BISCHI, Nicola
Nato a Tivoli da Luigi e da Maria Bulgarini, in una nobile e ricca famiglia del luogo, in data imprecisabile (probabilmente intorno al 1730), ottenne già nel 1759 dal cardinale camerlengo, per mezzo dello zio Settimio Bulgarini, commissario generale dell'annona, l'ufficio di provvedere all'annona nelle provincie di Campagna, Lazio e Sabina.
Fin da questo primo incarico affiorarono seri e fondati sospetti sulla rettitudine del B., tanto che le reiterate proteste della popolazione, giunte all'orecchio del camerlengo, provocarono una inchiesta, promossa dal governatore della Sabina monsignor Nicolai e condotta dal notaio G. Pascasi. Costui, vagliata una lunga serie di testimonianze di coltivatori di Tivoli, dal 1º al 16 sett. 1763, accertò che il B., il quale avrebbe dovuto somministrare agli agricoltori il grano per la semina, con l'obbligo di restituzione dopo il raccolto al prezzo determinato dall'annona, stimava il grano restituito ad un prezzo di gran lunga inferiore a quello corrente (nel 1759, ad esempio, l'aveva valutato 5 scudi romani e rivenduto a 8,50, lucrando scudi 3,50); aveva imposto, inoltre, l'obbligo di una licenza per far entrare e uscire da Tivoli quantità anche minime di grano, dietro pagamento di una gabella elevata; abusando, infine, dei suoi poteri, spesso non concedeva il grano e il prestito in denaro che, secondo i doveri del suo ufficio, avrebbe dovuto concedere agli agricoltori per la semina e le spese del raccolto. Comunque, pur essendo stati provati gli addebiti mossi al B., l'inchiesta non ebbe alcun seguito, e gli atti di essa furono pubblicati soltanto nel 1778, nel corso di un processo che poneva fine alla carriera pubblica del B. (Arch. Segr. Vaticano,Misc. Arm. X, 249: Processo estragiudiziale sopra più delinquenze con abuso del proprio ufficio contro N. B. commissario dell'Annona in Tivoli e suoi ministri, Roma 1778). Oltre tutto, l'anno dopo, durante la carestia del 1764, il camerlengo lo incaricò con più ampi poteri di provvedere all'approvvigionamento della provincia di Campagna.
Elevato al soglio pontificio Clemente XIV, il B., che aveva sposato Vittoria Sabucci, parente stretta del papa, ottenne maggiore potenza: nel 1769 fu nominato, infatti, amministratore generale delle provviste dei grani, e insieme col francescano Buontempi, confessore del pontefice, cominciò a esercitare grande influenza sullo stesso papa. Approfittando di questa situazione e della venalità del B., il ministro di Francia, cardinale de Bernis, decise fin dal novembre 1771 di captarne la collaborazione per ottenere da Clemente XIV l'abolizione della Compagnia di Gesù. L'occasione fu offerta da una "estrazione" di grano chiesta dal re di Francia al papa, in seguito alla cui effettuazione il de Bernis chiese al suo governo che fosse concessa al B. un'onorificenza: il D'Aguillon propose la croce di S. Michele, ma il cardinale insistette per una più elevata, la croce di S. Lazzaro o quella di S. Luigi: il 7 marzo 1772 fu conferita al B. la prima. Crescendo sempre di più il favore del B. presso il papa, che nel 1773 volle che fosse presentato alle "conversazioni", il de Bernis aumentò a sua volta le sue offerte, ottenendo per il B. e i suoi figli, nati o da nascere, delle lettres de naturalité, che li avrebbero posti sotto la protezione della Francia (8 agosto 1773). Evidentemente l'azione del B. contro la Compagnia non fu del tutto trascurabile, se anche il ministro di Spagna a Roma, Grimaldi, mettendone in rilievo presso il Moñino l'apporto efficace (7 sett. 1773, in Pastor, p. 228), lo fece nominare gentiluomo ordinario di Spagna.
