NICOLA da Guardiagrele
NICOLA da Guardiagrele. – Figlio di Pasquale e nipote di Andrea, nacque a Guardiagrele, nell’entroterra chietino, prima del 1389.
Alla data del 12 agosto 1414 doveva avere più di 25 anni, avendo partecipato alla costituzione della lega delle libere città dell’Abruzzo citeriore indetta a Chieti per giurare fedeltà alla regina Giovanna II d’Angiò-Durazzo in qualità di «altero sindico» di Guardiagrele (Ravizza, 1832, p. 125; Appendice, in Cadei, 2005, p. 321). Un anno prima aveva licenziato il tabernacolo eucaristico per la chiesa di S. Maria Maggiore (oggi S. Franco) a Francavilla a Mare (Chieti), che costituisce la sua prima opera datata. La doppia cornice del piede baccellato dell’ostensorio reca un’iscrizione in smalto champlevé blu su fondo d’argento che tramanda i nomi dei donatori – Nano «Zanpioni» e il figlio Buccio – e dell’abate Nicola «Rahutii» di Guardiagrele, arciprete di Francavilla. Sul nodo del tabernacolo sono invece la firma dell’orafo e la data (1413), rese in argento su smalto blu.
L’ostensorio, di cui si conserva anche la custodia originale in legno rivestito di tessuto e di cuoio con l’antico stemma cittadino, ha la forma di un tempietto ottagonale in argento dorato lavorato a sbalzo, a cesello e a bulino; gli smalti traslucidi policromi e quelli champlevés contribuiscono in maniera determinante al risultato d’insieme. La teca è sorretta da un fusto polistilo con colonnette smaltate dall’andamento sinusoidale ed è aperta da otto aperture quadrangolari, entro le quali si iscrivono archi lobati intrecciati. Le facce del tabernacolo sono scandite da otto paraste rivestite di smalto traslucido di colore blu violaceo, ciascuna con due volatili in argento su smalto verde o rosso; in cima alle paraste sono le statuine di otto apostoli. Al centro dell’edicola è la figura genuflessa della Vergine che sorregge la mezzaluna d’argento destinata a supporto dell’ostia consacrata; il rivestimento in smalto azzurro del manto della Vergine si avvicina alla tecnica dell’émail enronde-bosse. Sulla copertura piramidale della teca, ornata da trafori polilobati e arricchita da fogliami rampanti lungo le costolature, spicca la statuetta, parzialmente realizzata a fusione in argento, di S. Michele Arcangelo che impugna la spada con la mano destra, mentre con la sinistra doveva sorreggere un globo.
L’ostensorio di Francavilla rivela un maestro maturo, perfettamente padrone delle tecniche orafe, che innesta un repertorio di forme architettoniche aggiornato in senso ‘internazionale’ nel solco della tradizione sulmonese in cui dovette con ogni verosimiglianza svolgere il suo tirocinio. Al mondo dell’oreficeria sulmonese rimandano infatti la forma a goccia dei castoni per gli smalti e il disegno complessivo del nodo di croce processionale, in rame dorato, proveniente dalla parrocchiale di S. Michele Arcangelo a Roccaspinalveti (Chieti) e di quello del Musée de Picardie di Amiens, ambedue firmati ma non datati, che vanno riferiti alla prima attività di Nicola. Dalla stessa chiesa di Roccaspinalveti, che forse ereditò il corredo liturgico dalla primitiva parrocchiale intitolata ai Ss. Vittoria e Nicolò, proviene una croce processionale, la cui pertinenza rispetto al nodo non è del tutto certa (ambedue gli oggetti sono nel Museo nazionale d’Abruzzo all’Aquila), ma che va senz’altro attribuita all’orafo guardiese. Il nodo di Amiens appartenne invece alla collezione del canonico Filippo Pirri, messa all’asta nel 1889, e poté forse formare un unico oggetto con la croce astile proveniente dalla stessa collezione ed esposta a Roma nel 1886, la cui attuale ubicazione è ignota (Taburet-Delahaye, 2008).
Nel 1418 Nicola sottoscrisse sul piedistalloil tabernacolo eucaristico destinato alla chiesa di S. Leucio ad Atessa (Chieti).
