CAETANI, Nicola
Primogenito di Roffredo (III) conte di Fondi e della seconda moglie Giovanna dell'Aquila, èricordato in un documento del 20 giugno del 1324 come ancora minorenne. Il C. il 10 aprile del 1332 riceveva da Giovanni d'Angiò, che era figlio di Carlo II, i castelli di Falvaterra e San Felice, al quali Roffredo aveva rinunciato perché ne fosse investito suo figlio primogenito. è possibile che questo sia avvenuto in occasione delle prime nozze del Caetani. Sappiamo, infatti, da un memoriale del cardinale Napoleone Orsini del 20 maggio 1334 che il C. era stato fidanzato con Giacoma Orsini, nipote di Napoleone, ma aveva rotto il fidanzamento per sposare la sorellastra della propria matrigna, Violante della Ratta. Deceduta molto presto quest'ultima, il C. chiese di nuovo la mano di Giacoma. Dal matrimonio, concluso forse nel 1334, nacquero sei figli: Onorato, Giacomo, Sancia, Francesca, Giovanna e Angelella.
Quando morì Roffredo, il C., nella divisione dei beni paterni avvenuta il 2 dicembre 1336, ricevette Sermoneta, Bassiano e San Donato, oltre naturalmente alla contea di Fondi, eredità della madre. Gli venivano trasmessi però anche i vecchi contrasti e, innanzitutto, quello con i Caetani palatini, destinato a durare assai a lungo: poco servi, infatti, l'intervento di Benedetto XII, il quale, il 10 ott. 1336, ordinò di stipulare una tregua triennale fra il C. e il fratellastro Giovanni da una parte e Benedetto Caetani conte palatino dall'altra.
Verso la metà del medesimo anno il C., con l'aiuto di Giovanni, dei Sermonetani e dei Bassianesi nonché di Terracina, aveva assediato Sezze e fatto prigionieri centocinquanta uomini per ottenere il possesso di Canipolazzaro e di certe paludi, già oggetto di una coptroversia che si andava dibattendo presso la curia del rettore. Tra il 24 e il 30 novembre i Setini, costretti ad arrendersi, presentarono i capitoli di pace al C. e ai suoi fratelli Giovanni e Giacomo, e a Sermoneta, Bassiano e Terracina; il 2 dicembre, poi, inviarono un loro procuratore ad investire il C., in quanto signore di Sermoneta, del possesso di Campolazzaro, mentre i diritti sulle paludi sarebbero rimasti in comune. Anche questa volta Benedetto XII, il 27 dicembre, inutilmente intimò al C. e a Giovanni di presentarsi alla curia del rettore per rispondere della spedizione compiuta contro Sezze. Intanto il C. aveva stipulato la pace con i Savelli (3 ott. 1337) e nel settembre dell'anno successivo fu appianato un conflitto tra lui e Terracina da un lato e Traetto e Sperionga dall'altro, sorto probabilmente per il possesso della tenuta del Salto.
Benedetto XII, nel tentativo di frenare la potenza dei baroni, notificò anche al C., il 18 maggio 1338, il divieto di accedere alle cariche comunali nella Campagna e Marittima. Nell'ottobre di quell'anno, il C. s'impegnò nel primo dei suoi numerosi scontri con Gaeta. Si riaccendeva anche, tra la fine del 1338 e gli inizi del 1339, la lotta con i Caetani palatini: si erano formate due vere e proprie leghe, da un lato il C., suo fratello Giovanni e Nicolò Conti, dall'altro Benedetto Caetani, Paolo Conti, i signori di Ceccano e quelli di Supino. Nel febbraio Giovanni uccise a tradimento, in Anagni, Francesco da Ceccano e Rinaldo di Morolo, e:il C., moralmente complice del fratello, il 6 marzo 1339 fu esortato dal pontefice Benedetto XII a condannare il delitto e a giungere ad un accordo con la parte avversa, raggiunto nell'estate 1339. Ma già nell'ottobre-novembre Paolo Conti e Roberto da Supino invasero le terre del C., avendo dalla propria parte prima, agli inizi del 1340, Terracina e poi anche Sezze, trascinata nel conflitto da Benedetto Caetani e dal risentimento per la vecchia perdita di Campolazzaro. Contemporaneamente anche Gaeta, con a capo il napoletano Corrado Guindaccio, era tornata all'assedio di Itri, ma l'attacco era stato respinto e il Guindaccio ucciso nel febbraio. I Caetani, allora, si allearono con Paolo Conti e tornarono prima all'assedio di Itri, poi volsero contro Traetto: l'intervento delle truppe di Roberto d'Angioli costrinse, tuttavia, a ritirarsi anche questa volta. Con l'aiuto del re e della Chiesa il C. riuscì a ristabilire le proprie posizioni: il 21 maggio 1340 Terracina capitolò e si addivenne ad una pace che reintegrò i contendenti nei rispettivi possedimenti. Sezze venne momentaneamente sgombrata dalle truppe del conte, per essere di nuovo rioccupata nel giugno e ricevere dal C. il podestà; il 19 agosto fu stipulata la pace e si stabilì il comune godimento della tenuta di Campolazzaro, sulla quale, tuttavia, i Setini avrebbero avuto diritti di pascolo ma non di semina. Tuttavia, negli anni 1341-42, il C. fece vari nuovi tentativi per impadronirsi di Terracina. La guerra durò fino al 10 genn. 1343, quando, con la mediazione di Giacoma Orsini e del vescovo di Terracina Sergio Perunti, fu stipulata la pace. Chiuso questo conflitto e un altro con i Velletrani, il C. si riconciliò con la Chiesa e l'8 giugno 1343 Clemente VI gli concesse il privilegio di poter essere assolto in articulo mortis dal proprio confessore.
