TRANCHEDINI, Nicodemo
– Nacque nel 1413 a Pontremoli da Giovanni e da Giovanna Fondeva, lucchese.
Già nel 1428, giovanissimo, ma formato da un’eccellente educazione umanistica, entrò al servizio di Francesco Sforza. Nel 1434 era a Cremona incaricato di modeste faccende, quando Sforza, diventato signore della Marca e di varie località toscane, lo nominò tesoriere e officiale generale in Umbria e nel Patrimonio. A Todi nel 1437 sposò Allegrezza Monaldi, di notabile famiglia del luogo, e ottenne la cittadinanza dal Comune. Nell’estate seguente era nel Regno di Napoli dove incontrò Alfonso d’Aragona per conto di Sforza. Tornato nella Marca, incrementò il suo patrimonio fondiario con diversi acquisti, e altri ne fece nella natia Pontremoli, dove ogni tanto tornava per ragioni di servizio e per coltivare amicizie e parentele.
Dal duca di Milano Filippo Maria Visconti, al servizio del quale Sforza operava, fu aggregato ai familiari ducali, titolo che gli conferiva varie prerogative. Continuò a svolgere incarichi diplomatici per il condottiero, nel frattempo sposato con Bianca Maria Visconti; tra il 1442 e il 1444, con l’incarico di procuratore di Alessandro Sforza, fu impegnato nelle trattative di pace con un emissario del re di Napoli e successivamente con i rappresentanti di papa Eugenio IV e del conte Federico da Montefeltro. Durante i negoziati ebbe modo di entrare in contatto con i maggiori protagonisti della politica del tempo e fu l’estensore di vari trattati. Fu inviato nuovamente a Firenze, quindi nel 1445 a Cremona, signoria dotale sforzesca, e, assecondando le sue ambizioni, nell’autunno del 1446 Sforza lo spedì a Firenze, anche per il suo desiderio di ricongiungersi con la famiglia in Toscana.
In un contesto tutt’altro che facile, il suo lavoro diplomatico giovò parecchio alle grandi ambizioni del celebre capitano. Tranchedini riuscì infatti a ottenere la confidenza di Cosimo de’ Medici, il quale avrebbe assicurato a Sforza ulteriori finanziamenti, contando di rafforzare la sua posizione ancora incerta dopo l’insediamento del condottiero a Milano, magari sotto la protezione del re di Francia.
Le lettere di Tranchedini, spesso cifrate (Archivio di Stato di Milano, Sforzesco, 32-33), danno conto del lavoro svolto a Firenze e fanno girare importanti informazioni. L’inviato caldeggiava presso Sforza i disegni di Medici, che suggeriva all’amico condottiero di trovare un’intesa con il re d’Aragona, con gli Este, con i Gonzaga e con Genova per contrastare l’espansionismo veneziano e le ambizioni delle potenze d’Oltralpe. Pur con la discrezione impostagli dal suo ruolo, Tranchedini trattava sia Cosimo sia Francesco con toni confidenziali, svolgendo un’attività utile a consolidare un’alleanza che sarebbe diventata uno dei maggiori fondamenti dello Stato ducale sforzesco.