Dalla soppressione della Compagnia il B. ricavò, comunque, altri tangibili guadagni: fu nominato, infatti, amministratore dei beni posseduti dai gesuiti in Tivoli e nei dintorni, e pose anche le mani su altri loro possessi in Roma, tanto da poter creare una biblioteca pubblica nella sua città natale con i libri sequestrati a S. Andrea al Quirinale e nelle case di Tivoli. Un complesso di motivi, pertanto, aveva creato una reputazione piuttosto negativa del B., cosicché gli scritti satirici e le pasquinate contro di lui assunsero una diffusione enorme: ciò lo spinse a preoccuparsi per il futuro, per poter giustificare la sua condotta dopo la scomparsa di Clemente XIV. Perciò, durante la malattia che condusse quest'ultimo alla tomba, riuscì a farsi rilasciare dal papa un motu proprio (2 sett. 1774), in cui si dichiarava che il B. non sarebbe stato mai tenuto a render conto minuto delle somme che gli erano state anticipate dalla Camera apostolica per gli acquisti di grano (in particolare al B. erano stati assegnati, durante la carestia del 1771-72, 900.000 scudi).
Ma, appena morto Clemente XIV, da ogni parte sorsero contro il B. accuse d'incompetenza e malversazione: già nell'ottobre 1774 una congregazione di cardinali lo giudicò per aver fornito ai fornai di Roma 3.000 rubbie di grano di scadente qualità: riconosciuto colpevole, fu obbligato a ritirare dal mercato la quantità di grano non ancora consumata e a rimborsare all'annona il prezzo d'acquisto. Ma poiché le voci contro di lui aumentavano d'intensità, Pio VI incaricò il prefetto dell'annona, monsignor Livizzani, di tradurlo in giudizio per costringerlo a rendere i conti di tutta la gestione: gli furono accordati dal tribunale sei mesi di tempo per preparare la sua difesa, mentre un motu proprio papale privava lui e la moglie delle rendite degli offici vacabili della Curia romana, accordate loro da Clemente XIV.
Il rendiconto delle spese, presentato dal B., non sembrò soddisfacente al tribunale dell'annona, che gli imputò un debito di 362.000 scudi, ma un intervento del ministro spagnolo impedì che si rendesse pubblica la sentenza, facendogli concedere altro spazio di tempo per preparare una giustificazione. La decisione della causa, affidata a una congregazione formata da cinque cardinali (Spinola, Fantuzzi, Pamphili, Casali, Rezzonico, mentre il segretario di stato, Pallavicini, aveva rinunciato ad entrarvi per riguardi politici) e da monsignor Livizzani, si protrasse a lungo: alla fine del 1777, comunque, si capì che la condanna del B. era imminente, allorché il 31 dicembre una notificazione, firmata da Rezzonico, Livizzani e dal segretario della Camera apostolica, Mariotti, invitava tutti i debitori di lui a farsi vivi, mentre si procedeva alla confisca di tutti i suoi beni. Il rendiconto delle spese della gestione annonaria del B. veniva presentato dal suo difensore, avvocato Zanobetti, il 19 genn. 1778 (Arch. di Stato di Roma,Camerale II,Annona 88): si confessava la difficoltà di rendere i conti in modo particolareggiato a tanta distanza di tempo, e se ne addossava la responsabilità alla computisteria dell'annona, che aveva trascurato di tenere i conti del debito e del credito dei singoli mercanti, cosicché una somma di 869.776, 94 scudi, pagata ai fornitori e non scritturata, aveva provocato l'apparizione di un gran numero di creditori, che non avrebbero dovuto essere tali. Molte spese, che il B. nella sua difesa aveva giustificate come sostenute per il trasporto del grano, erano comunque poco credibili, non essendovi alcuna indicazione dei luoghi, ove le compere erano state fatte, né la distinta dei mezzi di trasporto. I giudici, pertanto, il 20 gennaio lo condannarono, non per truffa ma per inettitudine (evidentemente il compromesso era dovuto agli interventi delle corti borboniche di Francia e Spagna), a restituire alla Camera apostolica la somma di 282.556 scudi e 82 baiocchi "senza pregiudizio delle altre partite da liquidarsi". Il B. non restituì, in effetti, tale somma, essendosi ricavati dalla vendita dei suoi beni soltanto 100.000 scudi (quasi tutte le sostanze erano, infatti, opportunamente intestate alla moglie) e si ritirò, quindi, nella località di Paliano, godendo anche di una pensione annua di 1500 scudi assegnatagli dal governo spagnolo.
