SECCHI (Secco), Niccolo
SECCHI (Secco), Niccolò. – Nacque verso il 1510, forse a Montichiari nel Bresciano, da Barnabò e da Maddalena Tangatini.
La sua famiglia, di antiche origini nobiliari, si era lì trasferita nel Quattrocento da Caravaggio ed era legata all’epoca ai principali esponenti dello schieramento imperiale di Milano. I Secchi (o Secco) erano annoverati tra le file dell’aristocrazia lombarda in virtù dei possedimenti di Calcio, cui erano annessi diritti sovrani, possedimenti acquisiti da Beatrice Della Scala, alla quale erano stati donati nel 1366 dal marito Bernabò Visconti, e poi confermati dall’imperatore Carlo V nel 1541 (Capuani, 1925, pp. 50-53; Secco, 1980, pp. XI s.).
Iuris utriusque doctor all’Università di Bologna, autore di diverse opere letterarie in latino, tra cui il poemetto giocoso in esametri De origine pilae maioris et cinguli militaris quo flumina superantur, pubblicato a Venezia nel 1551 e in cui è descritta l’invenzione di una sorta di salvagente ad aria (Capuani, 1925, pp. 134 s.), dopo aver trascorso gli anni tra il 1541 e il 1544 al servizio del vescovo di Trento Cristoforo Madruzzo, con cui aveva condiviso il corso di laurea, nel 1545 Secchi fu incaricato dal re dei romani Ferdinando d’Asburgo di svolgere una missione diplomatica presso il sultano Solimano il Magnifico, e poi nominato da Carlo V capitano di Giustizia di Milano, carica confermata nel 1553 alla quale si aggiunse l’ingresso nel Consiglio segreto della città e nel Senato (pp. 54 s.; Secco, 1980, pp. XI s.).
Oltre che ambasciatore, militare e politico, talmente abile da meritarsi alla sua partenza da Costantinopoli alcuni doni tra cui due piviali, tredici vesti, due cavalli e una scimitarra con decorazioni in oro (Capuani, 1925, p. 59), Secchi fu anche un talentuoso autore teatrale, versato in particolare nel genere della commedia. La sua attività come commediografo si colloca alla metà del secolo, in un periodo in cui – come è stato osservato – «all’aumento vertiginoso della produzione teatrale comica non corrisponde una sostanziale varietà ed originalità nei risultati», anche se egli riuscì a distinguersi da molti suoi contemporanei «per vivacità e freschezza e per il felice intuito della dimensione scenica» (Cabrini, 1983, p. 362). La sua produzione ebbe come luogo privilegiato Milano durante il governatorato di Ferrante Gonzaga, quando Secchi costituì una felice eccezione nel panorama tutt’altro che straordinario della commedia locale. Il successo gli arrise con la rappresentazione di una sua commedia, il 30 dicembre 1548, in occasione della visita a Milano del futuro re di Spagna Filippo II (pp. 363 s.).
La commedia, preparata con cura meticolosa anche dal governatore di Milano, che volle con essa celebrare sia l’ingresso in città di Filippo d’Asburgo sia le nozze della figlia Ippolita con Fabrizio Colonna, fu concepita per allietare il soggiorno del principe, che rimase «alcuni giorni a Milano sempre per buon tempo, a cui non mancarono tutti gli spassi possibili» e per il quale «furono fatti banchetti, feste, giuochi, torniamenti e balli reali, con pomposissime giostre e battaglie sopra la piazza del Castello, oltre la comedia ordinata e disposta da Nicolò Secco capitano di Giustizia, uomo d’imprese onorato molto, di sì ricco apparato e di sì gran costo, che nella memoria de’ milanesi non era l’esserne stata mai la più bella per lo adietro recitata» (ibid., p. 367). Come narrato da un cronista, il principe Filippo fu entusiasta della commedia di Secchi, «affermando che quel spettacolo era veramente stato dignissimo et il più grato che ancora havesse havuto» e restando così colpito dall’opera, alla quale aveva assistito «per spatio di più di sei hore» nella sala del Senato, che alla fine «disse a Francesco Taverna gran cancelliere, che gli era dappresso, queste parole, “già sta cavada”, quasi rincrescendogli che fusse così presto finita» (pp. 367 s.).
