COVELLI, Nicola
Nacque a Caiazzo in Terra di Lavoro (Caserta) il 20 genn. 1790 da Giuseppe e da Angela Sanillo. Compiuti a Caiazzo i primi studi sotto la guida di G. B. de Falco e di M. Bianchi, fu inviato a Napoli nel nov. 1808 per intraprendervi gli studi di medicina sotto l'insegnamento di F. Folineo ma, seguendo la sua naturale inclinazione, si dedicò in particolare all'approfondimento della chimica, della mineralogia e della botanica. In quest'ultima disciplina ebbe a maestro M. Tenore, col quale collaborò negli anni 1810 e 1811 nel riordinamento del R. Orto botanico. Nel 1812, regnante Gioacchino Murat, su proposta dello stesso Tenore il C. fu inviato a Parigi con un gruppo di giovani colleghi, allo scopo di perfezionarsi in diversi rami della veterinaria, dell'economia rurale e delle scienze naturali. A Parigi il C., abbandonati gli studi di medicina, si dedicò totalmente allo studio delle scienze chimiche e naturali e trasse vantaggio dall'insegnamento edall'amicizia di illustri scienziati quali R.-J. Haüy, R.-L. Desfontaines, J.-B. Lainarck, L.-J. Thenard, L.-N. Vaxiquelin, A. Brongniart. Risalecertamente al soggiorno parigino la sua profonda preparazione dottrinale nel campo della chimica, della cristallografia e della fisica.
Rientrato a Napoli nel 1815, in riconoscimento dei suoi meriti gli fu affidata la cattedra di chimica e di botanica nella R. Scuola veterinaria: per sua iniziativa questa fu arricchita di una farmacia, di un laboratorio di chimica, di un gabinetto di mineralogia e di un Orto botanico.
Coinvolto col regime costituzionale del 1820-21, il C. venne privato, nel 1821, della cattedra e per vari anni condusse una vita di grandi stenti, non avendo quasi altro provento se non il gettone delle sedute della R. Accademia delle scienze di cui era socio. Gli fu di grande aiuto in queste difficili circostanze il grande naturalista abate T. Monticelli, a cui il C. era legato da amicizia fin dall'epoca del suo ritorno da Parigi. Già all'epoca del soggiorno parigino era andata in lui maturando la convinzione chele scienze naturali andassero studiate attraverso l'osservazione diretta piuttosto che sui libri. L'incontro col Monticelli, insignestudioso dei Campi Flegrei e del Vesuvio, doveva offrirgliene la grande occasione.
Il Vesuvio, invero, fino all'epoca del C. e del Monticelli era stato studiato solo molto superficialmente e con grande imprecisione, al punto che G. B. Brocchi (Biblioteca italiana, XVIII, p. 204) scriveva che "tutti i trattati vesuviani, eccettuati pochissimi, meritano di essere consegnati in preda a quel vulcano di cui essi così male ragionano". Anche nelle opere migliori di B. Faujas, D. de Dolomieu, L. Spallanzani, G. Gioeni e nelle stesse prime opere del Monticelli mancava in realtà il contributo essenziale della chimica analitica, scienza che a quell'epoca non era ancora sufficientemente sviluppata.
