nichilismo
Termine comparso (nella forma ted. Nihilism) in Germania negli ultimi anni del Settecento nel corso del dibattito sull’esito della filosofia kantiana ed entrato ampiamente in circolazione con il Sendschreiben an Fichte di Jacobi (➔) del 1799, dove è usato per indicare la conclusione necessariamente distruttiva di ogni filosofia della pura dimostrazione, idealismo compreso. Soltanto più tardi, nella seconda metà dell’Ottocento, il termine fu utilizzato nel senso – ormai prevalente – di corrosione e caduta dei valori, dal quale discenderebbe un atteggiamento di disperazione e di rivolta totale. Caratteristica specifica del n., a differenza delle forme di pessimismo o di ateismo consistenti nella negazione di Dio e dei valori, è quella di presentarsi come consapevolezza dell’esito di un processo storico nel corso del quale le certezze e tutti i valori tradizionali si sono andati lentamente, ma inesorabilmente, consumando.
Spunti nichilistici sono già rintracciabili nell’età romantica, là dove il criticismo kantiano viene sentito e vissuto come distruzione di ogni oggettività del sapere e chiusura dell’uomo nella singolarità della sua coscienza, senza nessuna possibilità di trovare un appoggio e un fondamento in Dio e nella natura. «Nessuno è così solo nell’Universo come l’ateo», esclama Jean Paul in quella Rede des toten Christus del 1796 così ricca di motivi nichilistici e destinata a essere largamente conosciuta in Europa attraverso il De l’Allemagne di Madame de Staël. L’insistenza sulla mancanza assoluta di qualsiasi senso nella realtà si fa sempre più forte nei primi decenni dell’Ottocento tedesco: dall’allucinante quadro delle Nachtwachen von Bonaventura (1804, di autore incerto), dove l’uomo è rappresentato come un’inconsapevole marionetta nelle mani di un «creatore folle», alla filosofia di Schopenhauer, dove alla negazione kantiana della possibilità della metafisica si sostituisce una metafisica del nulla, fino ai paradossi di Max Stimer con la concezione dell’io quale «nulla creatore»; senza contare la diffusione di motivi nichilistici nella poesia e nella letteratura dello Junges Deutschland, ossia di quel gruppo di scrittori e poeti tedeschi che dopo la rivoluzione del 1830 sentirono sempre più l’arte come impegno politico; a tale gruppo apparteneva anche K. Gutzkow, autore, nel 1853, di una novella-romanzo assai significativa, intitolata Die Nihilisten. Nella seconda metà del secolo, mentre il n. si diffondeva ampiamente in Russia assumendo il carattere di un vero e proprio programma di azione e di vita e concludendo con motivi positivistici, populistici e anarco-rivoluzionari, in Occidente era posto da Nietzsche al centro della problematica filosofica. Da Nietzsche il n. è considerato in una prospettiva assai più ampia e organica delle precedenti, così che non risulta più in nessun modo identificabile con un momento soltanto della storia della cultura europea né, tanto meno, localizzabile nell’Ottocento. Le radici del n. sono ritrovate nella svolta attuatasi in Grecia con Euripide e con Socrate, quando l’aspetto dionisiaco della vita fu sopraffatto e occultato da quello apollineo e si pretese di trovare nell’intelligenza, nella dialettica e nella morale il principio della liberazione dal dolore. Il n. insomma nacque, per Nietzsche, quando l’uomo cominciò a «dire di no» alla vita in nome di criteri razionali ai quali la vita doveva sottostare, in nome di «valori» contrapposti alla realtà. Platone, il cristianesimo, Kant, lo storicismo hegeliano, il positivismo, il materialismo edonistico e utilitaristico, la democrazia, il socialismo non sono altro che varie forme storiche attraverso cui si sviluppa e si consuma l’esperienza nichilistica della civiltà europea secondo una logica inesorabile destinata a dominare, secondo Nietzsche, anche la storia dei prossimi secoli. Tuttavia l’annuncio del n. è, per Nietzsche, già un segno di un suo possibile superamento o, più esattamente, si deve distinguere tra un aspetto negativo e uno attivo del n.; il n. infatti non è solo un sintomo di decadenza, ma, nella misura in cui viene alla luce e diventa consapevole, può essere anche un segno di forza, ossia il sintomo che l’energia dello spirito è cresciuta a un punto tale che i fini sinora perseguiti sembrano inadeguati, e inizia pertanto un «contromovimento» rispetto alla decadenza. Agli sviluppi di questo tema, attraverso concetti come quelli di superuomo, eterno ritorno, volontà di potenza, rovesciamento di tutti i valori, è dedicata gran parte dell’opera di Nietzsche, secondo il quale il possibile superamento del n. può avvenire soltanto con un’attività di tipo estetico, creativo; qualsiasi altra forma di superamento non fa che obbedire a quei motivi moralistici che sono stati la causa del nichilismo.