Come nell’ostensorio di Francavilla i baccelli del piede presentano alternativamente motivi fitofloreali in argento su smalto champlevé blu scuro e girali vegetali resi a sbalzo su sfondo sablé. Nell’ostensorio di Atessa, tuttavia, la rotazione della baccellatura è più accentuata, mentre il fusto è formato da un fascio di colonnette interrotto da un nodo in forma di tempietto esagonale, le cui facce incorniciate da elaborate ghimperghe sono costituite da placchette in smalto traslucido raffiguranti l’Arcangelo Gabriele, la Vergineannunciata e gli Evangelisti. Il fusto prosegue al di sopra del nodo fino a concludersi in un capitello che sorregge il tabernacolo pure esagonale con otto figurette di angeli apteri poste in cima alle paraste angolari dell’edicola decorate con smalti a filigrana. Attraverso gli archi intrecciati delle aperture della teca si scorge la figura genuflessa della Vergine, avvolta in un manto rivestito di smalto blu, che sostiene la lunula per l’ostia. La copertura piramidale della custodia eucaristica, dalle falde embricate prive di trafori, è coronata dalla statuina d’argento di S. Michele Arcangelo.
Le affinità formali fra le placchette in smalto dell’ostensorio di Atessa e il corpus pittorico del Maestro di Beffi suggeriscono uno stretto collegamento fra Nicola e il più anziano artista, con ogni verosimiglianza da identificare con il documentato maestro Leonardo di Sabino da Teramo, pittore, attivo a Sulmona dal 1385 fino almeno al 1435. La predilezione di Nicola per gli smalti, declinata in un ventaglio di tecniche molto ampio, e le abilità successivamente professate dai suoi tre figli in questo stesso campo rendono plausibile l’ipotesi che prima di specializzarsi nell’ambito dell’oreficeria egli abbia mosso i primi passi anche come pittore nella bottega sulmonese del Maestro di Beffi, sebbene la sua attività in questo campo sia documentata da un unico quadretto, firmato, raffigurante la Madonna dell’Umiltà e Angeli proveniente da una collezione privata aquilana e databile non oltre il secondo decennio del Quattrocento (Firenze, Galleria degli Uffizi, inv. 1890, n. 3338).
La firma sulla cornice originale in oro su fondo blu, la punzonatura del fondo dorato lungo i margini della tavola e nelle aureole, la granitura degli angeli in volo rivelano le doti di un orafo che si misura con la tecnica pittorica di Gentile da Fabriano, oltreché con i suoi modelli iconografici.
Nicola dovette assumere commissioni anche nell’ambito dell’illustrazione e della decorazione di manoscritti, dal momento che a lui si possono ricondurre le immagini di santi che corredano un prezioso libriccino di preghiere (Chantilly, Musée Condé, ms. 100, XIV.C.32).
Al 1422 risale il compimento della prima croce processionale firmata da Nicola, quella destinata alla chiesa di S. Maria Maggiore a Lanciano.
Il 26 ottobre 1421 i procuratori della chiesa – tra i quali l’abate e arciprete Filippo – richiesero a Nicola una «croce grande d’argento dorato» del prezzo di 500 ducati veneziani (Marciani, 1952, pp. 76, 134; Appendice, in Cadei, 2005, p. 323). Una decorazione a sbalzo con tralci vegetali fioriti su fondo granuloso interessa sia il diritto sia il rovescio dell’asta e della traversa della croce, le quali presentano sferule di rame ed estremità trilobate. Sul diritto compare al centro la figura di Cristo crocifisso su una croce di rami; sulle terminazioni della traversa sono raffigurati lo Svenimento di Maria a sinistra, e S. Giovanni Evangelista con due sacerdoti a destra; nella terminazione inferiore dell’asta è rappresentata la Deposizione, in quella superiore la Resurrezione. Sul verso, al centro, è il Redentore benedicente assiso in trono fra quattro placchette polilobate a smalto traslucido raffiguranti gli Evangelisti, le quali mostrano forti affinità di ordine formale coi modi del Maestro di Beffi; sulle espansioni trilobate, che sviluppano un programma mariologico collegato all’intitolazione della chiesa, sono raffigurati l’Angelo annunciante e la Vergine annunciata, rispettivamente a sinistra e a destra della traversa, l’Incoronazione della Vergine e la Dormitio Virginis con la sottoscrizione di Nicola e la data, rispettivamente in cima e alla base dell’asta. Il nodo della croce è costituito da un tempietto esagonale con le figurine di sei apostoli inserite entro nicchie cuspidate.
