NICIA
. Pittore ateniese, figlio di Nicomede, discepolo di Antidoto e maestro di Onfalio; fiorì nella seconda metà del secolo IV a. C. Fu uno dei maestri della pittura a encausto. Prassitele giudicava che le sue statue migliori fossero quelle che N. aveva colorito. Curò la trattazione delle luci e delle ombre e, in modo speciale, l'evidenza plastica delle figure. Dava grande importanza alla scelta del soggetto e riteneva che la pittura si debba esplicare in scene ricche di motivi, come, per es.. battaglie; infatti di lui si dice che facesse anche grandi quadri. La sua rinomanza fu grandissima fra i contemporanei: per una delle sue opere più celebrate, la Nekyia omerica, il re Tolomeo offrì la somma di 60 talenti, ma l'artista preferì donarla alla sua città natale. Ancora nei primi tempi dell'impero si avevano in pregio le sue opere: un quadro rappresentante Giacinto fu collocato da Tiberio nel tempio di Augusto, il quale già l'aveva preso con sé nell'occupazione di Alessandria; nella curia si trovava la sua Nemea; un Dioniso era nel tempio della Concordia, e infine un ritratto di Alessandro nel Portico di Pompeo. Altre sue opere sono: la tomba del Megabizo, sacerdote di Artemide, in Efeso; due Calipso; Andromeda; una stele funeraria di famiglia presso Triteia in Acaia.
Si celebravano anche le sue figure femminili e le pitture di animali, specialmente di cani.
Dei suoi quadri, quelli almeno di Io e di Andromeda hanno certo lasciato un'eco in varie pitture parietali romane e pompeiane.
Bibl.: H. Brunn, Gesch. d. griech. Künstler, II, Stoccarda 1889, p. 194 segg.; J. Overbeck, Antike Schriftquellen zur Geschichte griech. Kunst, Lipsia 1868, n. 1811 segg.; E. Pfuhl, Malerei u. Zeichn. d. Griech., II, Monaco 1923, p. 751 segg.; A. Rumpf, in Thieme-Becker, Künstler-Lex., XXV, Lipsia 1931, s. v. Per le pitture di Io e di Andromeda; G. E. Rizzo, La pittura ellenistico-romana, Roma e Milano 1929, tavv. 41 e 43.