GRAZIANI, Nicola Antonio
Nacque a Civitanova Marche (e non a Macerata, come generalmente proposto), nella parrocchia di S. Paolo Apostolo, il 14 sett. 1726, da Francesco Saverio (1685-1770) e da Lucia Maddalena Boccavecchia, cadetto di Pietro (nato il 2 ag. 1725). Della prima educazione non si sa nulla: le successive vicende della sua vita rendono abbastanza legittimo ipotizzare che egli abbia, come molti giovani aristocratici di tutta Italia in quel tempo, svolto i suoi studi nel rinomato collegio dei nobili di Parma, illustrato dall'insegnamento di S. Bettinelli. L'11 sett. 1752, unitamente al fratello Pietro, fu creato conte da Filippo di Borbone duca di Parma. La famiglia Graziani, originaria di Montemonaco, aveva goduto del patriziato di Macerata dal secolo XV, e aveva nel tempo espresso distinti personaggi e posseduto un importante palazzo; però, avendo nei secoli XVI e XVII stabilmente risieduto a Civitanova senza più partecipare alla vita pubblica maceratese, fu dichiarata estinta e depennata dai ruoli. Solo nel 1756 il G. e suo fratello, ormai insigniti della dignità comitale, presentarono istanza di reintegrazione, ottenendola nel 1762. Da quel momento è alquanto difficile seguire gli spostamenti irregolari del G. tra Parma e Macerata. In patria cominciò a occuparsi di letteratura alla maniera dei gentiluomini colti del suo tempo: nel 1762 venne ammesso nell'Accademia dei Catenati col nome di Siface Numidico, e nel 1780 fu eletto vice-direttore e presidente perpetuo dell'Accademia Potenziana, colonia della romana Accademia degli Allobrogi. A Parma invece fece carriera alla corte borbonica nel periodo di maggior splendore di quello Stato ("l'Atene d'Italia" di G. du Tillot): venne nominato gentiluomo di camera con esercizio dell'infante don Ferdinando, cavaliere dell'Ordine costantiniano di S. Giorgio e, nel 1783, colonnello del reggimento del duca (anche suo nipote Francesco, figlio di Pietro, nel 1784 risulta guardia del corpo presso quella corte).
Egli fu profondamente influenzato dall'alto livello culturale degli ambienti parmensi, allora dominati da É. de Condillac, C.I. Frugoni, A.G. e C.G. di Rezzonico e tanti altri letterati, filosofi e scienziati; da ciò scaturì una sua importante funzione, forse non del tutto consapevole: quella di trasmettere, con frequenti viaggi fra le due città, fecondi fermenti illuministici negli allora alquanto tradizionalistici ambienti culturali di Macerata. Il G. frequentò anche gli illuminati ambienti fiorentini ed effettuò un viaggio a Parigi.
Nel 1766 diede lettura a Firenze della sua prima e principale opera, che pubblicò nello stesso anno a Lucca: Ragionamenti accademici del conte Nicola Graziani di Macerata presentati per la prima volta in Firenze, e dal medesimo dedicati alle dame d'Italia (88 pp. in 8°). Il lavoro è costituito di tre componimenti: il primo (fornendo numerosi esempi, fra cui quelli di Maria Gaetana Agnesi, Francesca Imbonati Bicetti, Laura Bassi e altre) cerca di dimostrare "quanto erronea, ed insussistente sia quella massima che dagli uomini generalmente viene contro le donne adottata, nel crederle di natura volubili, incostanti ed infedeli nel commercio della vita civile"; il secondo tratta "dell'amore, della necessità di amare, e delle diverse maniere di amare"; il terzo "della gelosia, della sua origine, de' suoi prodotti e de' suoi fomentatori". Nonostante il G. avesse tentato di porla sotto l'egida della citazione di un brano tratto delle Divinae institutiones di Lattanzio, l'affermazione che "gli uomini sono naturalmente liberi ed uguali" (p. 63), unitamente a una impostazione di fondo senza dubbio collegata a modelli di razionalismo illuministico (vi si intuisce tutta una certa letteratura francese, da Montaigne a Rousseau a Voltaire), non poteva non allarmare i censori ecclesiastici: infatti, con decreto 24 luglio 1767, l'opera fu messa all'Indice, col pretesto, però, del linguaggio troppo libero. Tuttavia il Lami le aveva già dato notorietà, recensendola il 26 apr. 1766 nelle Novelle letterarie (XXVII, n. 17, coll. 280 s.) con toni laudativi e definendo l'autore "un valoroso campione e uno intraprendente Cavaliero del Bel Sesso".