Il 29 luglio 1423 presenziò in qualità di giudice ai contratti per tutto il Regno all’atto di capitolazione di Guardiagrele alle milizie di Ardizzone da Carrara e di Niccolò Piccinino, luogotenenti di Braccio da Montone (Ferrari, 1906; Appendice, in Cadei, 2005, pp. 324-327). I pubblici incarichi assunti da Nicola nella città natale si spiegano con la delicatezza del compito affidato ai magistrati dell’arte degli argentieri di saggiare le leghe d’oro e d’argento, onde garantirne la qualità, e di custodire il marchio di certificazione delle stesse.
Dall’estate del 1423 al 1430 non risulta più attestato da opere o da documenti; è dunque altamente probabile che in questo lasso temporale abbia avuto luogo un soggiorno fiorentino, che è necessario postulare sulla base delle citazioni della porta nord del battistero di Firenze e, più in generale, della netta virata stilistica in senso ghibertiano dei prodotti della piena maturità, a partire dalla croce processionale per S. Maria Maggiore a Guardiagrele (1431), oggi nel Museo della parrocchiale.
La croce fu trafugata nel settembre 1979 e soltanto alcuni elementi ne sono stati recuperati fra il 1980 e il 1982 e nel 2008: dal recto il Cristo crocifisso, il trilobo terminale sinistro della traversa con la Vergine dolente, il trilobo inferiore dell’asta con la Deposizione – recante la data e la sottoscrizione di Nicola – e il trilobo superiore con la Resurrezione; dal verso il Redentore benedicente, il trilobo superiore dell’asta con S. Giovanni Evangelista, il trilobo terminale destro con S. Marco Evangelista e i quattro medaglioni polilobati in smalto traslucido con la Madonna allattante, l’Adorazione dei magi, la Fuga in Egitto e l’Incoronazione della Vergine.
Quasi identico a quello della croce di Guardiagrele è il tenore dell’iscrizione con la data (1434) e la firma di Nicola inserita sulla fronte del sarcofago di Cristo nella scena della Deposizione nel trilobo inferiore del recto della croce processionale per la cattedrale dell’Aquila, intitolata a S. Massimo (L’Aquila, Museo nazionale d’Abruzzo).
La commissione provenne dal vescovo aquilano Amico Agnifili, il cui stemma è raffigurato a smalto traslucido sul braccio sinistro della traversa, sul verso. Come nella croce di Guardiagrele, gli angeli ploranti ai lati del Crocifisso sul diritto e gli Evangelisti nelle espansioni polilobate del retro della traversa appaiono direttamente esemplati sui modelli della porta nord del battistero di Firenze. Le due croci condividono anche il gusto per le superfici decorate a minuti motivi fitofloreali in oro risparmiato su smalto blu che circondano i rilievi con gli Evangelisti e il Redentore benedicente in trono sul verso di ambedue gli oggetti. Non risentono del ‘ghibertismo’ delle parti plastiche i Simboli evangelici e gli Angeli attorno al Redentore ricavati a risparmio sullo smalto blu in ambedue le croci, i quali ancora dipendono dagli esempi tipologici e formali del Maestro di Beffi.
Nel frattempo Nicola aveva già assunto un’altra e ancor più prestigiosa commissione, quella per l’antependium dell’altare maggiore della cattedrale di Teramo, intitolata a S. Berardo. I lavori ebbero inizio nel 1433 – secondo quanto è attestato dall’iscrizione sulla formella con l’Annunciazione – e si conclusero soltanto nel 1448, come risulta dalla seconda iscrizione con la firma di Nicola sulla formella con la Deposizione nel sepolcro.
