NICODEMO
. Fariseo, membro del sinedrio quale dottore della legge, e quindi autorevole presso il popolo; nel IV Vangelo, che solo ne parla, N. va a trovare di notte "per la prima volta" (Giov., XIX, 39) Gesù a Gerusalemme, avendone visto i miracoli, con sincero animo d'imparare, per quanto non fosse immune dai pregiudizî del popolo, fra i quali quello che bastava essere israelita per partecipare ai beni che il Messia avrebbe portati. Gesù rimuove i pregiudizî e gli manifesta la necessità di una "rinascita" oppure "nascita superiore", sotto l'azione dell'acqua e dello Spirito, insieme con la propria dignità e l'effetto salvifico della sua morte (Giov., III, 1-21). Più tardi N. richiamerà il sinedrio a sensi più conformi a giustizia verso Gesù (Giov., VII, 50-53). Infine egli prende parte alla deposizione di Gesù dalla croce, portando aromi per spalmare la salma (Giov., XIX, 39).
Nel sec. V si parla d'un rinvenimento delle reliquie di N. insieme con quelle di S. Stefano, Giuseppe d'Arimatea, Pilato, Gamaliele e Nicodemo (in Patrol. Lat., XLI, col. 830 segg.). Nel II Concilio di Nicea (v.). tra le altre testimonianze patristiche addotte a conferma dell'uso delle immagini sacre, fu letto uno scritto attribuito ad Atanasio di Alessandria, che parla d'un crocifisso di Beirut, trafitto dai giudei, e che aveva dato sangue distribuito a tutte le chiese: questo crocifisso sarebbe stato opera di Nicodemo e trasferito a Beirut due anni prima dell'eccidio di Gerusalemme (in Patrol. Lat., XXVIII, coll. 797-824). Dal sec. XI si parla d'una ulteriore traslazione del crocifisso di N. a Lucca (Volto Santo).
Il Vangelo di Nicodemo. - In stretti rapporti con la letteratura citata del sec. V sta il Vangelo di N., come è chiamato in titoli più recenti uno scritto apocrifo che prima più comunemente andava sotto il nome di Hypomneumata del Salvatore sotto Ponzio Pilato, donde l'altro titolo di Acta Pilati.
Lo scritto, nella redazione ultima, congiunge a una parte più antica, che si trova anche separata (sono i primi 17 capitoli, e meglio si possono dire Acta Pilati), un'altra più recente, di cui sono attori Lucio e Carino dati come figli di Simone il vecchio (Luca, II, 23 segg.) e risorti con Gesù, testimoni quindi della discesa al limbo che descrivono. L'origine occidentale dello scritto sembra chiaramente testificata dalle molte parole latine, ritenute anche nelle versioni siriaca e armena. La finzione di un Enea in rapporto con N. ci è pervenuta in doppia forma contrastante: mentre per lo più Enea traduce sotto Teodosio e Valentiniano un testo ebraico di N., vissuto sotto Pilato, altrove è detto che un N., toparca romano, aveva dato ad Enea l'incarico di scrivere in ebraico, traducendo poi in latino lui stesso. Sforzati appaiono gli argomenti addotti per assegnare un'origine più antica all'apocrifo, il quale certo è in contatto con una letteratura omiletica senza provata paternità, ma attribuita a un Eusebio di Alessandria (Patrol. Lat., XXXVI, coll. 383-414)
Bibl.: A. Vitti, Descensus Christi ad Inferos iuxta Apocrypha, in Verbum Domini, VII (1927), pp. 138 segg., 171 segg.; G. La Piana, Le rappresentazioni sacre nella lett. biz., Grottaferrata 1912; B. F. Westcott, The Gospel of Nicodemus and kindred documents, Londra 1915; R. Harris, Nicodemus, Cambridge 1932.
La versione copta fu edita da F. Rossi, I papiri copti del Museo egizio di Torino, I, Torino 1887, pp. 10-64; la siriaca da J. E. Rahmani, Apocryphi Hypomneumata Domini Nostri, in Studia syr., II (1908); l'armena, in Apocrifi armeni, II, Venezia 1898; una versione italiana da un ms. del sec. XV pubblicò C. Guasti, La Passio o Vangelo di Nicodemo volgarizzato nel buon secolo della lingua, Bologna 1862; le greche e latine più comodamente da C. Tischendorf, Evangelia Apocrypha, 2ª ed., Lipsia 8176.