RODOLICO, Niccolò
– Nacque a Trapani il 14 marzo 1873 da Francesco e Antonia Piombo.
Forte il nesso con l’esperienza risorgimentale: il padre aveva preso parte ai moti del 1848; e nel 1860, dopo essere entrato nelle bande insurrezionali, fu inquadrato nei corpi garibaldini.
Di famiglia relativamente modesta, in grado comunque di avviarlo agli studi, Rodolico, dopo essersi diplomato presso il liceo Ximenes di Trapani, si iscrisse all’università di Bologna. «Fui studente alla scuola del Carducci dal 1892 al ’96, e poi alla scuola del Villari in un biennio di perfezionamento» (N. Rodolico, La mia giornata di lavoro, in Id., Saggi di storia medievale e moderna, Firenze 1963, p. VIII). E nonostante le iniziali curiosità letterarie, testimoniate da qualche nota giovanile, «il proposito di studiare storia d’Italia divenne per me una ragione di vita, lì alla scuola del Carducci» (ibid., p. IX). L’avviamento alla ricerca avveniva all’interno delle coordinate della scuola storica: indagine erudita, lavoro d’archivio su un tema ben definito, Siciliani nello Studio di Bologna nel Medio Evo (in Archivio storico siciliano, s. 5, 1895, vol. 17, pp. 89-228), ospitato in uno dei vari organi locali destinatari dei prodotti della ricerca che veniva disciplinandosi secondo i canoni della scienza universitaria. Rodolico avrebbe molto più tardi rammentato la «baldanza» con la quale si era accostato a quei materiali, l’atteggiamento scettico dell’archivista verso «quel giovane che gli sembrava presuntuoso e per quel fervore che gli appariva fuoco di paglia», sottolineando il fatto che, invece, il fuoco era «alimentato da buona legna», e che quella specifica iniziazione non aveva prodotto «solo una certa capacità nel cercare e leggere documenti medievali, ma qualcosa di più e di meglio: la serietà della ricerca, la tenacia e la pazienza» (La mia giornata, p. IX).
Il ricordo decora; ma l’adesione ai principi di un mestiere allora codificato in quei termini era indubbia. Del resto, al mondo degli archivi e dell’organizzazione istituzionale della ricerca Rodolico avrebbe dedicato parte cospicua della sua attività matura.
La tesi di laurea, seguita da Pio Carlo Falletti, era dedicata alla crisi del Comune bolognese (Dal Comune alla Signoria. Saggio sul governo di Taddeo Pepoli in Bologna, Bologna 1898), tema – quello dell’esaurimento dell’esperienza comunale e del passaggio alla signoria – che avrebbe assunto ben diversa rilevanza storiografica nei decenni successivi, e che del resto Rodolico affrontava in una prospettiva prevalentemente istituzionale, senza prestare grande attenzione alla dimensione economica e sociale. Lo studio era dedicato a un tardo discendente della famiglia, il conte Agostino Pepoli, che aveva sostenuto il giovane Rodolico nei suoi anni bolognesi. Falletti, allievo di Pasquale Villari, ebbe forse l’idea di far tentare a Rodolico il concorso alle borse di perfezionamento presso l’Istituto di studi superiori di Firenze; di certo fu Carducci, nell’ottobre 1896, a raccomandare con buon esito a Guido Mazzoni il «mio buon siciliano scolaro Rodolico [...]: ha forte e pronto ingegno e gran voglia di studiare, e gran cuore» (La mia giornata, p. IX). Rodolico approdò a Firenze in un momento particolare, di guidata transizione storiografica, con l’apertura, intellettuale e didattica, degli studi medievistici a nuovi interessi e a nuove sollecitazioni di natura giuridica ed economico-sociale. Villari aveva raccolto in volume, nel 1893-94, le sue ricerche di storia fiorentina, delle quali anche Rodolico avrebbe segnalato l’importanza, pur nella delusione provata di fronte a Villari insegnante. Erano gli anni della formazione e del lavoro giovanile di Gaetano Salvemini, con il quale le ricerche avviate a Firenze da Rodolico si intrecciarono direttamente, anche con una sua lunga recensione a Magnati e popolani pubblicata nel 1900 dall’Archivio storico italiano. Un primo importante studio di quegli anni, Il popolo minuto. Note di storia fiorentina (1343-1378), Bologna 1899, che riprendeva e rinnovava tematiche già affrontate da Falletti, si staccava dall’impianto interpretativo salveminiano, sostituendo «all’atteggiamento ‘positivo’ una simpatia marcata, nata su terreno religioso, per gli umili e i diseredati, un classismo attratto soprattutto dalla storia del lavoro e dei sentimenti fraterni cementati dal comune sfruttamento» (Artifoni, 1990, p. 36). Rispetto a Salvemini e a Gioacchino Volpe, Rodolico rappresentò il «terzo polo economico-giuridico [...] la trascrizione sul piano storiografico dell’attenzione villariana verso le condizioni di vita dei ceti inferiori, che veniva mediata tuttavia da impostazioni classiste e da ispirazioni cristiane e ‘sociali’» (ibid., p. 41). A Firenze Rodolico strinse legami con Cesare Battisti e Giovanni Gentile; di Salvemini fu amico, pur nella crescente divergenza delle prospettive scientifiche e politiche. In una bella pagina delle Memorie di un fuoruscito proprio Salvemini avrebbe narrato come, dopo gli arresti dell’estate 1925, mentre veniva trasferito sotto controllo poliziesco da Firenze a Roma, Rodolico si recasse alla stazione «per salutarmi. In un momento come quello era una prova di amicizia fedele e coraggiosa, che mi commosse assai» [G. Salvemini, Memorie di un fuoruscito, in Scritti vari (1900-1957), a cura di G. Agosti e A. Galante Garrone, Milano 1978, p. 593].
