SAGUNDINO, Niccolò
– Di origini greche, nacque a Chalkis (Calcide), centro principale dell’isola di Eubea o Negroponte, nel 1402 da Manuele. È ignoto il nome della madre.
Della famiglia di Sagundino, probabilmente oriunda di Costantinopoli, esistevano due rami: uno a Tessalonica; l’altro, appunto, in Eubea, colonia di Venezia dal 1366 al 1470 (Babinger, 1965, p. 199; Mastrodimitris, 1970, pp. 19-22, 28; Kolditz, 2013, p. 204, n. 117).
Il 29 marzo 1430, quando il sultano ottomano Murād II conquistò Tessalonica (dominio veneziano dal 1423), Sagundino si trovava nella città. Il suo nome appare in un dispaccio redatto a Negroponte il 3 aprile insieme con quello di pochi altri personaggi, sulla sorte dei quali le autorità marciane d’oltremare si premurarono di ragguagliare la metropoli. Sagundino, oltre ad avere perso quanto possedeva, era stato catturato insieme con la famiglia, con la quale rimase poi ostaggio dei turchi per tredici mesi. Una volta riscattato, forse per iniziativa veneziana, venne assunto come interprete dalle autorità marciane di Negroponte e successivamente, accolta nel 1434 una sua supplica da parte del Maggior consiglio, fu designato advocatus curiae presso il bailato dell’isola per tre anni. In quel momento godeva già dello status di fidelis veneziano, comunemente concesso dalla Repubblica agli stranieri impiegati al suo servizio (Ad serenissimum..., a cura di C. Caselli, 2012, pp. X-XII).
Da allora la carriera e le conoscenze di Sagundino fecero decisivi passi in avanti, portandolo sempre più a stretto contatto con la realtà politica e culturale dell’Italia. A Negroponte, durante la Settimana santa del 1436, ebbe il suo primo incontro di cui si abbia notizia con un umanista di rilievo: Ciriaco de’ Pizzicolli (Babinger, 1962, p. 321). I due ebbero probabilmente modo di rivedersi tra il 1438 e il 1439, quando Sagundino, venendo a occupare il posto rifiutato da Francesco Filelfo, fu interprete ufficiale al Concilio di Ferrara e Firenze, in cui si celebrò il ricongiungimento – in verità effimero – della cristianità greca con quella latina. Il lavoro ineccepibile svolto in quel frangente gli valse, il 13 agosto 1439, la nomina a segretario apostolico da parte di papa Eugenio IV.
Che il delicato compito di interprete conciliare venisse assegnato a Sagundino suggerisce che già all’epoca egli contasse sull’appoggio di personalità influenti, come quella del metropolita di Nicea Giovanni Bessarione, conosciuto da Niccolò «a teneris propemodum annis» e assieme al quale egli, durante il sinodo, avrebbe abbracciato il credo romano (Babinger, 1965, p. 200; Mastrodimitris, 1970, pp. 35-46). La sua profonda padronanza di greco e latino fu lodata da più parti, e una quindicina di anni dopo il concilio si parlava ancora di Sagundino, per esempio nella cerchia di Enea Silvio Piccolomini, come di colui che al «concilio de’ Greci et de’ Latini, fu qual sommo interpetro de l’una et de l’altra lenghua, che fu tanto commendato sì nela lenghua et sì nel grande ingegno et bontà a ridurre e’ Greci ala integra fede» (Leonardo Benvoglienti, citato in Ad serenissimum..., cit., pp. XVI s.).
Nel 1440 il Senato veneziano gli conferì la funzione di cancelliere del bailato di Negroponte, nella quale venne confermato per ulteriori dieci anni nel 1450 (Babinger, 1965, p. 202). Egli risiedeva dunque nell’isola nativa, quando il 29 maggio 1453 la conquista ottomana di Constantinopoli segnò la fine politica dell’Impero bizantino. Ricevuta la drammatica notizia, Venezia decise di affiancare Sagundino, «persona fida et docta, et in curia Teucri pratica», al proprio ambasciatore Bartolomeo Marcello, che doveva recarsi presso il sultano (Ad serenissimum..., cit., p. IX). Tra l’estate e l’autunno del 1453, prese quindi parte alla prima delegazione procedente dall’Europa latina che incontrò Maometto II dopo la caduta di Bisanzio. Giunto a Venezia per fare rapporto, fu eletto tra i segretari del Senato e prescelto per aggiornare sulla situazione levantina anche papa Niccolò V e il re di Napoli Alfonso il Magnanimo. Il lungo discorso pronunciato il 25 gennaio 1454 alla corte napoletana circa le ragioni della potenza dei turchi e le strategie atte a contrastarla, venne immediatamente messo per iscritto per ordine del monarca (Ad serenissimum..., cit, pp. XV-XIX).
Il testo fu uno dei primi resoconti sull’Impero ottomano prodotti in seno alla cultura europea, distinguendosi anche per il ritratto dettagliato del giovane sultano (Babinger, 1965, p. 204), i cui trionfi militari provocarono nella cristianità una fioritura senza precedenti di scritti sui turchi. Al tempo stesso, contrapponendo alle qualità riconosciute a Maometto II le doti del Magnanimo e presentando quest’ultimo come il campione della fede cristiana, l’oratio s’inscrisse nel programma di celebrazione e legittimazione della monarchia alfonsina promosso dallo stesso re e messo in atto dagli umanisti della sua corte sotto la guida del Panormita (Antonio Beccadelli) e di Bartolomeo Facio.