I primi studi del C. furono le Osservazioni e sperienze fatte al Vesuvio negli anni 1821-22 e la Storia de' fenomeni del Vesuvio avvenuti negli anni 1821, 1822 e parte del 1823 con osservazioni e sperimenti, Napoli 1823. Opere da lui pubblicate unitamente al Monticelli. Ripetendo e confermando sulle lave dell'eruzione del febbraio 1822 l'esperimento condotto dal chimico H. Davy nel 1820, il C. dimostrò che le lave vulcaniche allo stato di fusione, contrariamente all'opinione espressa da alcuni naturalisti, non contengono particelle carboniose e quindi che il calore vulcanico non è prodotto né alimentato dalla combustione di carbone. Con altre esperienze dimostrò non esservi segno di elettricità nella lava e nell'atmosfera che la circonda; trovò invece che la sabbia lanciata dal vulcano nell'eruzione dell'ottobre dello stesso anno - eruzione prevista dagli autori cinque mesi prima - assumeva carica positiva. Con i mezzi rudimentali di cui a quell'epoca poteva disporre stimò la temperatura della corrente lavica e con accurate analisi chimiche stabilì la natura delle sostanze solubili in acqua contenute nella lava incandescente e nei vapori emessi dalla lava stessa. Studiò i prodotti sublimati delle fumarole, nelle quali identificò il cloruro di sodio, il cloruro e l'ossido ferrico, e ne delineò il meccanismo di deposizione. Fra i prodotti presenti alla superficie delle lave individuò il carbonato di sodio, i solfati di sodio e di potassio, lo zolfo e, nei vapori delle fumarole, l'anidride solforosa. Della lava della prima eruzione del 1822 il C. fece un accurato esame mineralogico riconoscendovi la presenza di augite, leucite, mica e olivina, oltre a una frazione scoriacea (pomice nerissima); nella frazione solubile in acqua dimostrò la presenza di cloruro di potassio e di solfato di calcio, stabilendone le relative proporzioni. Nei prodotti dell'eruzione del 1822 il C., oltre alle sostanze identificate nell'eruzione precedente, scoprì due composti non ancora ritrovati in natura: il solfato e il cloruro di manganese. Nei gas vulcanici poté stabilire la presenza di vapore d'acqua, di zolfo, di cloruro d'ammonio, dei cloruri di ferro e di rame, di acido cloridrico, di anidride solforosa e di anidride carbonica; dimostrò viceversa l'assenza dell'acido solfidrico e ricercò con esito negativo l'idrogeno. Si devono ai due autori interessanti osservazioni sulla formazione dei pisoliti, nonché studi comparativi di notevole rilievo sulla rara ossidiana eruttata dal Vesuvio e sull'ossidiana di Lipari, con dati sulla composizione chimica e considerazioni generali sull'origine delle ossidiane.
Nel periodo di quiete del Vesuvio succeduto all'eruzione del 1822 il C. riprese quegli studi di laboratorio che gli consentirono di pubblicare a Napoli nel 1825 il Catalogo del Museo monticelliano e, in collaborazione col Monticelli, il Prodromo della mineralogia vesuviana. Quest'opera si può considerare il secondo trattato, dopo il Saggio di litologia vesuviana del Gioeni, dedicato in modo specifico ai minerali del Vesuvio e precede di oltre un secolo la classica Mineralogia vesuviana di F. Zambonini.
Nel Prodromo, oltre alla descrizione delle specie minerali già trattate dagli studiosi precedenti, gli autori segnalano quarantadue specie nuove per il Vesuvio, delle quali sei rappresentavano, a quell'epoca, delle novità assolute: la cotunnite, la humboldtilite, la davyna, la cristianite, la cavolinite e la biotina. Non tutte queste specie, o quanto meno queste denominazioni, sopravvissero alle successive indagini: la cristianite, così denominata in onore del principe di Danimarca Cristiano Federico, noto cultore di scienze mineralogiche che era salito al Vesuvio con i due autori, e la biotina, così denominata in onore del fisico G. B. Biot che in Napoli aveva osservato la birifrangenza dei due minerali, risultarono identiche all'anortite già descritta da H. Rose nel 1823. Il nome di cristianite figurò per un certo numero di anni nella letteratura scientifica come sinonimo di anortite, ma purtroppo figura anche come sinonimo di phillipsite e pertanto tale denominazione nei trattati moderni è del tutto abbandonata. La humboldtilite, così denominata in onore di A. von Humboldt, fu riconosciuta dagli stessi Monticelli e C. affine alla melilite scoperta da Florieu di Bellevue nel 1790. A.-A. Damour e A.-L.-O. Des Cloizeaux confermarono l'identità della humboldtilite con la melilite e proposero l'uso del primo dei due nomi. Tale proposta non fu però in pratica seguita e prevalse in seguito l'uso del nome di melilite in ragione della sua priorità. Il termine di humboldtilite è tuttora talvolta in uso come sinonimo di melilite. Spetta in ogni caso a Monticelli e al C. il merito di aver segnalato per la prima volta la presenza del minerale nei prodotti del Vesuvio. Anche la denominazione di cavolinite da loro proposta per una sottospecie di davyna non ha avuto fortuna e non figura più nei trattati moderni, identificandosi probabilmente con la microsommite. Sopravvive viceversa la davyna quale membro della serie della cancrinite. Davyna (allumosilicato idrato di sodio, calcio e potassio, esagonale) e cotunnite (cloruro di piombo rombico) sono dunque le due specie mineralogiche la cui scoperta dev'essere con sicurezza attribuita ai due autori.
