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NICCOLÒ V papa

di Raffaello Morghen - Enciclopedia Italiana (1934)
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NICCOLÒ V papa

Raffaello Morghen

Tommaso Parentucelli, nato probabilmente a Sarzana il 15 novembre 1397. Addottoratosi in teologia all'università di Bologna, salì presto verso i più alti gradi della carriera ecclesiastica per il favore di Nicola Albergati, vescovo di Bologna e poi cardinale, oltre che per la sua larga cultura e per le doti di abilità e di tatto che erano precipue del suo temperamento. Eugenio IV lo creò prima vicecamerlengo (1443), poi vescovo di Bologna (1444) e infine cardinale (1446), dopo che nella dieta di Francoforte egli seppe abilmente trarre Federico III re dei Romani a dare la sua adesione al pontefice di Roma. Largamente stimato anche per l'onorabilità della sua vita privata, fu chiamato a succedere a Eugenio IV il 6 marzo 1447.

Diplomatico finissimo e di spiriti concilianti, egli si preoccupò subito di porre termine allo scisma che dilaniava la Chiesa avviando trattative con Luigi duca di Savoia per l'abdicazione alla tiara di suo padre Amedeo VIII, l'antipapa Felice V. E riuscì pienamente nell'intento, facendo leva da una parte, per mezzo del re Carlo VII di Francia, sull'ambizione di Luigi di Savoia che drizzava le sue aspirazioni verso Milano e aveva bisogno perciò dell'aiuto francese, dall'altra sulla sottomissione dei principi e della chiesa tedeschi coi quali venne a un accordo, col concordato di Vienna del 17 febbraio 1448, intorno all'annosa questione della collazione dei benefici ecclesiastici. Così il 7 aprile 1449 Felice V rinunciava spontaneamente al papato, e con la sua rinuncia la Chiesa, dopo circa settant'anni di scisma, riconquistava la sua unità. N. non volle approfittare della vittoria: Amedeo VIII fu creato cardinale vescovo di Sabina e ricolmato di onori e di privilegi, i padri del concilio di Basilea furono assolti da tutte le censure e confermati nei loro benefici, e il pontefice poté sperare di giungere in breve a quella piena restaurazione dell'autorità della Chiesa, che era indispensabile per attuare l'ideale, ch'egli sempre perseguì, di un regno pacifico e sereno, allietato dal fasto e dal culto delle lettere e delle arti. Poichè la pace fu veramente una delle sue aspirazioni predominanti. Ma la pace di cui si preoccupò fu molte volte esteriore e ottenuta solo temporaneamente a prezzo di espedienti diplomatici. In fondo, nel suo stesso spirito di conciliazione si celava spesso un certo atteggiamento di agnosticismo di fronte ai tradizionali ideali religiosi e politici del papato. Ciò spiega, per es., il favore dato al Valla e al Poggio, spiritualmente ormai in piena opposizione con la Chiesa, l'indulgenza verso S. Porcari nel 1447 e nel 1450, e l'incomprensione dei suoi ideali, l'indifferenza di fronte alla caduta di Costantinopoli. Massimi interessi del suo spirito erano invece quelli proprî dell'umanesimo erudito e cortigiano: il culto delle antiche lettere, il ciceronianismo, l'otium cum dignitate, l'amore per la ricchezza, il favore dato alle arti. Non che mancassero del tutto durante il suo regno anche i segni dell'attività di quella corrente dell'umanesimo che mirava a un profondo rinnovamento della Chiesa e della vita cristiana: il cardinale Niccolò da Cusa fu inviato, p. es., nei territori dell'impero per restaurare l'ordine e la disciplina ecclesiastica, sconvolti durante il grande scisma; Giovanni da Capistrano andò come legato quasi a evangelizzare di nuovo la Germania meridionale, l'Austria e la Moravia; nel giubileo del 1450 venne solennemente innalzato agli onori degli altari S. Bernardino da Siena. Ma N. V è anche il papa ehe non esitò, di fronte alle necessità di danaro per i suoi grandiosi progetti edilizî, a vendere le indulgenze in Germania e in Francia, sì che egli ci appare più come precursore di Leone X che non di Adriano VI o di Paolo IV.