Si ignora quando il G. sia rientrato stabilmente a Macerata: risulta però che nel 1791 (la vicenda è misteriosa e le fonti avarissime) vi fondò un club segreto d'ispirazione giacobina, che nel 1794 fu scoperto; dovette così riparare precipitosamente nel Regno di Napoli, trovando rifugio a L'Aquila, dove si trattenne fino alla fine del 1796, quando ebbe inizio a Macerata il "triennio giacobino". Dell'episodio, di cui si tentò di soffocare l'eco, si trova notizia solo nelle relazioni al ministro J.F. Acton di un cavalier Rametta, incaricato d'affari della corte di Napoli a Roma (Arch. di Stato di Napoli, Carteggi diplomatici, nn. 1373 ss.). È quasi certo che il club fosse d'ispirazione massonica: qualche fermento massonico aveva già sfiorato la regione negli anni precedenti, forse in relazione alla loggia fondata da qualche tempo a Roma, dove era presente anche Cagliostro, che nel dicembre 1789 fu arrestato e inquisito, trascinando nella rovina anche il sopracitato cortigiano di Parma C.G. Rezzonico, che cadde in disgrazia del bigotto duca Ferdinando, del quale, come il G., era stato fino ad allora un favorito. Sull'appartenenza del G. alla massoneria vi sono alcune dichiarazioni di uno degli ultimi membri a Civitanova della oggi estinta famiglia Graziani, che nel 1926 rivelò a G. Spadoni (p. 8 n. 3) l'esistenza di una tradizione di famiglia in tal senso, rafforzata dalla successiva appartenenza di altri membri a quell'associazione segreta.
Nel febbraio 1797, quando i Francesi avevano già preso possesso di Ancona e le autorità pontificie di Macerata avevano abbandonato la città, il Consiglio priorale si riunì in gran fretta e affidò proprio al G. (insieme con F. Accorretti) l'incarico di recarsi ad Ancona presso il comandante francese per "offerire alle truppe francesi amistà ed amicizia e buona corrispondenza". È indubbio che la scelta del G. fu dettata dalla speranza che i suoi trascorsi politici lo avrebbero reso accetto agli invasori (Arch. di Stato di Macerata, Archivio priorale, Riformazioni, vol. 143, cc. n.n.). Nel 1799, poi, i giacobini al governo lo vollero sovraintendente generale del santuario di Loreto. Nel 1798 un altro figlio del fratello Pietro, Giuseppe, era diventato presidente del governo provvisorio giacobino, mantenendo però un comportamento tanto moderato che nel 1823, in piena seconda Restaurazione, poté venir eletto gonfaloniere. A proposito di questo nipote, è bizzarro che proprio il G., gravemente compromesso anche lui, abbia potuto, durante la prima Restaurazione, intervenire con successo, appoggiato dal vescovo A. Allegretti, per ottenerne la riabilitazione (W. Angelini, Ritrattazioni del 1799…, pp. 217 s.); forse pesò la sua rinomanza di letterato che nel frattempo aveva pubblicato opere d'ispirazione assai diversa da quella del 1766.
Le vicende di tali opere sono alquanto complesse: nel 1789 a Bergamo era stata pubblicata una traduzione dall'inglese di A. Barziza, Esame della massima del signor della Rochefoucault che il matrimonio è assai volte conveniente ma non mai dilettevole, estratto dalle lettere della r.h. lady M.-Y. Worthely Montegue [sic]. Il G. dovette trovarla molto interessante (già nei Ragionamenti… del 1766 la Montagu è spesso citata), visto che presso la Biblioteca Mozzi-Borgetti di Macerata ne esiste una copia fittamente postillata di suo pugno (4-36-D 31) e che nel 1794 ne fece stampare a Macerata una nuova edizione modificata e annotata da lui, con l'aggiunta al titolo… in questa seconda impressione alquanto ampliata e resa con pochi cangiamenti più a' giovani profittevole. Siccome però, trovandosi allora in esilio a L'Aquila, ne aveva dovuto affidare la stampa a un amico, quando ne prese visione vi trovò mille piccole pecche di carattere teologico (i suoi interventi correttivi si erano indirizzati soprattutto a temperare l'impostazione protestante e un po' libera del testo della scrittrice inglese), per cui ordinò non solo la distruzione di tutte le copie, ma, siccome cinquanta di esse erano già state distribuite