Nicea
Antica città della Bitinia (od. Iznik, Turchia). Fondata nel 316 a.C. da Antigono Monoftalmo col nome di Antigonea, fu ingrandita da Lisimaco che la chiamò N. dal nome della sua prima moglie (301 a.C.). Sotto il dominio romano fu importante centro stradale, abbellita da Claudio, fortificata da Adriano, restaurata nel 368 d.C. da Valente. Fu la seconda città dell’impero d’Oriente; conquistata nel 1078 dal sultano Solimano, fu liberata nel 1097 dai crociati di Goffredo di Buglione, in marcia verso Gerusalemme. A N. si tennero due importanti concili. Il primo (I ecumenico, maggio-giugno 325), cui parteciparono (gli atti autentici non ci sono pervenuti, le fonti oscillano) da 220 (firme conosciute) a 318 (numero tradizionale, ma sospetto) vescovi (in maggioranza orientali; papa Silvestro fu rappresentato dai presbiteri Vito e Vincenzo), fu inaugurato con un discorso e chiuso con un banchetto da Costantino. Condannò l’eresia di Ario, proclamando il Figlio consustanziale a Dio Padre (unius substantiae cum patre) nel cosiddetto simbolo niceno (con le aggiunte del II Concilio ecumenico di Costantinopoli nel 381 tuttora in uso: simbolo niceno-costantinopolitano); eliminò lo scisma di Melezio, fissò la celebrazione della Pasqua dopo l’«equinozio di primavera» (uso romano-alessandrino). I 20 canoni autentici riguardano l’elezione e consacrazione dei vescovi, i diritti patriarcali delle sedi di Roma, Alessandria e Antiochia, la posizione onorifica del vescovo di Gerusalemme, la riammissione dei seguaci di Novaziano, di Paolo di Samosata e dei lapsi, la disciplina del clero. Il secondo Concilio (VII ecumenico), riunito il 24 sett. 787, tenne l’ottava e ultima sessione a Costantinopoli. Mise fine all’iconoclastia sanzionando il rispetto e la venerazione (honoraria adoratio) dovuti alle immagini sacre e distinguendoli dal «vero culto di latria» (vera latria), emise 22 canoni disciplinari. La dichiarazione dogmatica, non ben compresa, provocò reazioni nell’impero carolingio; il papa Adriano I, rappresentato dall’arciprete Pietro e dall’abate Pietro di Saba, ne ritardò l’approvazione.