Il paliotto di S. Berardo (cm 148 x 245) si articola in 35 formelle ottagonali d’argento dorato recanti figurazioni in argento sbalzato: al centro il Redentore benedicente (che corrisponde allo spazio di due formelle) fra gli Evangelisti alla sua destra, e i quattro Dottori della Chiesa alla sua sinistra, 24 Storie di Cristo disposte su quattro registri e, da ultimo, l’episodio delle Stimmate di s. Francesco. Tra le formelle si inseriscono 22 losanghe in smalto traslucido con Cristo onnipotente, la Madonna col Bambino in trono e Angeli, Profeti e Apostoli, tutte figure caratterizzate da marcate affinità stilistiche con la coeva pittura abruzzese. Lungo la cornice si dispongono 26 lastrine triangolari in smalto champlevé a motivi fitofloreali risparmiati su fondo blu. Quanto alle parti plastiche, l’antependium teramano occupa assieme alla croce di Guardiagrele un posto centrale nella discussione sui tempi e sulle conseguenze del viaggio toscano di Nicola, giacché tra copie integrali e citazioni parziali un buon numero di scene dipende dalla porta nord del battistero di Firenze; è dunque verosimile che l’orafo guardiese si fosse servito di calchi realizzati direttamente sui modelli delle formelle ghibertiane.
I lunghi lavori per l’antependium non costrinsero Nicola a risiedere stabilmente a Teramo. Difatti, un inedito documento risalente al 29 maggio 1435, relativo alla nomina dei nuovi sindaci di Guardiagrele, attesta la sua presenza a Chieti, ove figura fra i testimoni dell’atto assieme ad alcuni concittadini (Archivio di Stato dell’Aquila, Fondo ACA, ms. V 33, c. 9r; Pasqualetti, 2010, n. 56). Inoltre, in concomitanza con gli impegni teramani, Nicola – che doveva disporre ormai da tempo di una cospicua bottega – assunse e portò a termine altri importanti incarichi, a partire dalla croce processionale proveniente dalla parrocchiale di Monticchio (L’Aquila, Museo nazionale d’Abruzzo), firmata e datata 1436.
Lo stemma del villaggio del contado aquilano è raffigurato nello smalto inserito sul verso dell’asta, sotto l’immagine sbalzata del Redentore in trono, ma è il risultato del rimaneggiamento di una differente insegna. Al di sopra del Redentore si trova invece lo stemma della famiglia aquilana dei Gaglioffi, la quale dovette commissionare l’opera per una chiesa dell’Osservanza francescana, come suggerisce il trigramma di s. Bernardino da Siena nelle due placchette circolari a smalto inserite sul retro della traversa.
Nel 1447 «Nicolaus de Guardia aurifex» s’impegnò con il capitolo di S. Maria Paganica all’Aquila e con l’arciprete Francesco di Fattinante per la realizzazione di una croce processionale – non pervenuta – esemplata su quella della cattedrale cittadina; l’opera non era ancora compiuta nell’agosto 1451 (Chini, 1912, pp. 13-16; Appendice, in Cadei, 2005, p. 328), anno in cui l’orafo guardiese portò invece a termine la croce processionale per S. Giovanni in Laterano, firmata e datata sulla fronte del sarcofago di Cristo nella scena della Deposizione. Questa e altre commissioni ottenute fuori dei confini dell’Abruzzo dimostrano l’ampia risonanza guadagnata da Nicola, il cui nome ebbe anche una citazione nell’edizione giuntina delle Vite di Giorgio Vasari, che a sua volta la trasse da un passo del Trattato di architettura di Antonio Filarete (1458-64 circa), ove «uno Maestro Niccholò della Guardia» figura in una lista di artefici non fiorentini accanto a Giovanni di Turino da Siena, Paolo Romano e Pietro Paolo da Todi.
L’incarico per la croce lateranense dovette essere preceduto dalla realizzazione delle croci processionali per la chiesa di S. Agostino a Lanciano (Museo diocesano) e per la parrocchiale di Antrodoco (Rieti, Museo civico diocesano), non firmate né datate, ma ugualmente riferibili alla produzione più tarda di Nicola, caratterizzata da una certa flessione d’invenzione e di tenuta stilistica, in parte imputabile a un sempre più massiccio intervento di una bottega nella quale dovettero formarsi gli artefici delle due piccole croci processionali per le chiese di S. Giovanni Battista e di S. Nicola di Bari a Orsogna.
Nel 1455 firmò il busto-reliquiario di S. Giustino destinato alla cattedrale di Chieti, trafugato nel 1983 e mai più ritrovato. Il 7 marzo 1456 «Mastro Nicola de argentis de Guardia Grelis» stipulò un contratto per la realizzazione di un ciborio in pietra della Majella per l’altare maggiore della cattedrale di Ascoli Piceno (Vignuzzi, 1976, pp. 221-228; Appendice, in Cadei, 2005, pp. 328 s.).
