MONTI, Nicola Antonio
MONTI, Nicola Antonio. – Nacque ad Ascoli (odierna Ascoli Piceno) il 16 agosto 1736 da Giuseppe e Maria Giovanna, di cui non si conosce il cognome, originaria del vicino paese di Ancarano.
Giovanissimo, apprese i primi rudimenti dell’arte pittorica presso la bottega dell’artista ascolano Biagio Miniera che, sul finire della prima metà del XVIII secolo, era il pittore più affermato della città con una fiorente bottega. Si trattò, probabilmente, solo di un generico apprendistato poiché la vena bizzarra, la gamma cromatica sgargiante, nonché la tecnica ad affresco, caratteristiche dell’operato di Miniera, non sono riscontrabili nel percorso artistico di Monti.
Dopo la morte improvvisa del maestro, nel 1755, Monti si trasferì a Roma dove si pose sotto la guida di Pompeo Batoni che lo indirizzò verso lo studio delle opere di Raffaello e dei pittori emiliani del Seicento, nonché verso la padronanza della tecnica del disegno. Nel 1758 si aggiudicò il primo premio nella terza classe di pittura, riservata agli artisti più giovani, del concorso Clementino indetto dall’Accademia nazionale di S. Luca. Nel 1759, come prova dei progressi raggiunti nell’arte pittorica, inviò alla propria parrocchia di S. Vittore di Ascoli la tela raffigurante La Pietà (Ascoli Piceno, palazzo vescovile), chiaramente ispirata all’opera, di medesimo soggetto, di Batoni (Amburgo, Hamburger Kunsthalle). Durante il periodo romano ottenne ulteriori riconoscimenti ufficiali con le prove eseguite presso la scuola del nudo in Campidoglio, classificandosi secondo nel 1758, primo nel 1760 e primo nella seconda classe di pittura nel 1762. Tali successi e l’abilità mostrata nell’assimilare gli stilemi raffaelleschi, tanto da essere considerato uno dei migliori copisti di Raffaello, valsero a Monti due importanti commissioni: una pala per la chiesa romana di S. Maria in Monterone – forse identificabile con quella raffigurante S. Pietro Pascasio e s. Pietro Nolasco che venerano la Madonna di Monterone, ancora presente in loco – e la copia della Pala Ansidei di Raffaello commissionatagli da Gavin Hamilton intorno al 1764, anno in cui quest’ultimo vendette l’originale in Inghilterra.
La presenza a Roma di Monti, attestata con certezza dal 1757, anno in cui è censito negli Stati delle anime della parrocchia di S. Lorenzo in Lucina, fu quindi di almeno cinque anni. Gli studi finora pubblicati sull’artista, invece, collocano il suo ritorno in patria intorno al 1759 (Maggini, 1990). Tuttavia, i premi vinti alla scuola del nudo, che prevedeva la frequenza obbligatoria degli allievi, e l’esecuzione della suddetta copia, suggeriscono di posticipare tale evento.
Verso il 1762-64 Monti rientrò ad Ascoli, dove si stabilì definitivamente. Purtroppo la scarsità di notizie sui suoi anni giovanili non permette di conoscere il motivo del suo ritorno proprio nel momento in cui la sua carriera artistica stava decollando; molto probabilmente contribuirono a tale decisione le difficoltà economiche e la sua indole eccessivamente modesta.
La prima testimonianza della carriera pittorica di Monti a partire dal settimo decennio del secolo è la commissione, nel 1769, del quadro con l’Educazione della Vergine per la chiesa ascolana di S. Domenico (Ascoli Piceno, Pinacoteca civica). Lo stesso anno segnò l’inizio del proficuo rapporto con mons. Francesco Antonio Marcucci, nobile ascolano fondatore della Congregazione delle pie operaie concezioniste, per il quale realizzò, nel corso degli anni, numerose opere, tra le quali il ritratto dello stesso religioso (Ascoli Piceno, Museo-Biblioteca Francesco Antonio Marcucci) realizzato in occasione della sua nomina a vescovo di Montalto nel 1770.
Nel 1772 Monti sposò l’ascolana Porzia Roccatani, di 17 anni più giovane, che gli diede 13 figli, di cui quattro morirono in giovanissima età.