Morto il duca Visconti nel 1447, Cosimo sollecitò Sforza a rompere gli indugi, anche a rischio di rendere difficili i rapporti con un altro possibile contendente, il re di Napoli Alfonso d’Aragona. Tranchedini non abbandonò Firenze nemmeno durante la pestilenza del 1449 e continuò a operare in favore del condottiero, sempre più bisognoso di sostegni concreti. Nel 1450, dopo l’ascesa di Francesco Sforza al ducato, ebbe la cittadinanza dalla Signoria fiorentina (nel frattempo aveva ottenuto anche quella lucchese), insieme ad ampi privilegi che avrebbe voluto valorizzare con una residenza stabile; ma Sforza aveva ancor più bisogno di lui, conoscendolo come uomo affidabile e sperimentato, e lo impiegò ovunque avesse affari e trattative da condurre, in plurime missioni a Bologna, Ferrara, Firenze e poi a Roma. L’ascesa di Sforza al ducato non era gradita a Venezia e al re di Napoli, e in questo arduo quadro il nuovo duca volle che a rappresentarlo a Roma fosse proprio Tranchedini, di cui si fidava pienamente. L’istruzione a Nicodemo canzellario dell’aprile del 1451 (Carteggi degli oratori, 2013, p. 357) configura una missione informale e, infatti, in momenti successivi furono inviati a Roma ambasciatori più titolati, ma non per questo più graditi al papa. Tranchedini divenne un interlocutore apprezzato da Niccolò V, con il quale Sforza intendeva costruire, tra mille difficoltà, la pace italica e mettere il giovane Stato appena conquistato al riparo dalle pretese veneziane e aragonesi.
La lunga legazione romana, pur non continuativa, fu il periodo d’oro di Tranchedini. Spesso gli ambasciatori usavano vantarsi di essere benvoluti dai signori presso cui operavano, ma ciò è particolarmente vero per Nicodemo, che si trovò in grande sintonia con Niccolò V, sarzanese, dunque quasi suo conterraneo. Con Tommaso Parentucelli, Tranchedini parlava francamente e si intendeva bene, nel comune obiettivo di stabilire la pace e consolidare il nuovo ducato sforzesco per tenere gli ‘Oltramontani’ fuori d’Italia. Inoltre, il nuovo principe desiderava disporre pienamente delle cariche ecclesiastiche e del patrimonio beneficiale lombardo a favore dei nuovi sudditi e degli antichi sostenitori, e aveva bisogno di agenti abili e ben informati per sventare le manovre dei prelati che a Roma promuovevano i propri interessi. In Curia Tranchedini stabilì un’efficace rete di relazioni e intervenne costantemente per favorire nomine di prelati, orientare le pratiche beneficiali, veicolare le raccomandazioni, contrastare le influenze curiali ostili al duca. Pur con qualche screzio con il suo committente a causa di certe piccole trasgressioni, di una certa noncuranza verso gli altri inviati ducali e di un’eccessiva autonomia, il pontremolese, uomo pragmatico e di buon carattere, confermò le sue doti di negoziatore e assicurò a Sforza molti successi.
Dagli studiosi della diplomazia Tranchedini è stato definito «il primo ambasciatore residente» del contesto italiano (Fubini, 2000, p. 29): ma è una definizione di maniera, se si considera che il nostro era un agente fiduciario e solo una pedina di un apparato diplomatico costruito nei decenni da Sforza, costituito da segretari di fatto residenti, ambasciatori impegnati in missioni solenni e di apparato, modesti famigli cavalcanti, informatori segreti e spie; insomma, una macchina ben oliata, diretta efficacemente da Cicco Simonetta e dalla sua cancelleria.
Anche se soggiornò prevalentemente a Roma, spesso Tranchedini tornava a Milano o si fermava a Firenze e in Toscana per incarichi particolari. Fu per esempio decisiva la legazione fiorentina della primavera del 1453: da alcuni mesi il ducato di Milano era stato attaccato da Venezia e il territorio fiorentino occupato dalle truppe del duca di Calabria. Cosimo, malato, non riceveva nessuno e la Signoria era restia ad accordare a Sforza il prestito richiesto. Tranchedini riuscì tuttavia a parlare con Cosimo de’ Medici e di lì a poco una somma di 80.000 fiorini fu trasferita a Milano, permettendo così il pieno allestimento delle genti d’arme ducali.
Trovandosi nuovamente a Roma ai primi del 1455, Tranchedini fu presente alla morte di Niccolò V per poi ricoprire il ruolo di custode del conclave che elesse Callisto III. Successivamente fu nuovamente inviato a Firenze e poi a Siena nel marzo del 1456, mentre il territorio della repubblica era invaso dalle truppe di Jacopo Piccinino: i suoi resoconti sull’andamento delle operazioni belliche erano indirizzati sia a Sforza sia al papa. Nel 1457, cessate le imprese di Piccinino, i senesi gli diedero il privilegio della cittadinanza e nello stesso anno, nel corso di una missione a Vienna, l’imperatore Federico III gli conferì il titolo e le prerogative di conte palatino.
