NICEFORO I imperatore d'Oriente
Fu portato al trono nell'802, da una rivoluzione militare che abbatté Irene. Era nato nella Pisidia (secondo le fonti orientali la sua famiglia era di origine araba) e prima della sua assunzione al potere occupava la carica di logoteta generale, cioè ministro delle finanze. Il suo governo rappresenta una reazione rispetto a quello di Irene (v.) tanto nella politica interna quanto in quella estera.
All'interno due erano le questioni che egli era chiamato a risolvere: la questione finanziaria e la questione religiosa. Irene aveva alleggerito le imposte determinando una forte contrazione nelle entrate dello stato. Per ristabilire il bilancio N. revocò le disposizioni precedenti e procedette a un riordinamento generale delle imposte ispirandosi alle esigenze dello stato. È notevole il fatto che in questo riordinamento egli non risparmiò i beni ecclesiastici sottoponendoli a tassazione, ciò che provocò una violenta opposizione del clero e specialmente dei monaci. Per questo la questione finanziaria si venne a innestare sulla questione religiosa (l'iconoclastia) rendendola più grave. Irene aveva ristabilito il culto delle immagini; ma il partito iconoclastico, molto potente nell'esercito e in certe regioni dell'Asia, aveva reagito e vinto nella rivoluzione dell'802. N., nonostante l'origine del suo potere, agì con moderazione mirando a sopire i contrasti. Nella questione dogmatica si mostrò tollerante; ma per ciò che si riferisce alla disciplina ecclesiastica e ai rapporti fra lo stato e la chiesa, egli fece suo il programma degl'imperatori isaurici e, oltre a sottoporre a tassazione i beni ecclesiastici, rivendicò il primato del potere imperiale sulla chiesa. Sia per questa sua politica, sia per avere elevato al seggio patriarcale un laico di nome Niceforo che a un tempo fu consacrato sacerdote e patriarca, sia, infine, per aver voluto riabilitare la memoria di Costantino VI facendo da due sinodi espressamente convocati dichiarare valido il suo matrimonio con Teodora, che gl'iconoduli consideravano come adultero, egli venne in urto coi monaci. Si chiuse allora il periodo di tolleranza verso gl'iconoduli, molti dei quali - e fra questi quasi tutti i monaci del monastero di Studio col loro abate Teodoro - furono esiliati, imprigionati, maltrattati.
Altrettanto energica fu l'azione di N. nella politica estera. Nel 798 Irene per avere la pace in Oriente si era impegnata a pagare un annuo tributo al califfo di Baghdād, Hārūn ar-Rashīd. N., appena salito al trono, rifiutò il tributo. Si riaccese la guerra e, nonostante il disordine provocato nell'esercito dalla rivolta di Bardane, soprannominato Turcus, comandante delle milizie bizantine dell'Anatolia, i confini dell'impero furono validamente difesi.
Interessanti sono i rapporti di N. con Carlomagno. Dopo la sua incoronazione, questi aveva avviato negoziati con Irene per ottenere una convalidazione legale del titolo imperiale. N. ruppe i negoziati rigettando la domanda del re franco. Si aprì un periodo di ostilità che ebbero come obbiettivo, da parte franca, l'occupazione delle coste della Dalmazia, dell'Istria e del ducato veneziano. Una rivoluzione, sostenuta dai Franchi, abbatté qui il governo ligio a Bisanzio portando al potere il partito francofilo e poco dopo, nell'805, Carlomagno assegnava la Venezia, l'Istria e la Dalmazia al regno d'Italia già affidato al figlio Pipino. A ristabilire i diritti imperiali nell'807 N. inviò nell'Alto Adriatico una flotta al comando di Niceta, il quale assolse rapidamente la sua missione restaurando in Venezia la parte imperiale e rioccupando le coste della Dalmazia. Fu conclusa allora una tregua fra Pipino e i Bizantini, ma allo spirare di questa (808) la guerra riarse più violenta. Essa si combatté principalmente nella zona della laguna veneta. Le vicende della lotta non sono sufficientemente chiare; ad ogni modo, è certo che i Franchi, se pure non occuparono anche le isole di Rialto, dove si trasferì il governo ducale, ebbero il sopravvento e assoggettarono il ducato. Quest'esito e il rinnovarsi della guerra coi Bulgari nella Balcania indussero N. a riprendere la trattative di pace inviando alla corte franca una legazione della quale fu a capo Arsafio. I negoziati - essendo intanto morto Pipino - ebbero luogo in Aquisgrana con Carlomagno; ma prima che fossero condotti a termine N. morì. Egli cadde combattendo fra le gole dei Balcani durante una spedizione intrapresa contro Krum, khān dei Bulgari, il 25 luglio 811.