Anche con l'impero seguì una politica di conciliazione e di compromesso, aderendo, alla fine, al desiderio che Federico III aveva più volte espresso di essere coronato, e la cerimonia avvenne senza incidenti, a Roma, il 17 marzo 1452, quantunque i rapporti tra i due poteri rimanessero, poi, sempre avvolti in un'aura di reciproca diffidenza.

Più fortunata fu l'opera di N. V, nel riordinare lo stato della Chiesa, che sotto il suo governo godette di un periodo di vera prosperità. I nobili più riottosi furono attirati verso la Chiesa con la concessione di vicariati, dovunque fu ristabilito l'ordine e la sicurezza; perfino Bologna, sempre fiera della sua indipendenza, si sottomise il 24 agosto 1447 al pontefice, che vi inviò come governatore il cardinale Bessarione. Ma la congiura del gennaio 1453 di Stefano Porcari che egli aveva già perdonato due volte e nel 1450 aveva inviato in non duro esilio a Bologna, infranse completamente le illusioni e le nostalgie di pace di N. V, sì che il suo animo s'inasprì ed egli infierì nelle condanne e nelle esecuzioni. D'allora in poi il pontefice cadde in uno stato di tristezza e di diffidenza da cui non si rilevò più fino alla morte, avvenuta nella notte tra il 24 e il 25 marzo del 1455.

Il suo amore per le arti e per le lettere fa di lui il primo papa del Rinascimento. E appunto sotto questo aspetto il papato di N. ha un'importanza veramente considerevole nella storia della cultura. Egli si circondò di eruditi e umanisti, ai quali concesse favori, uffici e pensioni, senza preoccuparsi eccessivamente né dei loro atteggiamenti spirituali né dei loro costumi. Leon Battista Alberti, Giannozzo Manetti, Vespasiano da Bisticci, il Marsuppini, il Filelfo, il Decembrio, Giorgio da Trebisonda, Lorenzo Valla, Poggio Bracciolini ebbero larga accoglienza alla sua corte. Il papa profuse tesori per raccogliere manoscritti e la sua biblioteca ricca di circa un migliaio di codici, costituì il primo nucleo di quella che fu poi la Biblioteca Vaticana. Ma, oltre a manoscritti, il pontefice comprava anche gioielli, opere d'arte, paramenti fastosi, sete e damaschi di valore, mobili di lusso. I migliori artisti del tempo furono invitati a Roma: il Beato Angelico, Piero della Francesca, Andrea del Castagno, Benedetto Buonfigli di Perugia. Il Vaticano, la basilica di S. Pietro e le principali chiese di Roma furono restaurate; il quartiere dei Borghi fu completamente ricostruito; a N. pure si deve la fontana di Trevi, poi rifatta da N. Salvi.

Bibl.: Vespasiano da Bisticci, Vite di uomini illustri del sec. XV, ed. Frati, Bologna 1892; G. Manetti, Vita Nicolai V, in L. Muratori, Rerum Ital. Script., III, Milano 1723; S. Infessura, Diarium, ibid.; Platina, Vitae summorum pontificum, Colonia 1662. - Fra le opere moderne v. specialmente: G. Sforza, Ricerche su N. V., Lucca 1884; L. v. Pastor, Storia dei papi, I, Roma 1925; J. Guiraud, L'Église romaine et les origines de la Renaissance, Parigi 1921; E. Rodocanachi, Histoire de Rome de 1354 à 1471, ivi 1922; G. Mollat, N. V., in Dict. de theol. cath., XI, i, ivi 1930; Fabre e Muntz, La bibl. du Vat. au XVe siècle, ivi 1887; E. Muntz, Les arts à la cour des papes pendant le XVe et XVIe siècle, ivi 1877-1889.

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Vocabolario
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niccolo nìccolo s. m. [alteraz. del lat. onychĭnus agg. «di onice»]. – Termine presente in vecchi cataloghi di collezioni di gemme: non ha sign. univoco, e spesso è stato usato come sinon. pop. di onice.
papà
papa papà (ant. pappà) s. m. [voce onomatopeica del linguaggio infantile]. – Padre. È voce fam. e affettuosa, largamente diffusa in tutta Italia (mentre babbo si va sempre più restringendo all’ambito toscano), usata soprattutto come vocativo...
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