Nel Prodromo vengono inoltre segnalate ottantanove forme secondarie osservate per la prima volta.
Nel 1826 il C. annunciava negli Annales de chimie et de physique la scoperta nelle fumarole del Vesuvio del bisolfuro di rame per il quale, in onore dello scopritore, F. S. Beudant proponeva il nome di covellite. Sempre nel 1826 raccoglieva nelle fumarole del labbro orientale del cratere una sostanza di color nero ferro che all'analisi risultò essere costituita da trisolfuro di ferro Fe2S3 per la quale proponeva il nome di "pirite nera del Vesuvio". A. Scacchi identificò successivamente questo solfuro con la pirrotina ma, come osserva F. Zambonini. non tutte le proprietà di questo minerale si accordano con quelle dal C. descritte. L'esistenza del trisolfuro di ferro fra i prodotti vesuviani non è perciò ancora del tutto da escludere.
Sempre nel 1826 il C. descriveva coi nome di beudantina un nuovo minerale, indicandone chiaramente la composizione chimica. Lo stesso minerale veniva descritto rispettivamente nel 1886 da B. Mierisch e, indipendentemente, nel 1888 da A. Scacchi con i nomi di caliofilite e di facellite, ignorando il precedente lavoro del C., al quale senza dubbio spetta il merito della scoperta, anche se al nome di beudantina oggi è preferito quello di caliofilite.
Se il C. ha dato i suoi maggiori contributi nel settore della mineralogia, non si possono ignorare le sue ricerche in altri campi delle scienze fisiche e naturali: con P. Scrop determinò l'altezza di vari siti del Vesuvio; con T. de Saussure studiò i vapori e i gas delle fumarole vesuviane; con G. Herschel effettuò misure sullo stato igrometrico del Vesuvio; misurò la temperatura e la composizione dei prodotti delle fumarole ed effettuò osservazioni geologiche sulla struttura del cono del cratere.
Per incarico dell'Accademia delle scienze il C. studiò gli insetti abitanti nelle fumarole del vulcano a temperature di 84 e 86 °C, trovandovi delle nuove specie; descrisse il terremoto di Ischia del febbraio 1828 con interessanti pionieristiche osservazioni sulla temperatura delle acque termali e delle fumarole dell'isola effettuate un anno prima, sette giorni prima e otto ore dopo il terremoto. Né sono da trascurare le sue ricerche sulla composizione chimica delle acque minerali, in alcune delle quali mise in evidenza la presenza dello iodio, e le ricerche di carbone fossile in Abruzzo e in Terra di Lavoro.
Il C. si può infine considerare come un pioniere delle applicazioni delle scienze fisiche e naturali alle arti e all'archeologia. Oltre alle idee espresse nel suo Progetto di chimica applicata alle arti è degna di particolare menzione una sua ricerca molto accurata sulla composizione di resti organici vegetali rinvenuti negli scavi di Pompei del 1826.
Colpito da grave malattia, morì a Napoli il 15 dic. 1829, cinque mesi dopo aver ricevuto la nomina a professore di chimica applicata alle costruzioni presso la direzione dei Ponti e strade del Regno. Lasciò inedito un manoscritto incompleto sulla mineralogia vulcanica (in Sannicola, p. 5 n. 4) e una carta geologica della Campania che andò perduta e fu successivamente rifatta da A. Scacchi (in Zambonini, p. 17 n. 1). Altri suoi lavori inediti (Pilla, 1830) riguardano i minerali dei vulcani della Solfatara e di Roccamonfina.
Fu socio della Reale Accademia delle scienze, dell'Istituto di incoraggiamento, dell'Accademia Pontaniana di Napoli, della Società economica ed agraria di Cagliari, dell'Accademia Gioenia di Catania, della Società di scienze, lettere e arti di Livorno, della Società di istoria naturale di Veteravia residente in Hanau, della I. Accademia di Pietroburgo, della Società economica di Teramo e dell'Accademia cosentina.
