NICOLA da Tolentino, santo
NICOLA da Tolentino, santo. – Figlio di Compagnone dei Guarutti o Guarinti e di Amata dei Guidiani o Gaidani, di media condizione sociale, nacque a Castel Sant’Angelo, oggi Sant’Angelo in Pontano (Macerata), nel 1245. Fu chiamato Nicola in omaggio a s. Nicola di Bari, la cui intercessione, secondo i genitori, sarebbe stata decisiva per il suo concepimento.
L’ascolto di una predica di frate Reginaldo a Sant’Angelo (1259 circa) mosse il giovane Nicola, dopo aver frequentato la scuola parrocchiale e poi quella della prioria di S. Salvatore, a entrare nell’Ordine degli Eremiti. Fu novizio forse a San Ginesio. Poiché predicava e confessava doveva aver acquistato una certa preparazione già prima di essere ordinato sacerdote, ciò che avvenne a Cingoli da parte del vescovo Benvenuto Scotivoli (1264-88) probabilmente nei primi anni Settanta del ’200. Prima della definitiva conventualità a Tolentino, fu presente in altre località delle Marche: Valmanente (Pesaro), Recanati, Fermo, Montegiorgio, Montolmo (Corridonia), Macerata, Treia, Cingoli, Piaggiolino (Fano); a Sant’Elpidio fu maestro di noviziato; a San Ginesio si recò in occasione di un capitolo. Stette a Tolentino a partire dal 1275 per trent’anni, conducendo vita da perfetto religioso, in una quotidianità pervasa di rigore e di virtù.
Morì a Tolentino il 10 settembre 1305.
La ricostruzione del percorso biografico e della figura religiosa e spirituale di Nicola poggia su tre fonti scritte coeve, di carattere prettamente agiografico, mentre solo un atto notarile del 1294 menziona un frate Nicola presente nel convento di Tolentino.
La prima fonte è la Historia Beati Nicolai de Tolentinoordinis Heremitarum Sancti Augustini, compilata tra il 1325 e il 1326 da Pietro da Monterubbiano, qualificato lettore. Questi compare nel gruppo di frati del convento tolentinate che promossero il processo di canonizzazione e avrebbe dovuto apportare anche la sua testimonianza, che invece non risulta prodotta. La Historia, trasmessa da 14 testimoni, dei quali si è servito Francesco Santi per l’edizione critica apparsa nel 2007, si articola in 18 capitoli: 1-3. nascita, fanciullezza, giovinezza; 4. ingresso nell’ordine e professione; 5. soggiorno come sacerdote a Valmanente (Pesaro) e a Recanati; 6. trasferimento da Fermo a Tolentino, dopo la tentazione di lasciare l’ordine; 7. permanenza per trent’anni a Tolentino, praticando rigorosa ascesi; 8. pratiche penitenziali e assalti del demonio; 9. opere di pietà; sogno dell’astro splendente e apparizione della stella; 10. miracoli in vita; 11. infermità; 12. devoto trapasso; 13. raccordo tra la narrazione della vita e i miracoli dopo la morte; 14. miracoli relativi alla vista; 15. guarigioni di paralitici e zoppi; 16. guarigioni di sordi e di muti; 17. resurrezioni; 18. salvataggi di prigionieri e naufraghi. La Historia converge con gli atti del Processo, ma apporta anche contributi propri quali la proposta del cugino di lasciare l’Ordine degli eremiti per una soluzione religiosa meno difficile (cap. 6); la liberazione delle anime dal purgatorio e di Gentile, suo fratello, dall’inferno (cap. 5); la visione della stella (cap. 9).