La stagione storiografica a cavallo fra i due secoli rimane probabilmente la più significativa della lunga carriera scientifica di Rodolico. Vi vanno inclusi il volume su La democrazia fiorentina nel suo tramonto (1378-1382) (Bologna 1905): la sua maggior monografia medievistica, attenta ai dati demografici, ai nessi fra proprietà fondiaria e attività mercantile, alle manifestazioni della religiosità popolare nei loro rapporti con le rivendicazioni sociali, recensita non sfavorevolmente da un Volpe ormai impegnato in un’aspra polemica antisociologica – anche Rodolico era approdato, fugacemente, alla Rivista italiana di sociologia; alcuni studi paleografici legati al magistero di Cesare Paoli – di paleografia e diplomatica Rodolico fu anche libero docente; ricerche di storia demografica, economica e sociale; l’avvio di un lungo impegno editoriale per i Rerum italicarum scriptores attorno alla cronaca fiorentina di Marchionne di Coppo Stefani.
Dopo il biennio di perfezionamento a Firenze, Rodolico entrò nell’insegnamento secondario, prima in Sicilia, a Modica e Girgenti, poi a Firenze, impegnandosi per alcuni anni in una collaborazione piuttosto assidua al periodico fiorentino La Rassegna scolastica. Di questa sua precoce attenzione per i problemi dell’insegnamento, in particolare dell’insegnamento della storia, occorre tener conto in rapporto alla sua intensa produzione manualistica che, a partire dal 1914, lo vide assiduo compilatore di testi per ogni ordine di scuole. L’obiettivo dell’inserimento nei ranghi universitari fu perseguito con tenacia, e raggiunto in tempi non troppo lunghi. Dopo due tentativi, nel 1900 a Catania e nel 1905 a Milano – dove passarono Volpe, Pietro Fedele e Salvemini – nel 1908 Rodolico vinse l’affollato concorso per la cattedra di Storia presso l’Istituto superiore di Magistero di Firenze; la commissione era presieduta da Falletti. A Firenze tenne corsi anche presso il Cesare Alfieri. Nel 1920, poi, Rodolico avrebbe ottenuto la cattedra di storia moderna a Messina – fra i commissari Salvemini e Volpe –, e sarebbe rientrato a Firenze dopo l’allontanamento di Salvemini, per poi passare, alla fine del 1938, al Cesare Alfieri con l’insegnamento di storia dei trattati e politica internazionale.
Una prima chiara ridefinizione dei suoi interessi di ricerca si colloca fra il 1908 e il 1910, con gli studi sulla Toscana settecentesca – Stato e Chiesa in Toscana durante la reggenza lorenese (1737-1765) (Firenze 1910); poi con le indagini gianseniste culminate nel volume Gli amici e i tempi di Scipione de’ Ricci. Saggio sul giansenismo italiano (Firenze 1920). Rodolico seguì allora, anche se in modo critico, le vicende del modernismo, sulla base dei personali sentimenti religiosi. Più tardi, nell’introduzione a una breve raccolta di scritti del figlio Antonino, biologo, scomparso a ventun anni nel 1932, Rodolico lo avrebbe presentato come non animato «da naturale misticismo e da intenso abituale esercizio di pratiche religiose; era, sì, credente e praticante, ma nella norma comune» (Prefazione ad A. Rodolico, Ricerche di biologia, Firenze 1934, p. X). Esiti di questa tradizione familiare sono visibili nell’opera di un altro figlio di Rodolico, il mineralogista Francesco, avuto come Antonino con Bice Burgarella, sposata a Venezia nel maggio 1904.
Il passaggio alla storia contemporanea andrebbe seguito ricostruendo la ricca attività pubblicistica di Rodolico, in specie nel Marzocco – ma con qualche articolo ospitato anche dall’Unità di Salvemini – a partire dal 1910 e negli anni della guerra. Testo chiave, la recensione del 1916 al volume di Raffaele Ciasca, Origine del programma per l’opinione nazionale italiana, nella quale Rodolico prendeva le distanze, senza negare il valore empirico di quell’indirizzo, dal quadro mentale e di valori, a sfondo materialistico, che aveva segnato la stagione della storiografia economico-giuridica, in nome dei nuovi ideali e delle nuove urgenze del momento (Archivio storico italiano, LXXIV, 1916, 2, pp. 265-273). Agli anni di guerra si legava anche la redazione del breve scritto La storia d’Italia narrata ai soldati d’Italia (Firenze 1916), e il ricordo, fra i suoi allievi fiorentini, del volontario Italo Balbo. Lo spostamento accademico a Messina contribuì alla preparazione di corsi e studi sulla storia meridionale. L’interesse per il popolo fiorentino alla fine del XIV secolo cambiava di segno guardando al 1799 napoletano, con la rappresentazione dell’alleanza fra popolo e monarchia contro i galantuomini usurpatori di terre [Il popolo agli inizi del Risorgimento nell’Italia meridionale (1798-1801), Firenze 1926].