Sempre itinerante, Tranchedini aveva molti legami a Firenze: i Medici gli erano amici, nel 1453 aveva acquistato un podere a Montughi, poco fuori dalla città, che valeva 1400 fiorini d’oro e godeva di ampie esenzioni fiscali; inoltre il suo primogenito Francesco (v. la voce in questo Dizionario) seguiva gli studi umanistici presso i migliori maestri fiorentini.
Oltre che abile ufficiale ed esponente dell’agguerrito gruppo che si era formato attorno a Sforza e che aveva veicolato la sua ascesa al ducato, Tranchedini era un intellettuale poliedrico, studioso di lettere, bibliofilo e lessicografo, in costante e assidua corrispondenza con umanisti e uomini di cultura. Scrisse uno zibaldone-diario, compilò un dizionario italiano-latino, radunò documenti e componimenti di vari generi e trascrisse le lettere sue e dei suoi corrispondenti in un epistolario (Firenze, Biblioteca Riccardiana, ms. 834, studiato da Sverzellati, 1997). Almeno due codici a lui appartenuti, contenenti varie scritture, sono custoditi a Firenze e a Oxford (ibid., p. 460), e altri registri di atti privati e pubblici si trovano presso collezioni private e altre biblioteche europee.
Ai molti figli che ebbe dentro e fuori il matrimonio, Tranchedini assicurò un’educazione distinta: chi affidato a maestri accuratamente selezionati, chi mandato a studiare nelle università più reputate, chi avviato alla carriera ecclesiastica e munito di ottimi benefici. Il prediletto era il primogenito Francesco, cancelliere, umanista e bibliofilo. I due Tranchedini corrispondevano tra loro ed erano in relazione con vari letterati, tra cui Francesco Filelfo, che spesso aveva bisogno delle loro raccomandazioni per facilitare le tappe tormentate della sua carriera, ma anche Antonio Ivani, Bartolomeo Scala, Pier Candido Decembrio e quasi tutti i maggiori umanisti del tempo. All’interno di questo circolo eletto, diramato in tutta Italia, i Tranchedini scambiavano epistole ben composte, comunicavano notizie e riflessioni, facevano girare testi, orazioni, notizie su libri ritrovati e sulle vicende dei loro amici e sodali.
Continuando a muoversi tra le principali capitali italiane, Tranchedini inviava a Milano corrispondenze di qualità, in cui riferiva e commentava le notizie sugli accadimenti principali dello scenario italico ed estero, e segnalava le ostilità che Sforza incontrava, per esempio in certe frange del notabilato fiorentino o presso altri ambasciatori operanti nella corte di Roma. Tra il 1458 e il 1459 riferiva delle assidue iniziative di Pio II, ansioso di organizzare la crociata contro il Turco, e nell’aprile del 1459 ricevette a Firenze il giovane Galeazzo Maria Sforza, giuntovi per omaggiare Piccolomini in viaggio verso Mantova, dove si sarebbe tenuta la famosa Dieta in vista della crociata: il giovane principe, splendidamente ricevuto dai Medici, fu accompagnato dall’ambasciatore a visitare i luoghi più interessanti della città.
In ottobre il duca di Milano concesse a Tranchedini di inquartare nel suo stemma l’arma degli Sforza, con il significativo motto «Col ben far», e nel 1460 Pio II gli conferì il titolo di conte del sacro palazzo lateranense. In questi stessi anni comprò alcuni immobili a Firenze, situati presso S. Lorenzo e le case dei Medici, e li trasformò in una confortevole e lussuosa abitazione. La famiglia viveva tra Firenze, Roma e Todi, città cara alla moglie Allegrezza, ma Tranchedini, nonostante i continui spostamenti, ebbe sempre un punto fermo: la natia Pontremoli, dove manteneva i rapporti con parenti e notabili e dove nel 1460 fece costruire una cappella gentilizia nella chiesa di S. Francesco.