Considerato dai contemporanei, forse con eccessiva enfasi, emulo di Haüy, di Berzelius e di Beudant, la sua opera ebbe in epoca più recente oggettivi e autorevoli riconoscimenti da parte di F. Zambonini, di G. De Lorenzo e di G. Carobbi.
Opere: Il C. pubblicò a Napoli nel 1818 Il Trattato elementare di fisica sperimentale di G. B. Biot, traduzione italiana in 5 volumi dell'opera francese, con aggiunte e un compendio originale di chimica dello stesso Covelli. Sul Giornale enciclopedico di Napoli pubblicò nel 1818 il Progetto di un piano di chimica applicata alle arti. Molte delle sue osservazioni sullo stato del Vesuvio negli anni 1821-1823 sono pubblicate sul Pontano, giornale di Napoli; altre sono contenute nella Storia de'fenomeni del Vesuvio avvenuti negli anni 1821, 1822 e parte del 1823 con ossservazioni e sperimenti, incollaborazione con T. Monticelli. Nel 1826, sul Giornale delle Due Sicilie del 4 novembre, sono resi pubblici i risultati delle sue ricerche sulla composizione dei resti vegetali rinvenuti negli scavi di Pompei. Negli Atti della R. Acc. delle scienze di Napoli, Sezione della Soc. Reale Borbonica, IV (1829) si trovano le sue memorie Su la natura dei fumaioli e delle termantiti del Vesuvio, dove vivono e si moltiplicano varie specie di insetti (pp. 3 s.), Sul bisolfuro di rame che formasi attualmente nel Vesuvio (pp. 9 s.), Su la beudantina, nuova specie minerale del Vesuvio (pp. 17 s.), lette all'Accademia nel 1826;la Memoria per servire di materiale alla costituzione geognostica della Campania (pp. 33 s.), la Relazione di due escursioni fatte sul Vesuvio e di una nuova specie di solfuro di ferro che attualmente producesi in quel vulcano (pp. 71 s.) e il Rapporto sopra due gite fatte al Vesuvio, letti nel 1827, e finalmente la Memoria intorno ad un'escursione fatta negli Abruzzi per la ricerca del carbon fossile letta nel 1828 (pp. 105 s.). Negli Annales de chimie et de physique, XXV (1827), pp. 105-111 è contenuta la sua nota Sur le bisolfure de cuivre qui se forme actuellement au Vésuve.
Bibl.: L. Pilla, Cenno biografico di N. C., Napoli 1830; G. Sannicola, Biografia di N. C., Napoli s. d.; C. Maravigna, Relazione di alcune specie minerali recentemente osservate nei vulcani estinti della Valle di Noto, in Atti dell'Acc. Gioenia di scienze nat. di Catania, IV (1830), pp. 89-98; Id., Elogio di N. C., ibid., VI (1832), pp. 177-204; F. S. Beudant, Traité élémentaire de minéralogie, II, Paris 1832, p. 409; T. A. Catullo in E. De Tipaldo, Biografia degli ital. illustri, II, Venezia 1835, pp. 106-110; G. Sannicola, Breve monogr. di Caiazzo della prov. di Terra di Lavoro, Napoli 1842, pp. 45-47; G. Boccardo, Nuova Enciclopedia ital., VI, Torino 1878, pp. 767 s.; G. De Lorenzo, Studi di geologia sull'Appennino meridionale, in Atti della R. Accad. delle scienze fisiche e matematiche in Napoli, VIII (1897), 7, pp. 109 s.; F. Millosevich, in Enc. ital., XI, Roma 1931, p. 762; F. Zambonini, Mineralogia vesuviana, Torino 1936, pp. 17 s.; G. Carobbi, Il contributo ital. al progresso della mineralogia negli ultimi cento anni, in Un secolo di progresso scientifico ital. 1839-1939, Roma 1939, II, p. 447; Nouvelle Biographie générale, XII, pp. 411 s.; J. F. Michaud, in Biographie universelle, IX, pp. 411.