CAETANI, Nicola
Figlio di Camillo, signore di Sermoneta, e della seconda moglie di lui, Flaminia Savelli, appartenente alla nobile casata romana, nacque in Sermoneta il 14 febbr. 1526. Sin dalla prima infanzia fu preparato alla carriera ecclesiastica, alla quale lo destinavano la sua condizione di cadetto e le grandi speranze di Camillo nella protezione del cardinale Alessandro Farnese, suo cugino in primo grado. In effetti, eletto il Farnese al pontificato col nome di Paolo III, nel dicembre del 1535 riservava inpectore la porpora al giovanissimo C., chiamandolo quindi a Roma per prendere gli ordini minori. Dopo averlo nommato, il 5 marzo 1537, amministratore della diocesi di Bisignano, in Calabria, il pontefice lo elevava alla carica di protonotario apostolico il 6 nov. 1537, e finalmente l'anno successivo, con bolla del 13 marzo nella quale l'età del beneficiato era maliziosamente aumentata di due anni, lo insigniva pubblicamente della porpora cardinalizia.
Questa ennesima manifestazione di nepotismo del pontefice, e specialmente la troppo giovane età del nuovo porporato, che evidentemente lo escludeva da ogni effettiva responsabilità pastorale, suscitarono il malcontento degli ambienti più rigorosi della Curia e del Sacro Collegio e uno dei maggiori esponenti del movimento della riforma cattolica, il cardinale Pole, ritenne necessario protestare pubblicamente in concistoro contro l'elezione del C., tanto che Paolo III dovette assicurare che per evitare occasioni di scandalo "il cardinalino per tre anni non comparirebbe alla corte" (Caetani, p. 51).
Non per questo tuttavia il pontefice si astenne da ulteriori favori nei riguardi del giovane congiunto, insignito nel novembre dello stesso anno del titolo cardinalizio di S. Nicolò in Carcere (cambiato nel 1552 con quello di S. Eustachio): l'8 ag. 1539 lo creava infatti vescovo di Conza, in Irpinia, contro le disposizioni disciplinari che vietavano tale cumulo di cariche ecclesiastiche.
Quanto al C., egli si adattò subito al ruolo di prete mondano che le vicende stesse della sua elezione gli attribuivano: infatti, dopo due anni di studi piuttosto sommari in Sermoneta, nonostante l'impegno preso dal pontefice, già nel 1540 si trasferì a Roma, dove trovò subito modo di distinguersi per le imprese galanti, che il poeta Pietro Corsi si compiaceva puntualmente di celebrare in un epigramma latino di quello stesso anno (Bibl. Apostolica Vaticana, Vat. lat. 7182, e. 124v). E da allora, per quasi mezzo secolo, indifferente ad ogni irrigidimento disciplinare controriformista, il C. rimase fedele alle inclinazioni così tempestivamente manifestate, estimatore infaticabile del sesso gentile, commensale inesauribile, famoso protagonista di accesi incontri ai tavoli da gioco con i cardinali Gian Piero Carafa, il futuro papa Paolo IV, Vitellozzo Vitelli e Ranuccio Farnese.
Indifferente a queste gesta del suo protetto, Paolo III negli anni seguenti continuò a manifestargli la sua benevolenza. Già nel 1541 il C. era stato designato a far parte del seguito del pontefice, in occasione dell'incontro di Bologna con l'imperatore; non risulta tuttavia che vi abbia poi effettivamente partecipato. Sicuramente, invece, era presso il papa due anni dopo, quando Paolo III incontrò Carlo V a Busseto. Nel marzo del 1546, in seguito alla morte dell'arcivescovo di Capua Tommaso Caracciolo, il C. ottenne anche l'amministrazione di quella mensa arcivescovile, ed il 5 maggio successivo Paolo III gli consentiva di cambiare la sua diocesi irpina con la assai più pingue sede capuana, le cui rendite ascendevano a 1.500 scudi annui. Meno di tre anni dopo, tuttavia, il 19 genn. 1549, il C. era costretto a cedere l'arcivescovato capuano a Fabio Arcella.