Tra il 1455 e il 1458, Venezia inviò di nuovo in due occasioni Sagundino presso il Magnanimo, per discutere con lui i progetti antiottomani e altre questioni. Egli potè così rafforzare i propri legami con l’umanesimo aragonese, specie con il Panormita, che lo spronò a preparare una traduzione dello Στρατηγικός di Onasandro, poi dedicata ad Alfonso (1455-56), e con Facio, che offrì, nel De viris illustribus liber (1455-1457), un primo profilo biografico. In quegli anni compose trattati su distinti argomenti e realizzò traduzioni da Arriano, Demostene e Plutarco, non di rado facendo omaggio dei propri lavori a patrizi veneziani dal cui patrocinio sperava di trarre beneficio in diverse circostanze (King, 1986, pp. 81-90). Nel 1456, inoltre, incontrò a Napoli Enea Silvio Piccolomini, che doveva già conoscerlo, perlomeno attraverso racconti di membri della sua cerchia quali Bessarione e Leonardo Benvoglienti. Su richiesta del futuro Pio II, fautore dei piani di crociata contro i turchi, Sagundino stese il Liber de familia Autumanorum id est Turchorum ad Aeneam Senarum episcopum, il più antico compendio noto di storia dell’Impero ottomano. L’opera consacrò l’autorità di Sagundino in materia turchesca e gli guadagnò un posto nel gruppo di intellettuali che a essa si dedicavano sotto la guida di Piccolomini. Lo stesso Pio II, occupandosi dell’origine dei turchi nella sua Cosmographia vel de mundo universo historiarum liber (1458-1460), lo citò come fonte.
Nel 1458 venne scelto dalle autorità marciane come cancelliere di Candia, ma quando nel 1460 salpò da Venezia per insediarsi nell’ufficio, la sua nave fece naufragio. Oltre ai propri averi, tra cui una cospicua collezione di libri, perse nella disgrazia la moglie incinta, due figli e una figlia. La Repubblica, implicitamente riconoscendo i suoi meriti, prese subito provvedimenti, in particolare mantenendolo fra i segretari del Senato e assumendo il figlio superstite, Alvise, tra i propri funzionari.
Nel 1461 Sagundino rappresentò nuovamente Venezia presso Maometto II, seguendo il sultano in una campagna militare in Anatolia che culminò con l’annessione dell’Impero di Trebisonda, ultimo vestigio politico bizantino. Nel 1462 fu mandato presso Pio II, con il fine precipuo di conseguire che il papa elargisse finanziamenti all’Ungheria per la sempre più incalzante lotta contro i turchi. Questo fu l’ultimo incarico affidatogli.
Peggiorate le sue condizioni di salute, forse per un’emiplegia, sopravvisse, malato, per qualche tempo. Si spense infine a Venezia, il 22 marzo 1464 (Ad serenissimum..., cit., pp. XXIV-XXX).
Edizioni moderne. Ad serenissimum principem et invictissimum regem Alphonsum Nicolai Sagundini oratio, a cura di C. Caselli, Roma 2012 (ai trentuno testimoni manoscritti ivi segnalati ne vanno aggiunti due, che corroborano la ricostruzione critica proposta: Brescia, Biblioteca civica Queriniana, B.VII.34, cc. 27r-40r; Innsbruck, Universitätsbibliothek, 636, cc. 264r-267v); Liber de familia Autumanorum id est Turchorum ad Aeneam Senarum episcopum, in M. Philippides, Mehmed II the Conqueror and the fall of the franco-byzantine levant to the Ottoman Turks: some western views and testimonies, Tempe (Ariz.), 2007, pp. 6-16, 55-91 (con traduzione in lingua inglese); F. Stok, Nicola Sagundino traduttore dell’‘Oraculum de isthmo’, in Studi umanistici piceni, XXVIII (2008), pp. 227-238.
Fonti e Bibl.: Per un prospetto generale degli scritti di Sagundino (incluse le epistole, sessantadue in latino e quattro in greco), in gran parte inediti, così come della tradizione manoscritta a essi relativa e della documentazione d’archivio concernente l’autore, si rimanda a Mastrodimitris, 1970, pp. 115-223, 261-267; F. Babinger, Johannes Darius (1414-1494): Sachwalter Venedigs im Morgenland, und sein griechischer Umkreis, München 1961; Id., Notes on Cyriac of Ancona and some of his friends, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, XXV (1962), pp. 321-323; Id., Nikolaos Sagoundinos, ein griechisch-venedischer Humanist des 15. Jahrhunderts, in Xαριστήριον εἰς Άναστάσιον Όρλάνδον, I, Athenai 1965, pp. 198-212; P. Mastrodimitris, Nικόλαος ὁ Σεκουνδινός (1402-1464). Bίος καὶ ἔργον, Athenai 1970; M.L. King, Venetian humanism in an age of patrician dominance, Princeton 1986, ad ind.; P. Mastrodimitris, Nicolaos Secundinos a Napoli dopo la caduta di Costantinopoli, in Italoellenika, II (1989), pp. 21-38; S. Kolditz, Cultural brokers in relation vith the Byzantine court in the Later 14th and 15th centuries, in Cultural brokers at Mediterranean courts in the Middle Ages, a cura di M. von der Höh et al., Paderborn 2013, pp. 183-216.