Il B. riapparve nel 1793, partecipando il 13 gennaio al pranzo offerto dal banchiere Moutte in onore del Bassville, insieme con la moglie, con Giovanni Torlonia, Corona, Angelucci, Costantini, Gagliuffi, C. Massimi e La Flotte: in tale occasione furono distribuite le coccarde tricolori, la cui ostentazione provocò il risentimento popolare che portò all'uccisione del diplomatico francese.
Si perde poi ogni traccia del Bischi. Certamente la sua famiglia parteggiò per la rivoluzione. La moglie frequentò i salotti repubblicani; dei figli, Settimio, che il 4 pratile VII (23 maggio 1799) figura fra gli acquirenti di beni nazionali, in cambio di forniture alimentari, fu nel 1809 segretario generale della mairie di Roma e consigliere del dipartimento del Tevere, mentre il secondogenito, Lorenzo, morì in Spagna, combattendo nell'esercito napoleonico.
Fonti e Bibl.: Scritti satirici e pasquinate contro il B. e sua moglie in Bibl. Apostolica Vaticana: Vat. lat. 13141, ff. 8-13, 65-66v; Vat. lat. 13429, ff. 1-4, 117-120, 216-221, 233-234; Ferraioli, codd. 501, 532-535,passim; G. Sforza,Episodi della storia di Roma nel sec. XVIII…, in Arch. stor. ital., s. 4, XX (1887), pp. 384, 390, 397-399; Carteggio di Pietro e di Alessandro Verri, II, Milano 1931, pp. 34, 61, 157, 161, 172; Lett. ined. di G. Marini a cura di E. Carusi, II, Città del Vaticano 1930, pp. 69, 151, 153, 156, 232; III, ibid. 1940, pp. XV, 28; F. Masson,Les diplomates de la Révolution,Hugon de Bassville à Rome,Bernadotte à Vienne, Paris 1882, p. 252; Id.,Le cardinal de Bernis depuis son ministère (1758-1794), Paris 1884, pp. 197 s., 298, 301, 327-329; D. Silvagni,La corte e la società romana nei secc. XVIII e XIX, Roma 1884, pp. 210-213, 230-234, 286, 422, 430, 452, 538; A. Ademollo,Corilla Olimpica, Firenze 1887, p. 190; J. Gendry,Pie VI,sa vie,son pontificat, Paris 1907, pp. 69-70; 128-130; C. De Cupis,Le vicende dell'agricoltura e della pastorizia nell'agro romano: l'annona di Roma, Roma 1911, p. 237; G. Cascioli,Gli uomini illustri o degni di memoria della città di Tivoli..., Tivoli 1927, pp. 418-420; D. Angeli,Storia romana di trent'anni, I,Tramonto di secolo, in Il Marzocco, XXXIII (1928), n. 39, p. 1; L. von Pastor,Storia dei papi, XVI, 2, Roma 1933, pp. 79, 81, 228, 401, 406, 412 s., 414, 416 s., 419 s., 458 s., 462, 464 s., 467 s.; P. Mantese,P. Tamburini e il giansenismo bresciano, Brescia 1942, pp. 60, 62, 64 s.; L. Dal Pane,Lo Stato pontificio e il movimento riformatore del Settecento, Milano 1959, pp. 8, 52; R. De Felice,La vendita dei beni nazionali nella Repubblica romana del 1798-99, Roma 1960, pp. 38, 150 s.; U. Benigni,Die Getreidepolitik der Päpste, s.d., p. 94; G. Moroni,Diz. di erudizione stor. eccles., XLV, p. 126; LIII, p. 89; CII, p. 462.