Anche se il C. conservava sulle rendite dell'arcidiocesi una pensione di 90 ducati ed il diritto di collazione dei benefici, era sempre una dolorosa rinunzia. A credere a quanto egli stesso scriveva agli Eletti di Capua, vi sarebbe stato indotto in omaggio ad una più puntuale osservanza dell'obbligo della residenza; pare verosimile, tuttavia, che il pontefice lo costringesse a rinunziare piuttosto per ragioni politiche che non per scrupoli disciplinari abbastanza inconsueti in lui. Il C., infatti, non nascondeva le sue inclinazioni verso il partito francese, conformi alle tradizioni della sua famiglia, ed è possibile che Paolo III intendesse scoraggiare con quel provvedimento atteggiamenti che, in un suo parente e beneficato, potevano creare nuove difficoltà ai già precari rapporti con il sospettosissimo imperatore. Tale atteggiamento del papa è del resto confermato dal netto rifiuto opposto al C. quando questi chiese di essere autorizzato a recarsi in Francia per rendere omaggio al nuovo re Enrico II.
Nel conclave del 1550, seguito alla morte di Paolo III, il C. prese apertamente posizione con il partito francese, nonostante la parentela e l'amicizia del cardinale Alessandro Farnese, autorevole esponente della fazione asburgica. Questi rapporti personali con il Farnese influirono tuttavia nella designazione del C., insieme con il cardinale Girolamo Capodiferro, a trattare con il partito avversario l'elezione di Giovanni Maria Ciocchi Del Monte, uscito vincitore dal conclave col nome di Giulio III.
I sentimenti politici del C. non tardarono a ricevere i dovuti riconoscimenti: egli infatti, che nel marzo del 1549 aveva ceduto l'amministrazione della diocesi di Bisignano a Domenico de Summa riservandosi però vari benefici, ottenne già il 14 luglio del 1550, poco dopo la conclusione del conclave, l'amministrazione della diocesi bretone di Quimper, la cui nomina era di competenza del re di Francia (vi rinunzierà nel 1560, a favore di Stefano Bouchier, riservandosi una pensione annua di 800 scudi), nonché, qualche tempo dopo, un altro beneficio, nella Guyenne, ammontante a 600 scudi annui.
Nulla opponendosi ora da parte del papa al progettato viaggio alla corte di Francia, il C. nel settembre del 1550 era a Parigi, accolto da Enrico II e dagli altri influenti personaggi della corte con "amorevolezza et passione incredibile", come scriveva egli stesso ai familiari (Caetani, p. 61). Nei colloqui con il sovrano e con i ministri francesi il C. venne pertanto delineando l'ambizioso programma che avrebbe guidato per un ventennio la sua politica e quella della sua famiglia: fare dei signori di Sermoneta i più autorevoli esponenti della Francia nell'aristocrazia romana, allo stesso modo che i Colonna - verso i quali l'emulazione dei Caetani aveva tradizioni secolari - vi rappresentavano il partito imperiale. Gli incontri di Parigi servirono dunque, oltre che a guadagnare al C. benefici per sé e per i propri familiari e munifiche promesse di favori futuri, anche ad esaminare le linee della politica francese in Italia, della quale il C. si impegnava ad essere il più zelante fautore presso la Curia romana. E in effetti, dopo il suo ritorno a Roma, il 24 marzo del 1551, questo ruolo gli venne riconosciuto dallo stesso Giulio III, anche se fu preoccupazione costante del C. di conciliarlo con la necessità di non perdere il favore del papa, sempre più invischiato nella tela della politica imperiale.
Significativo, in proposito, è il fatto che Giulio III lo incaricasse nel maggio del 1553 di una missione di pace a Siena presso il cardinale Ippolito d'Este, e lo chiamasse a far parte, il 31 luglio successivo, della congregazione cardinalizia costituita per discutere la politica della S. Sede nella questione senese, dopo il fallimento delle missioni al re di Francia ed all'imperatore affidate ai legati Girolamo Capodiferro e Girolamo Dandino.