La fine degli anni Settanta e l’inizio del decennio successivo sancirono la consacrazione artistica del pittore, che ricevette importanti commissioni ad Ascoli e in numerose città delle odierne Marche e dell’Abruzzo, raggiungendo la piena maturità artistica e confermandosi come il miglior pittore locale. Fondamentale per la sua carriera fu l’appoggio delle famiglie patrizie, come gli ascolani Odoardi che gli commissionarono la Moltiplicazione dei pani e dei pesci (Ascoli Piceno, Museo diocesano), e degli Ordini religiosi per i quali eseguì diverse tele come la Gloria di s. Pacifico da San Severino (San Severino Marche, santuario di S. Pacifico), considerata punto di riferimento fondamentale per l’iconografia ufficiale del santo.
Dalla preponderante influenza batoniana, ravvisabile nei primi lavori, Monti passò, in questi anni, a uno stile personale, contraddistinto da un’impostazione spaziale chiara ed essenziale, rispettosa delle regole della prospettiva, entro cui si muovono personaggi costruiti attraverso l’impiego preciso delle proporzioni. Non è inusuale notare nei suoi dipinti il ricorrere di alcune fisionomie costanti rintracciabili, probabilmente, nei volti della moglie e dei figli che egli era solito impiegare come modelli per le effigi della Madonna e del Bambino. Tra queste opere si ricorda, per esempio, la Madonna del Buon Amore (Ascoli Piceno, Pinacoteca civica). L’arte di eseguire ritratti era, d’altra parte, un sicuro retaggio tratto dall’insegnamento di Batoni, vero maestro del genere, come si può notare nel ritratto del vescovo Alessandro Maria Odoardi (Ascoli Piceno, Museo-Biblioteca Francesco Antonio Marcucci), nonché in quello del vescovo ascolano Pietro Paolo Leonardi (Ascoli Piceno, palazzo vescovile) nei quali l’artista si mostra attento non solo al dato fisionomico, ma anche all’introspezione psicologica dei personaggi. L’impostazione schematica delle opere, accuratamente studiata in ogni dettaglio, come si può desumere anche dalla ricca collezione di disegni del maestro conservata presso i depositi della Pinacoteca civica di Ascoli Piceno (Inv. 433), attesta, inoltre, quanto l’artista avesse fatto propria la lezione batoniana sull’importanza degli studi preparatori. Al contrario di Batoni tuttavia, Monti non dipinse opere di soggetto mitologico, preferendo, probabilmente per il tipo di committenza cui faceva riferimento, temi di carattere religioso, in cui si ravvisa la fedeltà al racconto biblico o agiografico e un sentimento devoto e intimo, volto a suscitare la partecipazione emotiva dello spettatore.
Nonostante il gran numero di commissioni, l’ampliarsi del nucleo familiare e il carattere di Monti che «timidissimo per natura e convinto profondamente di possedere troppo limitata abilità, accettava qualunque retribuzione gli fosse offerta» (Cantalamessa, 1871), ridussero l’artista in stato di grave disagio economico costringendolo a eseguire un numero sempre maggiore di lavori, talvolta a scapito della qualità. I materiali utilizzati, spesso scadenti, quali gli oli magri, e l’impiego di tele e telai inadeguati, furono, in alcuni casi, causa di un precoce deterioramento dei suoi dipinti, come si può notare nella tela rappresentante Innocenzo IV che visita s. Chiara inferma dipinta per la chiesa di S. Chiara a Ripatransone. Inoltre, secondo parte della critica (Maggini, 1990; Zampetti, 1991), le ultime opere denotano modi artistici stanchi e convenzionali causati dalla mancanza di stimoli e di contatti culturali adeguati. Ciò viene notato, per esempio, nell’Immacolata Concezione, realizzata per le chiesa delle suore concezioniste di Ascoli Piceno (ancora in loco), o nella Madonna del Rosario per la chiesa di S. Maria della Misericordia di Bellante. Tuttavia, proprio a questi ultimi anni risalgono dipinti considerevoli come la Crocifissione per la chiesa di S. Filippo Neri di Sant’Elpidio a Mare e l’Assunzione della Vergine per la chiesa di S. Maria Assunta a Cossignano. Che l’influenza del periodo romano non fosse mai venuta meno è poi evidente nell’insieme di tele raffiguranti il Sacro Cuore di Gesù, tra le quali quella dipinta per la chiesa di S. Cristoforo di Ascoli e la perduta Ultima cena di Fermo (Urbino, Soprintendenza per i beni storici, artistici ed etnoantropologici delle Marche, scheda n. 00028907), chiaramente ispirata all’omonima tela coeva, realizzata da Batoni, per la basilica di Estrela a Lisbona. Ciò confermerebbe la continuità di rapporti mantenuti dall’artista con Roma, testimoniati anche da un viaggio in questa città intrapreso per consegnare a mons. Marcucci, che lì temporaneamente risiedeva in occasione della sua consacrazione a vescovo, il citato ritratto (Guida al Museo Biblioteca… , 2006).
