PORCINARI, Niccolo
PORCINARI, Niccolò. – Nacque a L’Aquila presumibilmente nel 1411 (Liber Reformationum 1467-1469, a cura di M.R. Berardi, 2012, p. LXXXIV), da Domenico.
La famiglia Porcinari, da tempo insediata nell’omonima località della città, sin dai tempi di re Roberto ebbe rapporti molto stretti con la casa regnante: gli Angiò non lesinarono concessioni e titoli, come quello di conte palatino di cui Niccolò si fregiava già nel 1440 e che gli fu confermato – anche per gli eredi – da re Ferdinando I d’Aragona nel 1459 (Lettere e notizie raccolte fino al luglio 1874, c. 190r).
Studiò giurisprudenza dapprima a Siena, dove divenne amico di Enea Silvio Piccolomini, poi a Perugia, dove si addottorò. La sua carriera iniziò con il prestigioso incarico di podestà di Firenze, carica che ricoprì nel secondo semestre del 1440 e nel primo del 1441, durante il quale prese un provvedimento che fece scalpore. Il 16 gennaio 1441 Porcinari condannò infatti l’ebreo pratese Salomone di Bonaventura a pagare ventimila fiorini d’oro per aver esercitato il prestito di danaro a Firenze, contro le disposizioni statutarie e i Capitoli contro gli ebrei, dal 1438 in poi. Incarcerato con i figli, Salomone fu liberato solo dopo il pagamento dell’intera somma.
Oltre che durissima, la condanna appare anche viziata da elementi di illegittimità: Porcinari ne era consapevole, ma non esitò a prendere la decisione, frutto di un preciso accordo con la Signoria fiorentina, che in quel periodo si trovava in condizioni economiche critiche e aveva una vitale esigenza di liquidità (Panella, 1909, passim).
Nell’immediato egli non chiese né ebbe alcun premio, ma già nel 1443 iniziò a reclamarlo; la disputa (che vide il suo apice negli anni 1444-46 quando Porcinari ventilò la minaccia di ritorsioni contro i fiorentini presenti a L’Aquila) si protrasse almeno fino al 1451.
La negativa impressione suscitata da questo episodio segnò indelebilmente la figura di Porcinari nell’immediato (Giovanni Pontano nel De immanitate affermò che al tempo della sua giovinezza Niccolò Porcinari si era reso noto in tutta Italia per il sadismo e la matta bestialità consistente nel trarre godimento dalle torture e nell’inventarne di nuove per estorcere confessioni di crimini anche non commessi), e anche nei secoli successivi. Non ne ostacolò tuttavia la brillante carriera.
Fu podestà di Siena dal primo maggio al primo novembre 1443, per poi tornare a L’Aquila dove ricoprì le massime cariche cittadine (camerario – nello stesso anno – e membro dei Cinque nel quinto bimestre del 1445; giudice e baiulo nel 1447, e più tardi alla fine del 1460 e nel 1461).
Il 6 marzo 1447 ascese al soglio pontificio Tommaso Parentucelli con il nome di Niccolò V. Con lui Porcinari condivise l’amicizia con Piccolomini, il che fu probabilmente alla base degli importanti incarichi ricoperti nello Stato pontificio. Già il 3 giugno 1447 fu nominato podestà di Fermo − ricoprendo tale carica nel primo semestre del 1448 − e il 18 dicembre 1448 il papa lo nominò senatore di Roma. Porcinari espletò l’incarico nella seconda parte del 1451 e nel 1452; nel frattempo, tra la fine del 1450 e la prima parte del 1451, il papa si era avvalso dei suoi servigi come podestà di Bologna (tale designazione era riservata al papa, sulla base dei Capitoli del 1447).
Significativo fu l’evento del 18 marzo 1452 quando, «vestito de imbroccato con quella barretta et con maniche et ornamenti de pelle con le quali va allo Testaccio et Nagoni» (Diario della città di Roma, 1890, p. 51), Porcinari accolse l’imperatore Federico III, giunto nell’Urbe per essere incoronato, il quale, dopo aver disdegnato vescovi e cardinali, saputo che era il senatore di Roma, si tolse il cappello e lo salutò calorosamente.
Successivamente, nel Regno di Napoli Porcinari divenne uomo di fiducia della casa regnante aragonese: fu infatti posto ai vertici dell’amministrazione finanziaria e giudiziaria, essendo nominato più volte, dal 1455 al 1476, presidente della Regia Camera della Sommaria, reggente della Gran Corte della Vicaria e membro del Sacro Regio Consiglio.