La seconda fonte è costituita dagli atti del processo di canonizzazione, indetto da Giovanni XXII con la bolla Pater luminum et misericordiarum del 23 maggio 1325, presentata da frate Pietro da Castello, priore provinciale della Marca anconetana, e da frate Simone da Montecchio (Treia), priore del convento di Tolentino, ai vescovi Federico di Senigallia e Tommaso di Cesena il giorno 7 luglio del medesimo anno nel palazzo del Comune di Macerata. La lettera pontificia era rivolta anche all’abate del monastero di S. Pietro di Perugia, che però rinunciò. Il 20 luglio i due presuli diedero inizio alla prassi processuale. Il 23 luglio si presentò davanti a loro frate Tommaso da Fermo esibendo l’atto con cui era stato nominato procuratore dal capitolo dei frati del convento di Tolentino; nell’atto di procura comparivano 20 nomi di frati, il primo dei quali risultava Pietro da Monterubbiano. Pubblicato in edizione critica nel 1984, il testo costituisce uno dei non molti processi d’età medievale integralmente conservati. I 22 articuli interrogatorii, forse redatti dallo stesso Pietro da Monterubbiano, vertono: 1. sui miracoli prima e dopo la morte; 2. sulla nascita; 3. sulla perfetta fede cattolica dei genitori; 4. sul comportamento cristiano tenuto da Nicola; 5. sulla grazia ottenuta dai genitori che, desiderosi di avere prole, si rivolsero a s. Nicola di Bari; 6-9. sul comportamento tenuto da Nicola in età puerile; 10. sul suo ingresso nell’Ordine degli eremiti di S. Agostino; 11-21. sul suo comportamento in religione; 22. sulle sue opere di carità. Enunciati gli articoli di interrogazione, si avviò la prassi processuale con le citazioni dei testimoni e i loro giuramenti. Il processo si svolse in tempi rapidi, concentrato nei mesi tra luglio e settembre ed ebbe luogo a Macerata, Tolentino, San Ginesio, Camerino, San Severino. Le testimonianze furono 371 (di 196 uomini e 175 donne), di cui 64 di appartenenti al clero: due vescovi (Pietro Mulucci di Macerata; Berardo da Varano di Camerino); 23 eremiti di S. Agostino; 18 del clero diocesano (tra cui 6 canonici); 12 del clero regolare (tra cui 4 abati); 9 suore (le cistercensi del monastero di S. Lucia di San Ginesio). I testimoni si possono suddividere in due grandi raggruppamenti: il primo comprendeva coloro che conobbero personalmente il santo e quindi erano in grado di offrire informazioni dirette sulle sue virtù e sulla sua configurazione di uomo, di asceta, di apostolo, di taumaturgo; il secondo raccoglieva coloro che invece non lo conobbero, ma riferirono ex auditu e sovente deposero circa i miracoli post mortem. Il Processo raccoglie le attestazioni di ben 300 tra miracoli e prodigi operati dal santo in vita e dopo la morte: quelli in vita diretti a soccorrere le umane miserie, in umile atteggiamento di intercessione presso Dio; quelli dopo la morte ottenuti per le fiduciose preghiere rivolte a Dio dai suoi devoti. Promotori del processo furono l’Ordine, giovane in rapporto a francescani e domenicani, in fase di espansione nella prima metà del ’300; il rettore della Marca di Ancona, Amelio di Lautrec, che si trovò a governarla in tempi di forti e violente tensioni tra guelfi e ghibellini; centri come Tolentino, Camerino, Macerata rimasti di parte guelfa così come di parte guelfa furono alcuni testimoni. Ciò ha indotto a individuare nel Processo una fisionomia guelfa attorno a una figura di mite e pacifico frate e sacerdote, taumaturgo.
Il Processo fu presentato in concistoro il 5 dicembre 1326 e dal pontefice assegnato a una commissione di tre cardinali (Vitale du Four, Ganzelino Ioannis de Ossa, Giacomo Stefaneschi; Vitale fu poi sostituito da Guglielmo Godin). Fu così redatto un Compendio articolato in tre parti: 1. sintesi della vita; 2. miracoli; 3. devozione popolare. Questo Compendio, di cui si hanno cinque testimoni e si dispone ora dell’edizione critica apparsa nel 2002, fu consegnato al pontefice nel 1328.