Recitata da una compagnia di comici fiorentini, la commedia messa in scena al cospetto di Filippo di Spagna era con ogni probabilità L’interesse, già conclusa nell’estate del 1548 e pubblicata postuma nel 1581 (Gillet, 1920). Oltre a questa, a Secchi spettano altre tre commedie, tutte stampate postume: Gl’inganni, ideata forse per lo stesso Filippo d’Asburgo, nuovamente a Milano nel 1551, pubblicata nel 1562 a Firenze e destinata a un ampio successo nella seconda metà del Cinquecento e fino all’inoltrato Seicento (Secco, 1980, pp. XIV s.); La camariera e Il Beffa, stampate nel 1583 e 1584 e su cui mancano invece appigli cronologici, ma che appaiono più tarde e involute delle altre due, assai più riuscite nella definizione dei personaggi e nelle trame di matrice novellistica, in alcuni punti ispirate all’Asinaria e al Truculentus di Plauto e all’Andria di Terenzio (Capuani, 1925, pp. 98 s.; Cabrini, 1983, pp. 369 s.). Fu proprio grazie al confronto e alla contaminatio con i modelli classici di Plauto e Terenzio che Secchi raggiunse «più maturi risultati nell’ambito del linguaggio comico, mediante l’acquisizione di una più rigorosa misura espressiva, di una maggiore icasticità, di un ritmo più serrato e meglio connesso, specie nei dialoghi» (Cabrini, 1983, p. 382).
Gli ultimi anni della sua vita, caratterizzati anche dalla vana speranza di ottenere la porpora cardinalizia (mai concessagli, a quanto pare, poiché fu ritenuto l’autore dell’epigramma osceno De formica; Capuani, 1925, pp. 68 s.) e da un lento declino paragonabile a quello del suo protettore Ferrante Gonzaga, li trascorse a Montichiari, dove risulta documentato a partire dal 1553.
In questa data, il 26 agosto, avrebbe scritto all’amico commediografo Luca Contile una lettera in cui gli confidava con amarezza di aver previsto «le future borasche [...] quando il mar tranquillo ci incitava et piacevole aura per le acque scherzava», confessandogli con il suo tipico stile aulico che «quel sole troppo frettoloso et mattutino, che ne l’orizzonte obliquo spezzava nuvola di tanti vapori circostanti, mi diede chiaro segno di futura tempesta» e che «per questo non volli uscir del porto della mia quiete et avilupato nel mantello della mia povertà aspettai la pioggia che aveva trovati molti in farsetto, che torneranno molti nelle grotte» (Secco, 1980, p. XXI). È stato sottolineato come nessuno meglio di Secchi, «data la sua posizione di magistrato e dal 1545 di capitano di Giustizia della città, può dar prova della coincidenza tra cultura e politica che si era instaurata nella Milano rinascimentale, sempre attenta a reclamizzare attraverso le attività culturali la supremazia della corte e nobiltà locali nei confronti di quelle limitrofe» (p. IX).
Dopo aver liberato nel 1553 Vercelli dai soldati francesi di Carlo de Cossé conte di Brissac, essere stato sollevato dal suo incarico milanese nel 1555, aver dettato testamento il 2 gennaio 1557 e aver compiuto un breve viaggio a Roma nel 1560 al seguito di Cesare Gonzaga, primogenito di Ferrante e capitano generale delle truppe in Lombardia, Secchi morì a Montichiari intorno allo stesso 1560 (Capuani, 1925, pp. 61 s.; Secco, 1980, pp. XXI s.).
Fonti e Bibl.: J.E. Gillet, Was Secchi’s “Gl’inganni” performed before Philip of Spain?, in Modern Language Notes, XXXV (1920), 7, pp. 395-401; A. Capuani, Nicolò Secco poeta, commediografo, uomo d’armi e di toga del sec. XVI, in Bollettino della Civica biblioteca di Bergamo, XIX (1925), 2, pp. 45-72, 3, pp. 93-145; N. Secco, Gl’inganni, a cura di L. Quartermaine, Exeter 1980; A.M. Cabrini, Il teatro di N. S., in Studi di lingua e letteratura lombarda offerti a Maurizio Vitale, I, Pisa 1983, pp. 362-384.