ROCCATAGLIATA, Niccolò
Scultore, nato a Genova, del quale abbiamo notizie dal 1593 al 1636. Operò per la maggior parte della sua vita a Venezia dove lavorò anche col maestro Cesare Groppo. Opere certe di lui sono le due statue di San Giorgio e di Santo Stefano sulla balaustra del coro nella chiesa di San Giorgio Maggiore a Venezia (1593), per la quale fece nell'anno dopo 22 putti reggicandelabri che stanno ai lati delle cappelle e, col Groppo, nel 1595, sei candelabri piccoli e nel 1598 due grandi, ornati di putti e di delfini, ai lati della balaustra del presbiterio. Per analogia con queste opere si sono attribuite al Roccatagliata una quantità di statuette e di oggetti in bronzo, in cui prevale il motivo del putto, dell'angelo o dell'amorino, dalle forme piuttosto tondeggianti e vigorose, secondo un tipo proprio di questo artista, poi largamente imitato nella piccola scultura in bronzo veneziana del primo Seicento. Esempî di statuette di questo genere sono in molte collezioni d'Europa (il gruppo più numeroso e più bello a Vienna, Kunsthistorisches Museum e Estensische Kunstsammlung); e in esse è grande varietà d'atteggiamenti e d'espressioni, e una nota di grazia e di freschezza sempre squisite, che non manca neppure quando la figura del putto è adoperata a ornamento di oggetti destinati a un particolare uso (picchiotti, alari a Firenze: museo del Bargello; a Venezia: Ca' d'Oro), o nelle meno frequenti figurazioni di personaggi mitologici determinati (Bacco, Ercole, Meleagro a Vienna, museo; Leda, ivi, collezione Estense; Apollo a Berlino, museo). Pur ricollegandosi alle forme sansoviniane, attraverso il Vittoria, il Campagna e l'Aspetti, il R. è in tutte queste opere caratteristico rappresentante del manierismo veneziano: lo provano anche i suoi rapporti col Tintoretto per cui faceva dei modellini di figure in creta, di cui lo Schlosser ha veduto un'eco nell'Adamo ed Eva del museo di Vienna.
Già assai più vicino al barocco è invece il paliotto dell'altare nella sacrestia di San Moisè a Venezia col Trasporto di Cristo nel sepolcro (1633), firmato da Niccolò e del figlio Sebastiano. Negli ultimi anni della sua vita il R. tornò a Genova dove è tradizione fornisse gli ornamenti d'argento per la cassa della Beata Vergine del Rosario in San Domenico, e dove morì forse dopo non molti anni.
Bibl.: R. Soprani, Le vite de' pittori, scultori et architetti genovesi, Genova 1674, pp. 88-89; P. A. Orlandi, Abecedario pittorico, Venezia 1753, p. 393; S. Varni, Ricordi di alcuni fonditori in bronzo, Genova 1879, p. 45 segg.; L. Planiscig, Die estensische Kunstsammlung, I, Vienna 1919, nn. 215-18; id., Venezianische Bildhauer der Renaissance, ivi 1921, p. 597 segg.; L. Pollak, Raccolta Alfredo Barsanti: Bronzi italiani, Roma 1922, pp. 140-142, tav. XLVII; L. Planiscig, Piccoli bronzi italiani del Rinascimento, Milano 1930, p. 38 segg., tavole CLXXVII-CLXXX; L. P., in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXVIII, Lipsia 1934 (con bibl.).