NICOLA da Rocca
NICOLA da Rocca (Nicolaus de Rocca). – Non si hanno molte notizie sulle origini di questo importante notaio e rinomato dictator, ma, in base al percorso da lui compiuto all’interno dell’amministrazione cancelleresca sveva, si può presumerne la nascita tra la fine del primo e l’inizio del secondo decennio del XIII secolo.
Da un documento papale del 31 ottobre 1254 (Registres d’Innocent IV, 1884-97, 8122), in cui gli vengono confermati i diritti su alcune terre site «in territorio Suessano, circa portus Gariliani et Sugii et quibusdam excadentiis Rocce Guillelmi et medietate feudi quondam Johanini de Camera in Miniano», si sa che proveniva da Rocca Guglielma (una frazione dell’attuale Esperia) e anche che apparteneva a una famiglia nobile.
Lo stesso documento informa che aveva un fratello di nome Marino, cappellano papale, mentre dall’epistolario (Epistolae, ed. F. Delle Donne, «Edizione nazionale dei testi mediolatini» 9, Firenze 2003, n. 61) si apprende che aveva almeno altri due fratelli, Giovanni e Filippo, e una sorella, sposata con un non meglio identificato Rainaldo. Dati i rapporti piuttosto frequenti e stretti che ebbe con il cardinale Giordano Pironti di Terracina, vicecancelliere papale, è probabile che il Giovanni fratello di Nicola fosse lo stesso Giovanni de Rocca attestato, tra la fine del 1263 e la prima metà del 1264, come cappellano di quel cardinale. Aveva poi un nipote omonimo, cappellano del cardinale Simone Paltinerio di Monselice, le cui epistole sono trasmesse assieme a quelle dello zio.
Per quanto riguarda la sua attività professionale, la prima attestazione, in un privilegio prodotto a Gerusalemme, lo mostra come publicus notarius al servizio di Riccardo Filangieri, legato imperiale in Terrasanta, in un periodo compreso tra il 1231 e il 1242. Dovette entrare al servizio della cancelleria imperiale, inizialmente come registrator, prima del 1245: infatti risale al settembre 1245, a Cremona, la sua prima circolare scritta per conto di Federico II ai sudditi del re di Francia Luigi IX. Altre attestazioni si registrano a partire dall’aprile 1248, quando si trovava al servizio di Federico II presso Vittoria, in occasione della dura sconfitta inflitta, il 18 febbraio di quell’anno, alle forze imperiali dall’esercito parmense. La sua carriera cancelleresca da allora sembra procedere senza interruzione, con incarichi di sempre maggiore impegno. Alla morte di Federico II, gli fu affidato il compito di scrivere la lettera con cui Manfredi annunciava l’evento al fratello Corrado: segno, evidentemente, di grande stima nei confronti della sua arte retorica.
Morto Federico, si allontanò dalla disciolta cancelleria imperiale e dovette passare al servizio di altri signori. Probabilmente, tra il luglio 1252 e la prima metà del 1253, lavorò presso la diocesi di Calvi. Immediatamente dopo, però, tornò al servizio della cancelleria sveva, dapprima quella di Corrado e poi quella di Manfredi, presso la quale dovette lavorare fino alla morte di quel sovrano, avvenuta nella battaglia di Benevento del 26 febbraio 1266.
Cercò poi nuovi protettori, che trovò, probabilmente, nell’arcivescovo di Salerno, Matteo de Porta (fu amico anche dell’omonimo nipote), nel vescovo di Aquino, Pietro de Sancto Helya, e nel cardinale Pironti di Terracina. I legami con i rappresentanti della dinastia sveva, tuttavia, rimasero ancora molto forti e, quando Corradino, nel 1267-68, scese in Italia per reimpossessarsi del regno avito, Nicola dovette partecipare alla sua sfortunata impresa e dovette essere tra coloro che, per tale motivo, furono costretti all’esilio: lo si può desumere, innanzitutto, dal fatto che, per il periodo successivo, non si hanno più notizie della sua permanenza nel Regno. In ogni caso, non passò al servizio della cancelleria angioina. Non sappiamo in quale luogo si sia recato: potrebbe essere rimasto in una zona non troppo lontana, oppure potrebbe aver seguito oltralpe altri esuli, come Pietro da Prezza ed Enrico di Isernia. Certamente conosceva Enrico di Isernia, il quale, sicuramente prima del 1268, gli dedicò un elogio. All’ipotesi di un esilio in una più remota regione sembra spingere il fatto che nel ms. di Leipzig, Universitätsbibliothek, 1268, c. 77v, all’interno di una sezione dedicata ai dictamina di Nicola, viene riportata un’arenga nella cui rubrica si legge: «dicit se Riccardus de factis imperii cogitare». Poiché si tratta di un’arenga imperiale, appare probabile che il Riccardus a cui si fa riferimento sia Riccardo di Cornovaglia, re dei Romani (1257-72). Quindi, Nicola potrebbe essersi trasferito in Germania proprio al servizio di quel sovrano.
Non è possibile sapere se abbia mai più fatto ritorno in patria, ma probabilmente morì lontano dalla pace della tranquilla, anche se fredda, Rocca, tante volte da lui nostalgicamente celebrata, e quasi sicuramente in un’epoca anteriore al 1280. Il necrologio di Montecassino, ne ricorda la morte al 9 settembre di un non precisato anno.
Nicola è classificabile come uno dei più alti esponenti dello stilus supremus, quello stile sovraccarico, particolarmente ornato, ricco di metafore e di ogni altra figura di parola, a tratti oscuro, che caratterizza tutta la produzione retorico-epistolare del XIII secolo. I suoi dictamina si vengono a collocare allo snodo delle più importanti tradizioni retoriche e in essi si vennero a fondere i modelli cassinese, bolognese, romano, capuano e imperiale. Quest’ultimo, soprattutto, appreso in special modo durante il suo servizio presso la cancelleria federiciana ed elaborato sull’esempio della prosa di Pier della Vigna, il più importante dictator di quell’ambiente, dovette essere assunto a fondamento del suo stile.
I suoi modelli epistolari sono trasmessi soprattutto dal ms. Paris, Bibl. nationale, Lat. 8567, ma, in realtà, le sue lettere sono confluite nel cosiddetto epistolario di Pier della Vigna, la cui organizzazione sistematica potrebbe trovare origine, almeno in parte, proprio in una raccolta che Nicola possedeva per proprio uso personale. È suo l’elogio di Federico II, presente nell’epistolario di Pier della Vigna, da cui Dante, nel XIII canto dell’Inferno, attinse alcune espressioni.
Talvolta si è ipotizzato che sia l’autore di almeno una parte dell’Historia de rebus gestis Frederici II imperatoris eiusque filiorum, che a partire da Muratori è stata più volte edita come opera di Niccolò di Jamsilla.
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