Nel conclave del 1555 seguito alla morte di Giulio III il C. fu tra i più tenaci oppositori del vincitore, il cardinale Cervini, Marcello II, dal quale lo dividevano non soltanto le preclusioni politiche della corte francese, ma anche i più personali motivi indicati, alla vigilia dell'elezione, quando il Cervini appariva già tra i papabili, da Averardo Serristori agente a Roma di Cosimo I. "S. Giorgio, Sermoneta, Urbino et altri giovani, che sono avvezzi a vivere licentiosi - scriveva infatti il diplomatico toscano - lo fuggiranno come uno scoglio, sendo loro tremenda la sua severità" (Pastor, VI, p. 619).
Per ragioni opposte il C. doveva invece appoggiare, nel conclave successivo, l'elezione del cardinale Gian Piero Carafa, suo antico compagno di bagordi e personaggio gradito alla corte di Parigi. Del resto il pontificato del Carafa doveva compiacere il C. non soltanto per la sua netta ispirazione antispagnola, ma soprattutto per la sua programmatica campagna contro la famiglia Colonna, dalla rovina della quale il C. ed i suoi congiunti si aspettavano grandi vantaggi per la propria casata. Non si erano ancora spente infatti le antiche pretese dei Caetani su Fondi, Traetto Ceccano, Vallecorsa, Sonnino, attuali feudi colonnesi, pretese che il C. non si stancò di ribadire anche ufficialmente, ma che furono presto deluse quando Paolo IV investì dei feudi colonnesi il nipote Giovanni Carafa. In ogni modo il lealismo dei Caetani verso la politica pontificia fu premiato dal pronto aiuto concesso loro da Paolo IV quando fu scoperta la congiura organizzata contro i signori di Sermoneta da Antonio Caetani di Maenza, sostenuto dal viceré di Napoli e dalla concessione al fratello del C., Bonifacio, della carica di capitano generale delle milizie pontificie, il 27 aprile del 1557.
Nel conclave del 1559, seguito alla morte di Paolo IV, il C. fu ancora una volta tra gli esponenti della fazione francese, appoggiando sino in fondo la candidatura del cardinale Gonzaga, ma non riuscendo ad impedire l'elezione di GioVan Angelo Medici, Pio IV. Secondo gli accordi intercorsi durante il conclave, che prevedevano la concessione ad ogni cardinale del governo a vita di una città dello Stato pontificio, il C. ottenne il governo di Cesi, su suggerimento, a quanto pare, del cardinale Federico Cesi, legato al C. da una lunga amicizia confermata dal matrimonio, concordato tra i due porporati, di Beatrice Caetani con Angelo Cesi.
Il pontificato di Pio IV vide una fortuna piuttosto oscillante del cardinale di Sermoneta. Certo è che a questo periodo il C. dovette alcuni dei più remunerativi benefici ecclesiastici della sua carriera, ed in particolare la concessione, nel dicembre del 1561, della pingue abbazia di S. Leonardo della Matina, con le sue ricche dipendenze a Monopoli, a Lecce, a Molfetta, a Brindisi, a Nardò, a Gallipoli, a Melfi ed in altre località della Puglia, per una rendita annua complessiva di circa 16.000 scudi: tale abbazia rimase poi per alcuni decenni tradizionalmente assegnata agli ecclesiastici della famiglia Caetani, costituendo una tra le principali voci economiche dei signori di Sermoneta. Intanto il C. non trascurava di trarre i maggiori vantaggi dagli altri suoi benefici ecclesiastici: il 24 dic. 1558, alla morte di Domenico de Somma, aveva nuovamente ripreso possesso dell'amministrazione vescovile di Bisignano, per cederla ancora, nel febbraio del 1560, a Sante Sacco, con la clausola della riserva di due terzi delle rendite e della collazione dei benefici; di lì a poco, tuttavia, il C. riacquistava la disponibilità di quella amministrazione, non si sa in quali circostanze, e nel gennaio del 1563 poteva cederla di nuovo a Luigi Cavalcanti, mantenendo una pensione annua di 800 scudi e la collazione dei benefici. Analoghe vicende toccavano all'amministrazione del vescovato di Capua, che veniva riassegnata al C., dopo la morte dell'Arcella, nel maggio del 1564, e nuovamente ceduta nel 1572 a Cesare Costa.