Due anni dopo, però, nel luglio 1345, il C. riprendeva la guerra contro Terracina: occupava il monastero del castro Sant'Angelo, sulla vetta della collina sovrastante la città, depredava bestiame e faceva prigionieri. Terracina rimise le sue sorti al pontefice e Clemente VI, il 27 ott. 1345, ordinò al conte di riparare i gravi danni recati alla città, e al rettore della Campagna e Marittima di intentare contro il C. regolare processo.
Per il momento il C. rinunciò a Terracina e spostò i suoi obiettivi su Sessa Aurunca. Accordatosi nel febbraio 1346 con alcuni nobili sessani, si impossessò delle case di Nicola di Toraldo, maggiorente della città e seguace principale di Roberto di Taranto. Poi, abbandonato dai suoi alleati, lasciò Sessa nelle mani di Giovanni suo fratello e di Leonardo Gallardo e si diresse di nuovo contro Terracina, probabilmente con l'aiuto e la partecipazione del duca Carlo di Durazzo, cui fu sempre legato da profonda amicizia. A difesa della città giunsero dal mare le galee genovesi: Terracina si sottomise ai Genovesi i quali riconquistarono Monte Sant'Angelo, liberarono la città e inseguirono e sconfissero le truppe del C. a Gaeta e a Traetto. Ma il C. non si diede per vinto: forte dell'esercito che andava preparando per fiancheggiare Luigi d'Ungheria, nel giugno del 1346, occupò di nuovo Sessa, recuperata il mese precedente da Nicola di Toraldo, e proseguì poi per Traetto. Roberto di Taranto, capitano generale del Regno, lo dichiarò ribelle e inviò contro di lui un forte esercito, capeggiato da Philippe de Nanteuil. Sessa fu facilmente rioccupata da Nicola di Toraldo e dall'esercito della regina Giovanna I; poco dopo le truppe regie, con l'aiuto dei Sessani, dei Gaetani e Terracinesi, costrinsero anche Traetto alla resa e ripresero la Torre di Pandolfo. Il C. organizzò la difesa da Itri, dove nel settembre riuscì a vincere il nemico, prendendolo di sorpresa, dopo avergli fatto credere che la città fosse stata evacuata. Nel maggio 1347, con un forte esercito, il C. assediava e occupava Torre di Mola, Castellone e Maranola; si dirigeva poi su Traetto, che gli veniva consegnata dal castellano della regina senza combattere, e riconquistava, nel giugno, la Torre di Pandolfo.
La violenza e la strapotenza del C., accusato di connivenza col rettore e di tanta malvagità sì da aver fatto depredare cento pellegrini di passaggio nelle sue terre e diretti in Terra Santa, divennero del 1347 uno dei principali bersagli di Cola di Rienzo, cui il conte rifiutava l'obbedienza. Cola faceva citare il C. inutilmente in pubblico parlamento alla fine di luglio, poi lo dichiarò decaduto dalla dignità comitale, lo condannò a morte e alla confisca dei beni. L'esercito che Cola preparava contro il C. avrebbe dovuto essere molto forte e muoversi ai primi di agosto in aiuto di Gaeta, di nuovo minacciata. Senonché, probabilmente perché la potenza del tribuno cominciava a destar sospetti, Firenze e Todi con vari pretesti, all'ultimo momento, non fecero intervenire la propria cavalleria. La spedizione, assai più modesta del previsto, diretta da Angelo Malabranca, diede battaglia al C. ai piedi di Sermoneta e lo sconfisse. Il conte di Fondi giurò fedeltà a Cola i primi di settembre e fece pace anche con Terracina e Gaeta.
Giovanna I il 7 ottobre riconosceva al C. il possesso delle terre riconquistate nel maggio-giugno; anche Clemente VI, il 3 dic. 1347, chiedeva a Bertrand de Deux se, considerato il crescente potere di Cola, non fosse meglio riconciliare il C. con la Chiesa.
Ma il C. non intendeva venir meno alla proclamata fedeltà a Luigi d'Ungheria, il quale, nell'ottobre 1347, giungeva in Terra di Lavoro. Tentata di nuovo, nel settembre-dicembre, l'impresa contro Sessa, senza successo, nonostante l'intervento al suo fianco di Guarnieri di Urslingen e Filippo Ungaro, e fronteggiato l'attacco della flotta di Giovanna I che tentava di distruggere le sue imbarcazioni sul Garigliano, il C. mosse il 10 dicembre contro Mondragone, la conquistò e fece giurare ai suoi abitanti fedeltà al re d'Ungheria. Quindi, incontratosi col sovrano a Boiano e ottenute da lui altre truppe, attaccò Teano, costringendola alla resa. Il 10 genn. 1348 si scontrò in battaglia ad Orticella, presso Capua, con Luigi di Taranto, consorte della regina Giovanna, e lo mise in fuga.
Pochi giorni dopo, il 3 gennaio, si recò ad Aversa a rendere omaggio, insieme con altri nobili del Regno, a Luigi d'Ungheria. Dopo quest'anno non si hanno più notizie sul C.; si pensa potesse essere rimasto vittima della peste dilagata in Italia nel 1348; era comunque già morto il 16 luglio 1350.
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