in omaggio, ne chiese la restituzione in cambio di copie della ristampa che intendeva fare. Ne è sfuggita alla distruzione una, conservata nella biblioteca sopracitata (vol. 377-14) e anch'essa coperta di annotazioni autografe. Nel 1796, dunque, a conclusione delle sue revisioni, fece pubblicare a Macerata un'operetta sullo stesso tema, ma molto modificata e con il nuovo titolo di Apologia del matrimonio per disinganno di chi abbiane idea svantaggiosa, per la quale ebbe scrupolo di richiedere l'imprimatur ecclesiastico nonostante il momento politico lo rendesse assai poco opportuno. In essa, rinnegando molte delle tesi della gioventù, concluse sostanzialmente che il matrimonio è la chiave di volta della società, la privata felicità coincidendo con la pubblica; qui la donna autonoma e libera dei Ragionamenti diviene una tranquilla compagna e consigliera, preziosa rasserenatrice dell'uomo ma "dolcemente sottomessa". È chiaro che il massone giacobino della prima ora aveva operato una revisione radicale delle sue idee (sulla cui sincerità aleggia qualche dubbio), almeno a giudicare dalla cura scrupolosa posta nel correggere ogni minuzia anche solo vagamente in contrasto con l'ortodossia, fino a precisazioni quasi puerili (a "vivere insieme" aggiunse "virtuosamente" e a "diletti della passione" "ben regolata", affermando, a p. 16, "che un mutuo affetto sia sempre regolato a norma della cristiana morale", e sostituì "marito" o "moglie" in tutte le numerose volte che ricorreva il termine "amante"). Il G. si cimentò anche in poesia, come risulta da suoi versi inseriti nella Raccolta di scritti di diversi autori, tradotti in verso elegiaco latino (Macerata 1797, a cura di G. Pellicani).
Dopo il 1799 non si hanno più notizie del G.; presumibilmente morì nei primissimi anni dell'Ottocento, ma la data resta ignota. La famiglia aveva sepoltura nella chiesa dei padri agostiniani di Macerata, che ha subito purtroppo profonde trasformazioni.
Fonti e Bibl.: Civitanova Marche, Arch. della Parrocchia di S. Paolo Apostolo, Liber bapt., XI, b. 12, anno 1726, al 14 settembre. Nella Biblioteca comunale Mozzi-Borgetti di Macerata, oltre ai documenti già citati, i mss. 1098-V (carte della fam. Graziani, ma nessuna specificamente relativa al G.), 560 (S. Tartufari - A. Natali, Diario maceratese dal 1797 al 1835), cc. 1 ss. (sugli avvenimenti nei quali il G. fu coinvolto), 540 (F. Compagnoni, Famiglie…, f. Graziani), 854-1 (Famiglie nobili), cc. 60 ss.; Arch. di Stato di Macerata, Archiviopriorale, voll. 904, c. 167; 905, c. 85; Ibid., Riformanze, voll. 143, cc. n.n. (sulla missione ad Ancona); 150 bis rosso, cc. n.n. (sullo stesso argomento); 132, c. 62v; 133, c. 62; Diario maceratese ecclesiastico e civile per l'anno 1784, Macerata 1784, pp. n.n. (sulle cariche a Parma); Index librorum prohibitorum Pii sexti P.O.M. iussu editus, Romae 1786, p. 127; F. Vecchietti - T. Moro, Biblioteca picena, V, Osimo 1796, p. 149 (poche righe sprezzanti); G. Natali, Il libro di un "femminista" maceratese messo all'Indice, in Provincia maceratese, 8 maggio 1899, pp. 1 s.; D. Spadoni - G. Spadoni, Uomini e fatti delle Marche nel Risorgimento italiano, Macerata 1927, pp. 7 ss. (in partic. note 1 e 2 a p. 10); L. Paci, Le vicende politiche, in Storia di Macerata, a cura di A. Adversi - D. Cecchi - L. Paci, I, Macerata 1971, pp. 316 s., 321, 329; A. Adversi, Gli scrittori, ibid., IV, ibid. 1974, pp. 594-596; G. Natali, Il Settecento, Milano 1973, pp. 132, 146, 162; M. Nati, La chiesa di S. Maria della Pietà in Macerata, Macerata 1991, p. 32; W. Angelini, Ritrattazioni del 1799 nelle Marche, in Le insorgenze antifrancesi nel triennio giacobino (1796-1799), a cura di T. Serra et al., Roma 1992, pp. 217 ss.; W. Angelini, Per una ridefinizione di personaggi della Marca, in Atti del XXIX Convegno di studi maceratesi, Porto Recanati… 1993, Macerata 1995, pp. 446 ss.; L. Paci, Stranieri e forestieri nella Marca dei secoli XIV-XVI, in Atti del XXX Convegno di studi maceratesi, … 1994, Macerata 1996, p. 627.