Non poté godere troppo delle belle case fiorentine e della residenza di Pontremoli perché costantemente impegnato in missioni e incarichi, al punto che nel 1463 gli strapazzi gli procurarono una grave malattia che rischiò di farlo morire. Cosimo de’ Medici, che gli era affezionato, gli mandò i migliori medici e in aprile era fuori pericolo. Ma lo stesso Cosimo, affranto per la morte del figlio Giovanni e per la salute malferma, si avviava alla fine: Tranchedini gli fu costantemente vicino negli ultimi mesi ed era al suo capezzale a Careggi il giorno della morte, il 1° agosto 1464. Ne diede notizia a Sforza («ex Caregio in freta», cfr. Massai, 1933-1934, p. 157) in toni accorati: era obiettivamente una perdita importante per il duca di Milano.
Nel marzo del 1466 scomparve anche Francesco Sforza, a cui Tranchedini era legato non solo dal servizio, ma anche da una relazione umanamente franca e sincera. In seguito la sua posizione a Firenze si fece difficile. Secondo un testo preparatorio delle Istorie fiorentine di Niccolò Machiavelli, basato su un cronista minore fiorentino, verso il maggio del 1466 Tranchedini fu duramente attaccato da Dietisalvi Neroni che, insieme a Luca Pitti e ad Angelo Acciaioli, aveva acquistato molta influenza sul debole Piero de’ Medici. I tre notabili facevano pressioni sulla Signoria fiorentina e sui Medici perché si interrompessero i finanziamenti ai milanesi, giacché i patti erano intercorsi con il primo Sforza e non con il secondo. Intimorito, Tranchedini dovette abbandonare Firenze e tornare a Milano.
Nel 1469 e nei primi anni Settanta svolse diverse missioni a Roma per partecipare alle conferenze di pace in corso, ma vi andava malvolentieri, sia perché non trovava lo stesso clima dei suoi primi anni di ambasciatore, sia perché sentiva il peso degli anni e della salute fragile. Ciononostante, le sue missive danno conto con puntualità, e con la consueta vivacità espressiva, degli avvenimenti più rilevanti; inoltre, grazie alla conoscenza degli ambienti di Curia, poté godere ancora una volta della fiducia del papa eletto nel 1471, Sisto IV, da cui ricevette numerosi benefici e privilegi per sé e i suoi.
I rapporti con il nuovo duca, Galeazzo Maria Sforza, che pure servì fedelmente, non furono sempre sereni: dal giovane duca Tranchedini dovette subire sgarbi e offese che riteneva di non meritare. Nel luglio del 1472, dopo varie missioni romane, rientrò a Milano poiché il duca gli rimproverava un incidente intervenuto tra Sisto IV e il re di Napoli. Probabilmente Galeazzo Maria riteneva che avesse pronunciato qualche parola di troppo, in un momento in cui i rapporti tra Milano e Napoli peggioravano a causa di contrasti sullo scenario internazionale.
Scrivendo per discolparsi, Tranchedini da un lato osservava che non era certo la sua persona che poteva cambiare il corso della diplomazia italica, dall’altro minacciava di abbandonare Milano e accettare le profferte del papa che lo voleva al suo servizio a buone condizioni. Il duca gli rispose in termini concilianti: se non lo aveva ricevuto a Bereguardo, era stato solo a causa della peste, e ora lo esortava a rimanere a Milano e a prendere il posto che gli era stato riservato, una nomina altamente onorifica nei ranghi del consiglio segreto (il carteggio è in Archivio di Stato di Milano, Famiglie, 188).