Alle fonti scritte si può affiancare il ciclo del celebre Cappellone, nella basilica di Tolentino, la cui stesura pittorica si riconduce ai primi decenni del ’300 e si assegna alla bottega di Pietro da Rimini. Nelle vele sono raffigurati i quattro Evangelisti e i quattro Dottori della Chiesa; nelle lunette storie della Vergine; nella fascia mediana storie di Cristo; nella fascia inferiore 13 episodi della vita di Nicola che in parte trovano riscontro nel Processo e in parte nella biografia di Pietro da Monterubbiano. Per quanto si possa discutere sul programma della composizione narrativo-pittorica e sul suo significato ecclesiologico, certo è che la vita di Nicola è inserita nel quadro della dottrina della salvezza da realizzare attraverso il suo essere religioso e sacerdote e, ovviamente, l’intento è quello di trasmettere la nozione della santità di Nicola dalla nascita, avvenuta per intervento miracoloso, al sereno trapasso (simile alla dormitio Virginis) con l’animula accolta da Cristo, dalla Vergine e da s. Agostino passando per la raffigurazione di alcuni miracoli di particolare effetto e di significato cristomimetico.
Nonostante la rapidità dei tempi del processo, Giovanni XXII non procedette alla canonizzazione. Le tensioni con l’impero, lo scisma (con l’antipapa Niccolò V), i fermenti ideologici, politici e dottrinali non costituivano il clima migliore per procedere a una solenne canonizzazione (lo stesso avvenne anche nel caso di Chiara da Montefalco). L’Ordine degli eremiti di S. Agostino, però, mirò costantemente a tale obbiettivo. Nella seconda metà del ’300 la chiesa di S. Agostino di Tolentino venne chiamata chiesa di S. Nicola; dopo il 1355 la Historia di Pietro da Monterubbiano fu volgarizzata da Remigio da Firenze; il 13 aprile 1357 Innocenzo VI con la bolla Quae ad divini nominis, indirizzata al card. Egidio d’Albornoz, ordinò di riprendere le indagini dietro richiesta del priore dell’Ordine. Bonifacio IX con la bolla Splendor paternae gloriae del 1389-90 favorì il culto e poi con la Licet is de cuius del 1° marzo 1400 concesse indulgenza simile a quella della Porziuncola a chi avesse visitato la tomba e la chiesa di S. Nicola. Questi documenti provano che era venerato come santo prima della canonizzazione formale che avvenne il 5 giugno 1446 con cerimonia solenne a Roma; la bolla ufficiale fu emanata il 1° febbraio 1447; la festa fu fissata al 10 settembre. La canonizzazione fu funzionale all’Ordine, che trovò così il suo primo santo, al pontefice, che celebrò in questo modo la riconquista politico territoriale delle Marche, nonché alla comunità civica di Tolentino, che acquistò il suo santo patrono moderno. Tolto per breve tempo dal calendario della Chiesa universale con la riforma di Pio V, Nicola vi fu reinserito da Sisto V con la bolla Sancta Romana Ecclesia del 23 dicembre 1585.
La qualità di taumaturgo è la più appariscente della santità di Nicola, ma va detto che nella sua figura sono assommati una pluralità di segni e significati che ne fanno un santo moderno per il suo Ordine in quell’epoca. Se il rigore ascetico-penitenziale – fatto di astinenza da alimenti quali carne (il drastico rifiuto di questa lo porta a una dinamica tensione in rapporto all’obbedienza dovuta ai superiori [cap. 7 della Historia, ed. Santi, pp. 114-117]), uova, pesce, formaggio; di frequenti digiuni a pane e acqua; di preghiera costante (la forza della quale è esaltata con la narrazione della liberazione del fratello Gentile dall’inferno [cap. 5, pp. 110-111]); di afflizioni corporali con la pratica della disciplina – rinvia a un contesto di santità eremitica tradizionale, altri tratti lo propongono come modello del perfetto frate sacerdote. Egli vive la sua ascesi nella dimensione della comunità conventuale, attivo in tutti quei compiti che competono alle funzioni sacerdotali, per esempio celebrando con grande devozione ed effusione di lacrime la messa, prima della quale sempre si confessa: l’episodio della liberazione delle anime dal purgatorio grazie alle messe celebrate da Nicola (cap. 5, pp. 106-109) è volto a dar prova della validità di tale celebrazione tanto più se officiata da un degno e santo sacerdote. Si dedica ampiamente all’ascolto delle confessioni tanto che in tempo di Quaresima non mangia fino a sera (Processo, testi 10, 14, 245) e volentieri gli uomini confessano a lui i propri peccati a motivo della sua buona vita e devozione (teste 14). Predica e le persone che lo ascoltano rimangono contente (teste 28). Visita gli infermi e sostiene i poveri. Seda le discordie. Pone pace tra moglie e marito (teste 233). È descritto sempre come umile, benigno, affabile, onesto, casto. Sovente, infatti, i testimoni che lo hanno conosciuto si diffondono sulle sue doti personali: «erat modestus, quietus; non erat miser, nec invidus, nec cupidus et fugiebat libenter scandala; non erat fantasticus, immo sapiens et discretus; non erat avarus, nec negligens, sed erat multum obiediens priori suo» (teste 173). Il Compendio procede a una sintesi: «pudico, casto, modesto, riservato, sereno, generoso, tranquillo, alieno da invidia, nemico degli scandali, per nulla ambizioso né stravagante; morigerato, giusto, saggio, prudente, discreto; odiava l’avarizia, detestava la negligenza, si interessava con cura di quanti erano affidati a lui; dotato di buon senso, era fedele, umile, cortese» (cfr. Tornando alle fonti..., 2002, p. 11).
