ed è probabile che in questa occasione abbia riallacciato legami con gli esponenti del gruppo moderato toscano. Sul finire del 1857 tornò alla pubblica amministrazione in Perugia come consigliere Comunale.
Frequenti le assenze - che appaiono ora chiaramente ispirate a motivi ed intenti politici - dalla città nel corso del '58: con R. Omicini si recò nella capitale piemontese per porsi in contatto con il Comitato centrale della Società nazionale (non vi sono testimonianze, nel Fondo Danzetta, della sua espansione in Umbria; ma sicuramente il D. riuscì a prendere la direzione del comitato perugino, assieme a Z. Faina, e grazie soprattutto all'appoggio del suocero, F. Guardabassi) e ricevere poi le istruzioni tramite il Gualterio a Firenze. Venne quindi implicato nell'insurrezione di Perugia nel giugno '59 come membro del Governo provvisorio e in tale veste - con il ripristino dell'autorità pontificia sulla città - condannato a morte dal tribunale militare il 20 luglio, condanna poi commutata, con decreto del 29 ott. 1859, in esilio.
La notizia dell'insurrezione di Bologna era stata il segnale indicato dal Gualterio per la sollevazione di Perugia: il Comitato sedette in permanenza per decidere il momento e la maniera più opportuni per agire. Contrastanti i pareri: solo Guardabassi, Faina, Berardi, Bruschi propendevano per una immediata sollevazione, mentre il D., schierato con l'ala più moderata del Comitato, consigliava di temporeggiare. Egli, il 17 giugno, lasciò la città per esporne la critica situazione al Cavour, ma era ancora in viaggio quando gli giunse la notizia che le truppe pontificie ne avevano sopraffatto la resistenza. Il 21 giunse a Torino e si recò ugualmente dal primo ministro piemontese, anche se la capitolazione di Perugia aveva annullato lo scopo principale della sua missione. Di lì si trasferì poi a Firenze, dove si incontrò con gli altri membri del Comitato messisi in salvo con la fuga, e poi si spostò ad Arezzo, per seguire più da vicino gli avvenimenti perugini. Sul D. si appuntarono numerose critiche riguardanti la sua azione politica in questo momento: il Mazzonis afferma che "circolarono anche voci che l'accusavano di viltà personale e addirittura di tradimento..." (p. 133).
L'arrivo delle truppe piemontesi in Perugia, nel settembre 1860, segnò per il gruppo moderato locale la definitiva affermazione sul piano politico. Forte dei legami stretti durante l'esilio, il D. fu nominato gonfaloniere, carica che conservò fino alla primavera del '61, un riconoscimento ufficiale, da parte piemontese, del suo prestigio politico, consolidatosi nonostante i ripetuti attacchi degli esponenti del partito democratico. Eletto deputato nell'ambito della Destra nel corso del '61, appoggiò sempre la politica governativa.
Momento per lui difficile fu il passaggio da Ricasoli a Rattazzi quando, assieme con i moderati di destra facenti capo a G. Lanza, passò all'opposizione, non solo "credendo l'attual Gabinetto per mille e mille ragioni inetto alla trattazione dei grandi interessi del paese, e per condurli senza gravi scosse alla meta da tutti sospirata...", ma anche perché avvertiva l'esigenza di stringersi "fortemente attorno al Ricasoli, anche per salvarci dalla cricca piemontese, che dopo la morte di Cavour ha rialzato la testa..." (Fondo Danzetta, b. 22, lettere alla moglie del 9 febbraio e 16 marzo '62).
Anche se i suoi interventi in Parlamento non furono molti (considerato uno dei più silenziosi e lui stesso definitosi con franchezza "piccolissimo", nonostante fosse stato "troppo innalzato"), intervenne invece proprio su un problema, quello ferroviario, che minacciava di sacrificare l'Umbria, testimoniando così un'attività, in favore della regione - a vari livelli economici e finanziari - che esplicava soprattutto nei ministeri, una politica "di corridoio" più che un'azione svolta nelle aule parlamentari: questioni a volte minori, come quella che lo vide impegnato contro il progetto di legge sul prosciugamento del lago Trasimeno (combattutissimo dai deputati umbri e particolarmente proprio dal D. e dal Guardabassi), portati avanti con l'appoggio del gruppo ricasoliano, "col mezzo dei vari Toscani".
Trapelano, dalle lettere alla moglie, il suo vivo interessamento e il suo intervento a vari livelli della vita economica cittadina, in questo strettamente legato al potente cugino Ansidei, sindaco della città. In tale ottica va vista anche la sua azione tesa a istituire in Perugia una succursale della Banca nazionale, di cui divenne uno dei maggiori finanziatori.