Per far fronte alla grave condizione economica in cui versava la sua famiglia, Monti fu costretto anche ad accettare lavori minori come l’esecuzione di decorazioni per alcune recite che si tennero nel teatro pubblico ascolano (Fabiani, 1961), un gonfalone processionale (Cantalamessa Carboni, 1830) e alcuni stemmi dipinti per il Comune della sua città (Fabiani, 1961). Fu a capo di una folta bottega, i cui allievi, però, non raggiunsero mai la fama del maestro.
Morì ad Ascoli il 19 dicembre 1795, poche settimane dopo la nascita del suo ultimo figlio.
Fonti e Bibl.: Ascoli Piceno, Arch. della Chiesa del Carmine, Liber baptizatorum , cc. 137 e ss.; Liber defunctorum… sub die 10 febr. 1680-1821, cc. 181 e ss.; Ibid., Archivio della Diocesi, Liber III matrimoniorum… 1725-1780, c. 137; Roma, Arch. dell’Accademia nazionale di S. Luca, Catalogo dei disegni della scuola del nudo (1754- 1872), vol. 51, c. 123; vol. 55, cc. 126 e ss.; vol. 166, n. 115; Ibid., Arch. storico del Vicariato, Stati delle anime, S. Lorenzo in Lucina (1757), c. 133r; A. Mariotti, Lettere pittoriche perugine, Perugia 1788, p. 274; B. Orsini, Descrizione delle pitture sculture architetture ed altre cose rare della insigne città di Ascoli, Perugia 1790, pp. 43, 87, 102 s., 253; A.Ch. Quatremère de Quincy, Istoria della vita e delle opere di Raffaello Sanzio da Urbino, a cura di F. Longhena, Milano 1829, p. 41; G. Cantalamessa Carboni, Memorie intorno i letterati e gli artisti della città di Ascoli nel Piceno, Ascoli Piceno 1830, pp. 268-271; A. Ricci, Memorie storiche delle arti e degli artisti della Marca di Ancona, Macerata 1834, II, pp. 430-432; G. Cantalamessa, Niccola M., in L’Eco del Tronto, 8 gennaio 1871; E. Calzini, Note sulla pittura in Ascoli nei secoli XVII e XVIII, in Rassegna bibliografica dell’arte italiana, III (1900), 10, pp. 181-205; R. Gabrielli, Artisti ascolani. N. M., in Vita picena, 18 febbraio 1933; J.H.W. Tischbein, Aus meinem Leben, a cura di K. Mittel-Städt, Berlin 1956, pp. 251 s.; G. Fabiani, Il pittore disperato, in Il Nuovo Piceno, 28 febbraio 1958; Id., Artisti del Sei-Settecento in Ascoli, Ascoli Piceno 1961, pp. 141-144, 279; S. Papetti, Disegni inediti del pittore ascolano N. M., in Flash: quattordicinale di vita picena, VIII (1987), 107, pp. 40 s.; C. Maggini, N. M., in La pittura in Italia. Il Settecento, a cura di G. Briganti, Milano 1990, II, pp. 801 s.; I disegni di figura nell’Archivio storico dell’Accademia di S. Luca, a cura di A. Cipriani - E. Valeriani, III, Roma 1991, p. 10; P. Zampetti, Pittura nelle Marche: dal barocco all’Età moderna, IV, Firenze 1991, pp. 126, 137 s.; S. Papetti, La pittura del Settecento ad Ascoli Piceno, in Atlante dei beni culturali dei territori di Ascoli Piceno e di Fermo: pittura e scultura, a cura di S. Papetti, Milano 2003, pp. 132-149; F. Capponi, La Divina Pastora del monastero delle benedettine in Sant’Angelo in Pontano: un culto, un quadro e il pittore N. M. (1736-1795), in Quaderni dell’Archivio storico arcivescovile di Fermo, 2005, n. 40, pp. 35-64; Guida al Museo biblioteca Francesco Antonio Marcucci, al convento e alla chiesa dell’Immacolata, a cura di M.P. Giobbi - F. Laganà, Ascoli Piceno 2006, p. 51, 56, 86, 167; C. Ciociola, Un pittore ascolano del Settecento: N. M. (1736-1795), tesi di laurea magistrale, Università degli studi di Roma «La Sapienza», a.a. 2007-08, rel. prof.ssa M.C. Cola; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXV, p. 95.