Quali che fossero i vantaggi economici consentitigli dal pontificato di Pio IV, il C. ed i suoi familiari ebbero forti motivi di lamentarsi di questo papa: pare infatti che egli meditasse di cedere la mole di Ninfa, nello Stato di Sermoneta, e feudo ormai acquisito ai Caetani, al gran maestro dell'Ordine di S. Lazzaro, e addirittura i Caetani sospettarono che il papa intendesse privarli dello Stato per attribuirlo ai propri nipoti, progetto che sarebbe stato impedito dalla morte di Pio IV.
Nel conclave apertosi nel dicembre del 1565 il C. prese ancora una volta posizione con la fazione francese, opponendosi alla candidatura del cardinale Morone aderendo a quella subito fallita di Alessandro Farnese, ed infine accettando quella del cardinale Michele Ghislieri, Pio V. Da questo papa ottenne nel 1566 il titolo di protettore di Scozia ed in tale qualità dovette seguire da vicino le vicende della regina Maria Stuart e rispondere alle sue drammatiche sollecitazioni di un aiuto della Chiesa contro gli eretici ed in difesa del suo regno.
In questi anni il C. venne lentamente consumando il suo distacco dalla corte di Francia, probabilmente perché questa si era mostrata troppo poco generosa durante un ventennio di puntuale devozione della famiglia di Sermoneta: non si hanno infatti notizie di altri benefici francesi ai Caetani, oltre a quelli inizialmente concessi da Enrico II. Non dovevano mancare, d'altra parte, i tentativi di parte spagnola per guadagnare al proprio servizio l'antica e prestigiosa famiglia romana ed il suo esponente nel collegio dei cardinali. Ma dovettero esservi anche dei motivi politici ad indurre il C. a rivedere le linee direttrici della propria azione, in particolare l'estraneità della Francia alla lega delle potenze cristiane contro il Turco, al programma essenziale, cioè, del pontificato di Pio V, al quale il C. sembra avere incondizionatamente aderito; e altrettanto dovettero pesare su questo cambiamento di fronte i nuovi rapporti stabiliti dai Caetani con la famiglia Colonna, sanciti dal matrimonio di un nipote del cardinale, Onorato, con Agnesina Colonna, sorella di Marcantonio.
I risultati di questo processo di avvicinamento alla Spagna si videro nel conclave del 1572, allorché, subito fallita per l'opposizione del cardinale di Granvelle, rappresentante di Filippo II, la candidatura del cardinale decano Alessandro Farnese, il C. non soltanto si schierò per il candidato degli Spagnoli, il bolognese Boncompagni, ma ne rese possibile Pelezione con una intensa opera di persuasione dei cardinali Borromeo e Bonelli, ostili al Boncompagni per i contrasti trascorsi tra questo e Pio V.
Il ruolo esercitato dal C. fu apertamente riconosciuto dallo stesso Gregorio XIII al momento della elezione, poiché al cardinale di Sermoneta che si recava a rendergli omaggio si disse "opus manuum tuarum" (Caetani, p. 157). E lo stesso giorno accordava una importante carica al nipote del Caetani, Onorato, alla quale subito si aggiungevano i riconoscimenti di Filippo II, la cui approvazione era ufficialmente manifestata con una visita del cardinale di Granvelle a Sermoneta. Da allora le fortune dei feudatari pontini si legarono saldamente a quelle dell'egemonia spagnola. Sentimenti opposti doveva necessariamente esprimere per questa conversione la corte di Francia ed il C. lamentò altamente "grandissime persecuzioni" (Caetani, p. 158), delle quali tuttavia i documenti non forniscono i dettagli.
La perdita della protezione francese fu del resto largamente compensata anche dal favore di Gregorio XIII, almeno nei primi anni del pontificato. è in questo momento, infatti, che per l'opera sapiente del C. e per la benevolenza del pontefice furono gettate le basi per una nuova stagione di fortune ecclesiastiche dei Caetani: Gregorio XIII consentì che il C. trasmettesse ai nipoti Enrico e Camillo, con lungimiranza avviati alla carriera ecclesiastica, numerosi benefici e cariche che così divennero appannaggio pressoché ereditario della famiglia. Inoltre il C. venne diligentemente preparando i nipoti a succedergli nel seggio cardinalizio, che difatti dopo la sua morte fu attribuito ad ambedue.