Morto, nel novembre del 1871, il senatore Guardabassi, sul D. cadde la scelta per un nuovo senatore. Partecipò alla vita del Senato solo per tre anni, perché ben presto fu immobilizzato da una paralisi progressiva. Morì a Perugia il 26 marzo 1895.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Perugia, Fondo Danzetta (in colloc. provvis.: cfr. C. Minciotti, Le carte del Fondo Danzetta..., in Rass. stor. d. Risorg., LX [1973], pp. 442-51); Ibid., Arch. stor. del Comune di Perugia, Amministrativo, 1817-1870, Periodo 1817-1859 (carte sparse del 1847, 1849, 1859); Ibid., Arti del Consiglio, vol. 6,1844-45, e vol. 7, 1846-1847 (carte sparse); Ibid., Museo stor. del Risorgimento (carte sparse); Perugia, Bibl. comunale Augusta, mss. 2018, 2019, 2023: Ricordi di Perugia. Cronaca autografa compilata da G. Fabretti (carte sparse); Ibid., mss. 2025, 2026, 2027, 2028, 2029, 2030: Brevi ricordi di Perugia, suo territorio e altri luoghi, scritti da G. Fabretti, dall'anno 1787 fino all'anno 1850 (carte sparse); Ibid., mss. 2068, 2069, fasc. III e I (carte sparse); Ibid., mss. 2162, 2164, 2194, 2217: Fondo A. Fabretti (carte sparse); Ibid., mss. 2359: Carteggio Mariano Guardabassi (carte sparse); Ibid., ms. 2491, fasc. 9 (carte sparse riguardanti il 20 giugno 1859); Perugia, Bibl. centrale dell'Univers. degli studi, Archivio del CollegioPio della Sapienza, Registri dell'amministrazione, b. 15, a. 1837-38; Ibid., Arch. dell'Università, arch. P. II. C. XVIII, Graduum Collationes 2, dal 1837 al 1856 (carte sparse). Sempre a Perugia, l'Arch. privato della famiglia Alfani-Silvestri. V. inoltre: V. Ansidei, Necrol. di N. D.,in Boll. della Soc. umbra di storia patria, I (1895), p. 467; Cenni biogr. letti dinanzi ai giurati del Nobile Collegio della Mercanzia nel giorno 28sett. 1895da V. Ansidei, Perugia 1896;L. Fumi, Indicazione ed estratti di documenti dal R. Arch. di Stato di Roma (1823-1860), in Arch. stor. del Risorg. umbro, I (1905), pp. 35 s. ; G. Locatelli, Copia della narraz. de' fatti concomitanti e susseguenti l'arresto del barone N. D. di Perugia descritti da se medesimo, ibid., IV (1908), pp. 101-04;B. Raschi, Movim. polit. della città di Perugia dal 1846 al 1860, cioè dalla esaltaz. di Pio IX all'anness. al Regno di Vittorio Emanuele II, Foligno 1904, pp. 56 s., 68, 73, 75, 95, 103 s.; G. Degli Azzi, Per la liber. di Perugia...,Perugia 1910, passim; O.Marinelli, La vita e l'opera di Z. Faina, Firenze 1959, pp. 5, 12, 23, 28 s., 33 s., 38, 119 ss.; A. Montesperelli, Perugia nel Risorg., Perugia 1959, pp. 55 s., 64,66, 93s.; Id., Perugia 1859. I patrioti del governo provvisorio, Perugia 1959, pp. 22-27 (la voce sul D. è a cura di Fabio Danzetta); B. Moretti, La prima Cassa di risparmio in Perugia, Perugia 1966, pp. 9 s., 17;L. Bonazzi, Storia di Perugia dalle origini al 1860, Città di Castello 1960, II, pp. 475 s.; I. Ciaurro, L'Umbria e il Risorgimento…,Bologna 1963, pp. 58, 66, 92, 145,152, 157;M. Mencarelli, L'abate R. Marchesi. I tempi, la vita e l'opera, Padova 1965, pp. 56, 71, 295, 302; U . Ranieri di Sorbello, Perugia della bell'Epoca, Perugia 1970, ad Indicem; R. Ugolini, Cavour e Napoleone III nell'Italia centrale, Roma 1973, ad Indicem; F. Mazzonis, Correnti polit. in Umbria prima dell'Unità, in Atti dell'Ottavo Convegno di studi umbri. Gubbio, 31 maggio-4 giugno 1970, Perugia 1973, pp. 121, 128, 130-33, 141; F. Bartoccini, La lotta politica in Umbria dopo l'Unità, ibid., pp. 204 s., 210 ss., 215-25, 229-34; U. Bistoni-P. Monacchia, Due secoli di massoneria a Perugia e in Umbria (1775-1975), Perugia 1975, ad Indicem; Diz. del Risorgimento naz., II, pp. 834 s.