La sua fedeltà all’Ordine è esaltata dal cap. 6 della Historia (ed. Santi, pp. 112 s.): Nicola è tentato da un cugino a cambiare ordine poiché il suo è poverissimo, ma resiste ed è ovvio l’intento del frate biografo di farne così un campione di coerente adesione al ‘nuovo’ ordine mendicante. Nicola mantiene una rigorosa povertà personale circa le vesti e il giaciglio, ma è lontano da radicali tensioni pauperistiche: devoto di Agostino ne rispetta la regola. «Quanto al vitto e al vestito dei frati, ogni cosa gli sembrava insufficiente, mentre per sé si accontentava di poco. Per grazia di questa virtù non si preoccupava delle cose proprie, ma di quelle di Gesù Cristo, anteponendo non le cose proprie alle altrui ma le altrui alle proprie, per essere pienissimo osservatore della regola del padre suo santissimo Agostino il quale, in quel luogo in cui espone le parole dell’ apostolo Paolo, osserva: “La carità di Dio, della quale è scritto che non cerca le cose proprie ma le comuni, così si intende, che antepone non le proprie alle comuni ma le comuni alle proprie”» (cap. 9, p. 127). Se gli assalti diabolici narrati dal biografo bene rientrano in un topos agiografico, va detto che essi non trovano nelle testimonianze processuali adeguati riscontri. La forte immagine che emerge da esse è in linea di massima quella del perfetto frate sacerdote in grado di condurre ‘vita mista’, unendo dimensione ascetico-penitenziale con le necessità dell’apostolato. Nicola, pur dotato di apparizioni e premonizioni, non si distingue tuttavia per estasi o per rivelazioni mistiche straordinarie. Certamente è un santo cristomimetico, ma non vi è accentuata enfasi per la Passione, l’umanità e la povertà di Cristo. La sua è una santità vicina al quotidiano, ai problemi della gente, non lontana e non inimitabile. È il santo dei rapporti con le persone come prova, per esempio, il legame amicale con il notaio Bernardo Appillaterre e la sua famiglia (Processo, teste 16).
Il culto fu immediato, come attestano le fonti coeve scritte e iconografiche, e diffuso (testi 16, 82, 87): in Romagna, nella Tuscia, nel Ducato di Spoleto, nella Marca di Ancona fino a zone del Regno di Sicilia. Il ruolo dell’Ordine per la diffusione del culto è stato costante e persistente, propagandolo nel tempo ovunque nel mondo: dall’originaria area marchigiana e tolentinate a tutta la penisola italiana fino alla Spagna, all’America centro-meridionale, alle Filippine; dai Paesi Bassi e dalla Francia fino all’Argentina. La Historia in età tardomedievale, fu tradotta in antico islandese passando per una versione medio-basso tedesca. Il carmelitano Battista Spagnoli di Mantova fece della vita di Nicola un poema epico apparso nel 1509. Epitomi della vita di Nicola sono state inserite nel Chronicon di Antonino da Firenze, nel Legendarium di Ermanno Greven, nel Liber vitasfratrum di Giordano di Sassonia.