Tra le cariche che Gregorio XIII concesse al C. fu quella di camerlengo, alla quale tuttavia il C. rinunziò nel 1578, non si sa in quali circostanze. Il C. fece anche parte della congregazione cardinalizia del Cerimoniale, istituita da Gregorio XIII "per ridurre le cerimonie all'uso antico et levar gli abusi trascorsi sì nella venuta de principi come de loro ambasciatori et di molt'altre cose" (Pastor, IX, p. 875): e certo il contributo dello sfarzoso e mondano cardinale di Sermoneta a questo programma di austerità non dovette essere granché rilevante.
I rapporti tra Gregorio XIII ed i Caetani cominciarono a guastarsi negli ultimi anni del pontificato. All'origine dei contrasti fu probabilmente il costante impegno nepotistico del pontefice, che distolse dalla famiglia Caetani alcune cariche e privilegi per gratificarne i suoi congiunti. Dovette nuocere inoltre ai feudatari di Sermoneta la contiguità del loro Stato con quello di Giacomo Boncompagni, figlio legittimato del pontefice e da lui creato duca di Sora. Fu probabilmente per non diminuire correlativamente il prestigio del figlio che il papa si oppose sempre a soddisfare l'antica aspirazione dei Caetani, l'elevazione cioè del loro feudo in ducato, che li avrebbe equiparati alle casate emule degli Orsini e dei Colonna. E presumibilmente non furono estranei gli interessi del figlio del papa all'episodio che segnò la rottura definitiva tra Gregorio XIII ed il C., la condanna capitale di un congiunto del cardinale, Cesare Caetani, signore di Filettino, un feudo confinante col ducato di Sora, che accusato di brigantaggio fu giustiziato sebbene in sua difesa il C. avesse impegnato tutto il proprio prestigio. In effetti a Roma il C. non tornò più, nonostante i tentativi di conciliazione del cardinale Farnese e di altri esponenti della Curia, sino alla morte di Gregorio XIII, al quale del resto non sopravvisse a lungo: morì infatti il 1º maggio 1585. Il suo corpo venne sepolto nella basilica di Loreto, nella tomba che egli stesso si era fatta da tempo edificare.
A testimonianza della sua vitalità e degli immutati costumi galanti anche negli ultimi anni della sua vita rimase il figlio naturale Francesco Maria, nato intorno al 1580, cui nel 1600 Clemente VIII consentì, nonostante la illegittimità della sua nascita, l'accesso nella carriera ecclesiastica, "purché non sia imitatore della incontinenza paterna" (Caetani, p. 165).
Fonti e Bibl.: G. F. Peranda, Lettere, Venezia 1601, passim; Lettere di Onorato Caetani, a cura di G. B. Carinci, Roma 1893, passim;V.Spezioli, Guida di Recanati, Recanati 1898, p. 96; P. Pantanelli, Notizie istoriche… appart. alla terra di Sormoneta, Roma 1911; G. Ceraso, Ilduomo di Capua, Capua 1916, passim;L.von Pastor, Storia dei papi, VI, Roma 1927, pp. 6, 32, 105, 307, 344, 449, 619; VII, ibid. 1928, pp. 19, 25, 27; VIII, ibid. 1929, p. 20; IX, ibid. 1929, pp. 14, 872, 875, 884; G. Caetani, Domus Caietana, II, San Casciano Val di Pesa 1933, ad Indicem;P.Tacchi Venturi, Storia della Compagnia di Gesù in Italia, II, 2, Roma 1950, p. 297; J. Delumeau, Vie économique et sociale de Rome dans la seconde moitié du XVIe siècle, I, Paris 1957, p. 453, G. Gulik-C. Eubel, Hierarchia catholica…, III, Monasterii 1923, pp. 25, 134, 151 179.