Il contrasto fu superato e di lì a poco Tranchedini fu raggiunto dalla famiglia nella città ambrosiana, in una residenza presso S. Maria Podone, adiacente al sontuoso palazzo dei consuoceri Salvatico. Tuttavia, nel 1475, come altri consiglieri considerati superflui, fu destinato dal duca alla carica di commissario di Alessandria e Tortona. Di questo periodo, restano anche numerose lettere del 1478 da Genova e del 1479 da Monferrato e Saluzzo. Fu poi brevemente commissario a Piacenza.
Continuò occasionalmente la sua opera di ambasciatore, mediatore, informatore, ma erano attività che ormai gli pesavano, come scrisse ai duchi condolendosi per l’assassinio di Galeazzo Maria Sforza alla fine del 1476. Segnalava tuttavia la sua disponibilità a dar consigli in materia di cose estere.
La carica commissariale richiedeva un certo impegno: il commissario affiancava il podestà, era meno legato al rispetto degli statuti, e tuttavia doveva tenersi in equilibrio tra il rigore della legge e la volontà ducale di controllare la città e le fazioni. Le corrispondenze di Tranchedini, inedite, narrano gli eventi principali della cronaca locale e mostrano come egli tentasse di barcamenarsi tra le istanze cittadine e le direttive provenienti da Milano. In una lettera (una tra le tante, del 5 maggio 1477, in Archivio di Stato di Milano, Carteggio sforzesco, 871) scrisse lodando la prosperità di Piacenza, ma esortò i duchi a non sottovalutare il malcontento popolare e le ambizioni dei gentiluomini, «di grande animo ma dissidente tra loro», proprietari di fortezze «atte a malignare quando volessero», soprattutto «se le cose nostre sinistrassero». Si lamentava spesso dei salari irregolari e dei mali trattamenti, ma non si può dire che si trovasse in condizioni di disagio: a ogni concessione di cittadinanza (ultima quella milanese del 1464) seguivano degli acquisti fondiari e l’ampliamento del patrimonio.
Nel 1480, dopo una missione a Pesaro, fu nominato commissario ducale a Pavia, dove si trovò ad affrontare i problemi consueti del governo di una città, qui aggravati dalla temerarietà delle fazioni nobiliari, dal malcontento del popolo e dalle effervescenze degli studenti universitari. Tranchedini avvertiva una diffusa ostilità da parte degli altri officiali e dei notabili del posto, e si sentiva mal ricompensato per i suoi sforzi. Ciononostante, i suoi dispacci – fonte straordinaria per la ricostruzione della cronaca cittadina – furono sempre densi e vivaci.
Sostituito da una nuova nomina, tornò a Milano dove fu colpito da febbri debilitanti che lo condussero alla morte il 14 dicembre 1481 (la data esatta si legge nelle lettere conservate in Archivio di Stato di Milano, Famiglie, 188).
L’unico testamento noto è quello redatto a Pontremoli il 18 giugno 1473: il testatore stabiliva la sua sepoltura nella cappella che aveva fondato nella città natia, e sulla quale aveva il giuspatronato, ottenuto da Sisto IV. Anche se alcuni biografi ne dubitano, non trovando prove certe, tale sepoltura era la scelta più naturale per Tranchedini, che aveva sempre mantenuto forti legami con il suo luogo di nascita.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Milano, Sforzesco, 32-33; Famiglie 188 (molte corrispondenze inedite sono nei Carteggi di Piacenza e di Pavia). I manoscritti datati della Biblioteca Riccardiana di Firenze, I, Mss. 1-1000, a cura di T. De Robertis - R. Miriello, Firenze 1997, pp. 53 s.; N. Tranchedini, Il vocabolario italiano-latino, a cura di F. Pelle, Firenze 2001; N. Machiavelli, Opere storiche, a cura di A. Montevecchi - C. Varotti, II, 2, Roma 2010, pp. 651, 890; Carteggi degli oratori sforzeschi alla corte pontificia, I, Niccolò V, a cura di G. Battioni, Roma 2013, ad indicem.
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