Dall’atto si apprende che il maestro presentò per l’occasione un modello lapideo da lui elaborato a partire dal disegno che gli era stato fornito dai committenti. Nicola s’impegnò a completare il lavoro in tre anni e a consegnare al porto di Ascoli tutti i pezzi da assemblare sotto la supervisione di un figlio, il quale si sarebbe preso cura anche degli eventuali danni ricevuti dai materiali durante il trasporto. Il documento è una preziosa testimonianza delle competenze di Nicola nei settori della scultura in pietra e dell’architettura, secondo quanto risulta da alcuni rilievi e gruppi a lui riconducibili.
Agli inizi del Novecento la riscoperta di sei rilievi in pietra con Scene della vita di Cristo nel muro di cinta dell’orto della casa natale del pittore Teofilo Patini a Castel di Sangro aprì una vivace discussione fra gli studiosi per via della derivazione di tre composizioni dalle formelle della porta nord del battistero di Firenze e delle coincidenze degli episodi sangritani con le corrispondenti scene dell’antependium teramano. I rilievi, conservati dal 1937 nel Museo dell’Opera del duomo di Firenze, sono stati solo di recente riammessi dalla critica nel catalogo di Nicola scultore che include il gruppo dell’Incoronazione della Vergine proveniente dalla lunetta del portale di S. Maria Maggiore a Guardiagrele (Museo diocesano), e quello dell’Annunciazione sulle colonne laterali del portale maggiore della cattedrale di Teramo. Va invece espunto dal corpus delle opere in pietra il gruppo dell’Annunciazione da Tocco Casauria (Firenze, Museo nazionale del Bargello). La ‘Madonna dell’aiuto’ custodita nel Museo di S. Maria Maggiore a Guardiagrele è infine la verosimile prova del coinvolgimento del maestro anche nell’ambito della scultura lignea.
Non si conoscono il luogo e l’anno di morte di Nicola, da collocare, probabilmente a Guardiagrele, tra il 7 marzo 1456 e il 20 giugno 1459.
In quest’ultima data Antonio, Francesco e Giacomo Andrea, figli del defunto Nicola, si riunirono a Guardiagrele nella casa di Angelica, vedova del maestro, e dichiararono in presenza di un notaio l’intenzione di stipulare una società finalizzata all’esecuzione di ogni genere di pittura e di altri lavori in pietra, in oro, in argento, in legno e in muratura (Fabiani, 1951; Appendice, in Cadei 2005, p. 330).
L’11 febbraio 1462 l’orafo aquilano Antonio di Renzo di Sassa fu incaricato di eseguire una croce processionale per la chiesa di S. Biagio all’Aquila, già assegnata al deceduto «Magister Nicolaus de Guardia grelis aurifex», che avrebbe dovuto esemplarla sull’altrimenti sconosciuta croce realizzata dal guardiese per la chiesa aquilana di S. Silvestro (Rivera 1909; Appendice, in Cadei, 2005, pp. 331 s.).