Il richiamo a un’attività di tipo estetico permette di comprendere i legami profondi tra il n. e l’espressionismo, legami che hanno trovato la formulazione forse più esplicita e significativa negli scritti critici e filosofici di Gottfried Benn, nei quali all’arte è riconosciuto un carattere addirittura sacrale, una capacità di prendere su di sé tutti i possibili valori dell’uomo, proprio in virtù della forza che il nulla ha di evocare immagini. Ma a parte questi sviluppi del n. ‘attivo’, sempre in campo estetico, non si può sottovalutare il fatto che senza il n. negativo, come sintomo della decadenza, non si potrebbe comprendere e spiegare gran parte dell’arte e della letteratura contemporanea, dove il senso del crollo e della fine di una civiltà millenaria è spesso tematizzato o, comunque, costituisce una componente essenziale. Più difficile è invece definire i rapporti tra il n. e la filosofia del Novecento. Per un verso, infatti, è incontestabile che la nozione di «nulla» ha avuto grande importanza nelle filosofie esistenzialistiche, da Jaspers a Heidegger a Sartre, e anzi è stata un elemento determinante nella critica delle metafisiche tradizionali e nella definizione delle possibilità e dei limiti dell’uomo. Per altro verso, però, il pathos apocalittico e la funzione di giudizio storico concernente un destino millenario propri del n. nietzschiano si possono ritrovare efficacemente forse solo in Heidegger e nella sua interpretazione della storia della metafisica, fino a Nietzsche compreso, come progressiva manifestazione del n. derivante dall’oblio dell’essere. Se invece non si guarda tanto a sviluppi e a riprese dirette della problematica nichilistica, ma alla sua utilizzazione nella diagnosi e nella critica della situazione storica contemporanea, allora si può affermare che il n., soprattutto nella formulazione datane da Nietzsche, ha costituito e costituisce ancora un punto essenziale di riferimento proprio per il carattere radicale delle sue critiche, che non concernono soltanto questo o quell’aspetto della civiltà contemporanea, ma i suoi stessi fondamenti.
Nella Russia della seconda metà dell’Ottocento, travagliata da gravi conflitti politici e sociali, il n. fu inizialmente, più che una dottrina ben precisa e definita, uno stato d’animo, un modo di vivere e di sentire delle giovani generazioni, soprattutto di studenti, che aspiravano a un profondo rinnovamento della vita e della società. Caratteristica distintiva di questo tipo di n. – divenuto poi largamente noto nella cultura europea attraverso opere come Padri e figli (1862) di I.S. Turgenev e i I demoni (1869-71) di F.M. Dostoevskij – è l’entusiastica fiducia nella scienza e l’accettazione del materialismo e del positivismo come strumenti polemici contro ogni forma di cultura tradizionale. Tutto ciò che non può essere verificato sperimentalmente, tutto ciò che non si può trascrivere in termini di «forza» e di «materia» (come diceva il titolo di un famoso libro di G. Büchner divenuto una sorta di Vangelo per i giovani nichilisti) deve essere relegato nel campo di un «romanticismo» sterile, sorpassato e perfino ridicolo. Si accentuava così anche nel campo dell’arte, soprattutto con D.L. Pisarev e I.G. Černyševskij, la polemica contro ogni estetica che concepisca l’arte come fine a sé stessa e l’affermazione della funzione pedagogica, politica e sociale dell’arte stessa; il n. russo per questo verso si collegava a un «realismo» volto a contrapporre i «fatti» ai valori e agli ideali che avevano sorretto, e illuso, le generazioni precedenti. Ateismo, cinismo e un immoralismo spesso più teorizzato che vissuto furono le caratteristiche della gioventù nichilistica russa, che non tardò a tradurre il suo credo in un’azione politica rivoluzionaria, per lo più di tipo anarchico, non senza perseguire, talvolta, un disegno più vasto e meditato di formazione di un’élite rivoluzionaria critica e illuminata. Questo non significa però che nel n. russo non abbia avuto posto notevole anche l’approfondimento dei problemi morali e religiosi in senso specifico; basti pensare ai Fratelli Karamazov (1878-80) di Dostoevskij, in cui la problematica nichilistica è portata all’estremo, in campo etico-religioso, con la tesi ben nota: se non c’è Dio, tutto è lecito, anche il delitto.