Rodolico fu, e rimase, di solide convinzioni monarchiche. Retrospettivamente attribuì alle sollecitazioni di Francesco Ruffini e di Paolo Boselli l’avvio della ricerca su Carlo Alberto, ma di certo agirono anche motivazioni personali. I tre volumi albertini (Principe di Carignano; Negli anni di regno, 1831-1843; Negli anni 1843-1849) apparvero per Le Monnier rispettivamente nel 1931, 1936, 1943. Innegabile, e riconosciuto, l’apporto ricostruttivo e documentario. Tuttavia il procedere della ricerca nell’Italia degli anni Trenta, e il ruolo pubblico assunto da Rodolico, si intrecciarono determinando, fra l’altro, la violentissima reazione, dopo un’iniziale cautela, di Adolfo Omodeo – Rodolico, scriveva, «è scivolato giù per la china della più deplorevole storiografia agiografica […] in una prosa encomiastica oppressiva sino all’esasperazione» (La Critica, 1937, vol. 35, p. 60). Rodolico ebbe parte non trascurabile nella politica culturale del regime. Non tanto tramite la scontata collaborazione all’Enciclopedia italiana, quanto nella sfera accademica – commissario nei concorsi che portarono nel 1934 Federico Chabod a Perugia e nel 1936 Carlo Morandi a Pisa, preside del Cesare Alfieri e componente del Senato accademico fiorentino nel delicato passaggio del 1943 – e istituzionale: membro dal 1936 del Consiglio superiore degli Archivi, e vicepresidente dal 1955, presidente, e commissario, della Deputazione toscana di storia patria e direttore dell’Archivio storico italiano dal 1935 alla morte, Rodolico avrebbe poggiato su queste basi l’ultima fase della sua attività, dopo aver lasciato la cattedra per limiti di età alla fine del 1943 – solo formale una brevissima ripresa di servizio, fuori ruolo, nel 1947-48.
Le vicende della guerra e della sconfitta pesarono: nel novembre 1943, a scopo di chiarificazione personale, Rodolico stese dei Colloqui con me stesso; nel dopoguerra l’adesione alla Democrazia cristiana fu frenata dalla pregiudiziale monarchica, e Rodolico si candidò all'Assemblea costituente a Firenze nel blocco monarchico. Dalla Casa reale sconfitta ebbe onorificenze; nel 1953 contribuì a una pubblicazione dedicata a presunti brogli referendari (Libro azzurro sul Referendum 1946. Documenti e notizie, Torino 1953), e di storia e politica continuò a scrivere, molto, su quotidiani come La Nazione e Il Tempo. Accademico dei Lincei nel 1947, Rodolico avrebbe ancora concepito e steso opere di larga mole, come la Storia degli italiani (Firenze 1954), aperta dalla cesura cronologica carducciana all’anno Mille, e la Storia del Parlamento italiano, da lui coordinata, edita a partire dal 1963 in venti volumi.
Morì a Fiesole il 19 novembre 1969.
Nel luglio 1941 si era risposato a Villabassa, in Alta Pusteria, con Leonilda Ravenna.
Fonti e Bibl.: Le carte Rodolico sono depositate presso la Biblioteca Riccardiana di Firenze; utile il fascicolo personale presso l’Archivio storico dell’Università degli Studi di Firenze. Altra documentazione relativa alla sua opera di organizzatore di cultura è disponibile presso la Deputazione toscana di storia patria. La Bibliografia di un fannullone, compilata dalla seconda moglie, è in N. R. uomo e storico, a cura di G. Falzone, Palermo 1972, pp. 263-303, volume, in generale, di una certa utilità. La documentazione relativa al Consiglio superiore degli Archivi è consultabile sul sito web dell'Archivio centrale dello Stato: http://search.acs.beniculturali.it/OpacACS/guida/IT-ACS-AS0001-0001971 (24 febbraio 2017). Inoltre: A. Omodeo, La leggenda di Carlo Alberto nella recente storiografia, Torino 1940, ad ind.; E. Sestan, N. R. storico, in Archivio storico italiano, CXXVIII (1970), 1, pp. 3-23; N. R. Discorso commemorativo pronunciato dal Linceo Ernesto Pontieri nella seduta ordinaria dell’8 aprile 1972, Roma 1972; E. Artifoni, Salvemini e il Medioevo. Storici italiani fra Otto e Novecento, Napoli 1990, ad ind.