CELENTANI, Nicola
Nacque a Napoli nel 1770. Sostenitore delle idee della Rivoluzione francese, prese parte nell'agosto del 1793 alla cena di Posillipo, che vide la nascita, sotto la guida di C. Lauberg, della prima organizzazione giacobina napoletana, la Società patriottica, costituita da una rete di clubs elementari collegati ad un club centrale, secondo il modello delle congreghe marsigliesi "Sans compromissions".
La scoperta, nel marzo del 1794, della congiura antiborbonica di A. Vitaliani, nella quale erano implicati gli elementi più rivoluzionari della Società patriottica, scioltasi per alcuni contrasti interni il 20 febbraio del 1794, permise alle autorità di polizia di indiziare, in seguito alle rivelazioni di A. Manno e C. A. Del Giorno, la maggior parte degli intervenuti alla cena di Posillipo, tra i quali il C., la cui posizione risultava aggravata dall'essere intervenuto in parecchi clubs elementari e dall'avere aggregato alla Società patriottica i fratelli Stanislao, Giovanni e Gennaro.
Il C. con A. Vitaliani, C. Lauberg, R. Lentini e altri imputati maggiori ricevette l'intimazione di comparire di fronte alla Giunta di Stato per rispondere dell'accusa di lesa maestà, ma egli non si presentò e, riparato all'estero, venne condannato, contumace, alla pena di morte e alla confisca dei beni. Come la maggior parte dei profughi scampati alla reazione del 1794, si recò ad Oneglia che, occupata dall'esercito francese nell'aprile del 1794, era divenuta il centro principale del giacobinismo italiano, specialmente per la presenza di F. Buonarroti, da poco giunto da Parigi quale agente politico presso l'armata d'Italia e preposto all'amministrazione civile della città.
Il C. affiancò validamente il Buonarroti nella sua opera di propaganda tra le masse popolari delle idee della Rivoluzione, e fu per sette mesi il segretario comunale di Oneglia. Ottenuto il passaporto per Parigi, grazie anche al Buonarroti che lo aveva raccomandato come buon repubblicano - al rappresentante Turreau, poté, nel gennaio del 1795, trasferirsi in Francia. Quando il Buonarroti, nella primavera del 1795, fu arrestato e tradotto a Parigi, il C., con F. Greci e F. Damiani, firmò una pubblica dichiarazione in cui si attestava che, accolti e aiutati ad Oneglia, avevano trovato in lui "l'amico dei suoi simili, il repubblicano virtuoso e fortemente attaccato alla Repubblica francese".
Rilevante fu l'opera svolta dal C. a Parigi nel corso del 1796, sia collaborando con il Buonarroti (liberato nell'ottobre 1795) al tentativo di provocare insurrezioni popolari in Italia prima dell'offensiva francese, sia facilitando, per il suo ufficio di segretario ed interprete, l'azione delle deputazioni italiane, avendo egli la possibilità di vigilare e indagare sui reali intenti del Direttorio.
Il 1° giugno il C., G. C. Serra, G. Sauli e G. Selvaggi, facendosi interpreti di quel senso di viva delusione che la stipulazione dell'armistizio di Cherasco tra il generale Bonaparte e il re di Sardegna aveva fatto sorgere tra i patrioti italiani, presentarono un'istanza al Direttorio in cui si chiedeva di concedere alle popolazioni dei territori conquistati di organizzarsi liberamente secondo i loro legittimi voti, di non permettere ai generali di ostacolare tale progetto e di essere autorizzati a far da tramite tra il governo di Parigi e i propri compatrioti. Ma poiché l'intenzione di "repubblicanizzare" l'Italia era ben lontana dai piani del Direttorio, la lettera non ebbe altro effetto che di far porre gli autori sotto la sorveglianza della polizia, il C., pur dichiarato in un rapporto del col. Cacault "homme de la plus parfaite, honnêteté", fu invitato a lasciare Parigi. Si trattenne tuttavia ancora qualche tempo nella capitale francese, da dove continuò a tenere i contatti con i giacobini italiani, e in particolare con l'amico e conterraneo G. Abbamonti, il quale era accorso a Milano come la maggior parte degli esuli napoletani.
Dalla corrispondenza tra i due si rileva come il contrasto che via via si andava accentuando tra il Direttorio e il Bonaparte, specie riguardo all'assetto politico della Lombardia, trovasse un'eco anche nell'ambito del giacobinismo italiano. Il C., lungi dal condividere lo stato di euforia che i proclami del Bonaparte avevano fatto sorgere nei patrioti italiani, esortava questi ultimi a non inimicarsi il Direttorio con atteggiamenti troppo indipendentistici, se si voleva ottenere ciò che era stato rifiutato in relazione all'istanza del 1° giugno.
L'anno seguente, comunque, il C. si recò a Milano, dove il 31 maggio del 1797, con M. Galdi e G. Abbamonti, otteneva la cittadinanza lombarda per i servigi resi alla causa ed alla libertà della Lombardia. Nel 1799, dopo l'occupazione di Napoli da parte dei Francesi e la proclamazione della Repubblica, come altri napoletani, poté ritornare finalmente in patria, dove venne impiegato come agente diplomatico della Repubblica partenopea a Milano; i rovesci, però dell'armata francese in Italia e la caduta della Cisalpina nelle mani degli Austro-Russi lo costrinsero a riparare a Genova. La notizia del colpo di Stato del 30 pratile VII (18 giugno 1799) e la speranza che il nuovo Direttorio adottasse una politica meno vessatoria in Italia indussero il C. a inviare il 28 giugno una lettera al Sieyès, in cui chiedeva la formazione di una grande repubblica dal Po in giù, ignorando egli ancora la caduta della Partenopea. Partecipò in seguito alla campagna d'Italia e fu segretario del generale Berthier.
Ritornato nella Cisalpina dopo Marengo, fondò insieme con altri napoletani esuli, come F. S. Salfi e V. Cuoco, una loggia massonica con propositi di indipendenza, che, contrastando però con i fini napoleonici, venne disciolta sul finire del 1802.
Con la creazione del Regno di Napoli il C., già ufficiale del Regno italico, ritornò in patria e servì sotto Murat come ufficiale superiore e generale di amministrazione. Rimasto nell'esercito anche dopo la Restaurazione, fece parte nel 1820 della giunta chiamata a scrutinare gli ufficiali.
Il C. morì il 22 maggio 1830, in luogo sconosciuto.
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