Fonti e Bibl.: A. Filarete, Trattato di architettura (1458-64 circa), a cura di A.M. Finoli - L. Grassi, I, Milano 1972, pp. 250-252; G. Vasari, Le vite… (1550 e 1568), a cura di P. Barocchi - R. Bettarini, III, Firenze 1971, p. 345; G. Ravizza, Collezione di diplomi e di altri documenti de’ tempi di mezzo e recenti da servire alla storia della città di Chieti (Napoli 1832), I, Bologna 1978, p. 125; A. Leosini, Monumenti storici artistici della città di Aquila e suoi contorni, Aquila 1848, p. 141 (esemplare postillato dall’autore, Aquila, Biblioteca provinciale, Coll. Rari 44/a);V. Bindi, Artisti abruzzesi… Notizie e documenti (Napoli 1883), Sala Bolognese 1976, pp. 190-194; Id., Monumenti storici ed artistici degli Abruzzi, Napoli 1889, pp. 23-28; L. Gmelin, Die mittelalteriche Goldschmiedekunst in den Abruzzen, in Zeitschrift des bayerische Kunstgewerbe-Vereins zu München, XI-XII (1890), pp. 10-16, 133-152 (ed. it., L’oreficeria medioevale in Abruzzo, Teramo 1891, pp. 48, 58-65); Catalogo generale della Mostra d’arte antica abruzzese in Chieti, Chieti 1905, pp. 147-151; F. Ferrari, Capitolazione di Guardiagrele. 29 luglio 1423, in Rivista abruzzese di scienze lettere e arti, XXI (1906), pp. 182-191; V. Balzano, L’Arte abruzzese, Bergamo 1910, pp. 50, 87-116; M. Chini, Documenti relativi all’arte nobile dell’argento in Aquila nel sec. XV, in Bullettino della Regia Deputazione abruzzese di storia patria, s. 3, III (1912), 3, pp. 7-88; S.J.A. Churchill, N. da G., der Goldschmied der Abruzzen, in Monatshefte für Kunstwissenschaft, VII (1914), pp. 81-93; E. Carli, N. da G. e il Ghiberti. Primi ragguagli sulla scultura guardiese (1939), in Id., Arte in Abruzzo, Milano 1999, pp. 155-178; C. Marciani, Le pergamene di S. Maria Maggiore di Lanciano e il regesto Antinoriano, Lanciano 1952,pp. 76, 134; G. Brunetti, in L. Becherucci - G. Brunetti, Il Museo dell’Opera del duomo a Firenze, I, Milano 1969, pp. 275 s.; V. Pace, Per la storia dell’oreficeria abruzzese, in Bollettino d’arte, s. 5, LVII (1972), pp. 78-89; Id., Appunti in margine alla mostra dei «Tesori d’arte sacra di Roma e del Lazio» (e una nota su N. da G.), ibid., LX (1975), pp. 223-228; U. Vignuzzi, Il volgare degli Statuti di Ascoli Piceno del 1377-1496, inL’Italia dialettale, XXXIX (1976), pp. 93-228; D. Liscia Bemporad, in Lorenzo Ghiberti ‘materia e ragionamenti’ (catal.), Firenze 1978, pp. 117-24; S. Romano, N. da G.: alcune tracce di gotico internazionale in Abruzzo, in Annali della Scuola normale superiore di Pisa, Classe di lettere e filosofia, s. 3, XVIII (1988), pp. 215-230; E. Mattiocco, Il paliotto di N. da G., in Il duomo di Teramo e i suoi tesori d’arte, Pescara 1993, pp. 90-131; Id., I bassorilievi di Castel di Sangro e un epistolario inedito di Antonio De Nino, in Bullettino della Deputazione abruzzese di storia patria, LXXXV (1995), pp. 57-86; A. Giancaterino, N. da G.: analisi iconografica e stilistica fra tradizione e innovazione, Pescara 1998; D. Liscia Bemporad, N. da G. e Lorenzo Ghiberti. Il rapporto tra Firenze e l’Abruzzo nella prima metà del Quattrocento, in Medioevo e Rinascimento. Annuario del Dipartimento di studi sul Medioevo e il Rina-scimento dell’Università di Firenze, n.s.,XI [XIV] (2000), pp. 167-182; G. Toscano, in T. D’Urso et al., Enluminures italiennes. Chefs-d’œuvre du Musée Condé (catal., Chantilly), Paris 2000, pp. 20-25; E. Mattiocco, Orafi e argentieri d’Abruzzo dal XIII al XVIII secolo, Lanciano 2004, s.v.; A. Cadei, N. da G., un protagonista dell’autunno del Medioevo in Abruzzo, Cinisello Balsamo 2005, pp. 15-89; Appendice documentaria, a cura di C. Di Fonzo, ibid., pp. 321-333; A. Cecchi, in Gentile da Fabriano e l’altro Rinascimento (catal., Fabriano), a cura di L. Laureati - L. Mochi Onori, Milano 2006, pp. 112 s.; N. da G. Orafo tra Medioevo e Rinascimento. Le opere. I restauri (catal., Roma-Chieti-L’Aquila-Firenze), a cura di S. Guido, Todi 2008; E. Taburet-Delahaye, ibid., pp. 123-126; C. Pasqualetti, «Ego Nardus magistri Sabini de Teramo»: sull’identità del ‘Maestro di Beffi’ e sulla provenienza di una sua ‘Dormitio Virginis’, in Prospettiva, 2010, nn. 139-140, pp. 2-31.