La vastità delle raffigurazioni del santo in affreschi, tavole, tele, sculture, incisioni, opere di oreficeria e quant’altro – raffigurato da solo con i suoi specifici attributi (croce, giglio, libro, sole/stella), o nell’atto di compiere un miracolo, o insieme a Cristo, alla Vergine, a s. Agostino o altri santi, in ‘sacre conversazioni’ ecc. – danno davvero il tono dell’estendersi del culto in modo pressoché capillare.
Il patrimonio di 397 ex-voto dal XV al XIX secolo, conservati nel Museo del Santuario a Tolentino, attesta l’ampia devozione popolare tutt’ora in piena vitalità. Il perdono concesso da Bonifacio IX si celebra la domenica dopo il 10 settembre; era ed è invocato per le anime del purgatorio oltre che per le tante necessità della vita umana; presso il santuario alla quarta domenica di Quaresima si ha il rito della benedizione di piccoli pani che poggia su di un episodio narrato dalla Historia (cap. 7, ed. Santi, pp. 119-121), cioè la prodigiosa guarigione di Nicola, per intercessione della Vergine, con un pezzo di pane bagnato nell’acqua.
La salma, conservata nella cripta dell’attuale santuario, si mantenne incorrotta fino al 1345, dopo di che le braccia furono recise e la devozione si concentrò su di esse da cui – tra ’500 e ’600 – si sarebbero avute numerose effusioni di sangue. Ritrovati i resti di Nicola, nel 1926, a essi furono ricongiunte le braccia.
Fonti e Bibl.: Il Processo per la canonizzazione di s. N. da T., a cura di N. Occhioni, Roma 1984; Il Compendio del Processo di canonizzazione di san N., a cura di R. Cicconi, Tolentino 2002; Tornando alle fonti. La figura di s. N. negli Atti del Processo di canonizzazione, Tolentino 2002; Petrus de Monte Rubiano, Historia beati Nicolai de Tolentino. Introduzione, edizione critica della redazione vulgata, traduzione e commento, a cura di F. Santi, Tolentino 2007 (con ampia bibliografia). Poiché la letteratura storiografica sul personaggio è cospicua si rinvia a C. Alonso, Saggio bibliografico su s. N. da T., Tolentino 1991, e all’ampia bibliografia presente nell’edizione di F. Santi, segnalando i seguenti testi: Gli ex-voto per s. N. a Tolentino, Tolentino 1972; D. Gentili, Un asceta e un apostolo. S. N. da T., Tolentino 1978; E. Ruggeri, L’archivio del convento di S. Nicola e i suoi più antichi documenti, in Studi maceratesi, XIII (1979), pp. 114-116 (per il doc. del 1294); A. Trapé, S. N. da T.. Un contemplativo e un apostolo, Cinisello Balsamo (MI) 1985; S. N., Tolentino, le Marche, Tolentino 1987; Arte e spiritualità nell’Ordine agostiniano e il convento di S. Nicola a Tolentino, Tolentino 1992.; Arte e spiritualità negli ordini mendicanti. Gli agostiniani e il cappellone di S. Nicola da T., Tolentino 1992; Il cappellone di S. Nicola a Tolentino, Milano 1992; S. N. da T. e le Marche. Culto e arte, a cura di R. Tollo-E. Bisacci, Tolentino 1999; L. Radi, S. N. da T., Cinisello Balsamo (MI) 2004; La Saga di s. N. da T., a cura di G. Salvucci, Tolentino 2004; Immagine e mistero. Il sole, il libro, il giglio. Iconografia di s. N. da T. nell’arte dal XIV al XX secolo, a cura di M. Giannatiempo Lopez, Milano 2005; Per Grazia Ricevuta. Gli ex-voto del Museo di S. Nicola a Tolentino, Tolentino 2005; Santità e società civile nel Medioevo. Esperienze storiche della santità agostiniana, Tolentino 2005, passim; Escatologia, aldilà, purgatorio, culto dei morti. L’esperienza di S. N. da T., Tolentino 2006; S. N. da T. nell’arte. Corpus iconografico, I-III., Tolentino 2005-2007; Bibliotheca Sanctorum, IX, coll. 953-968; Il grande libro dei santi. Dizionario enciclopedico, III, pp. 1489-1493.