L’ultima carica ricoperta al di fuori del Regno di Napoli fu la luogotenenza di Pesaro dalla fine del 1462 alla prima parte del 1464, carica alla quale fu nominato da Alessandro Sforza tra la fiducia per le capacità dimostrate e il timore perché era «tenuto un poco rigido» (Dispacci Sforzeschi da Napoli, V, 2009, p. 81), tanto che il fratello Francesco, cui aveva chiesto un parere in merito, nell’acconsentire si raccomandò di ammonire Niccolò «che’l se vogli portare umanamente con questi citadini et carizarli» perché «se haverà meglio de loro con la humanità che con la crudeza» (p. 114 n.).
Il suo appoggio fu conteso. Giovanni d’Angiò, pretendente al trono alla testa dei baroni ribelli a re Ferdinando I, il 29 giugno 1462 gli scrisse una lettera di congratulazioni ricordando gli antichi legami di amicizia di Porcinari con la casa d’Angiò e promettendogli incarichi di prestigio una volta divenuto re di Napoli (pp. 141 s.). Tuttavia, tra la fine del 1467 e l’inizio del 1468, fu inviato dal re di Napoli al seguito del figlio Alfonso per consigliarlo e assisterlo nella campagna a sostegno della Repubblica di Firenze, segno che i rapporti con la Signoria fiorentina erano tornati cordiali.
Sempre presente nella vita politica e nella gestione del Comune aquilano, di cui fu anche consigliere, ebbe ulteriori riconoscimenti negli ultimi anni di vita. Nel 1471 fu infatti posta sulla porta della sua abitazione un’epigrafe celebrativa: «Tempore Nicolai P. P. V. Federicus Rex coronatur. Pax Domui Senatoris Aragonensis Magnifici Nicolai de Porcinario Comitis Palatini, legum doctoris et militis Regii, Consiliari et Iustitiarii. MCCCCLXXI» (Vitale, 1791, p. 421), e la sua competenza nel campo del diritto fu riconosciuta anche in ambito accademico, con la nomina a lettore nello Studio napoletano nel 1472.
Morì prima del 9 agosto 1481, quando il monastero aquilano di Collemaggio si vide riconosciuti in eredità metà della sua biblioteca e un quarto delle sue pecore.
Aveva sposato, in data imprecisata, Galerana De Gillis ed ebbe un solo figlio maschio che divenne abate di una chiesa aquilana (Lettere e notizie, c. 186v).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Mediceo Avanti il Principato, filza 8, doc. 229; Napoli, Società napoletana di storia patria, Mss., III.Corr.IV.A1, ff. 182-192: Lettere e notizie raccolte fino al luglio 1874 per l’opera araldica storica e genealogica che compilasi dal Marchese Berardo Candida Gonzaga; L. Domenichi, Detti e fatti di diversi signori […], Firenze, presso Lorenzo Torrentino, 1562, p. 21; N. Toppi, De Origine omnium Tribunalium nunc in Castro Capuano Fidelissime Civitatis Neapolis existentium […], I, Napoli 1655, p. 206; III, Napoli 1666, p. 3: A. Abate Olivieri Giordani, Memorie di Alessandro Sforza signore di Pesaro, Pesaro 1785, p. LXXXIX; F.A. Vitale, Storia diplomatica de’ Senatori di Roma dalla decadenza dell’imperio romano fino a nostri tempi con una serie di monete senatorie, parte II, Roma 1791, pp. 420-424; Diario della città di Roma di Stefano Infessura scribasenato, a cura di O. Tommasini, Roma 1890, p. 51; Ioannis Ioviani Pontani De Immanitate liber, edidit Italice vertit commantariolo instruxit Liliana Monti Sabia, Napoli 1970, pp. 28,74; Dispacci Sforzeschi da Napoli, V, (1 gennaio 1462 - 31 dicembre 1463), a cura di E. Catone - A. Miranda - E. Vittozzi, Battipaglia 2009; Liber Reformationum 1467-1469, a cura di M.R. Berardi, L’Aquila 2012.
A. Panella, Una sentenza di N. P. potestà di Firenze e una minaccia di rappresaglia degli aquilani contro i fiorentini, Teramo 1909; S. Prete, I Magistrati dell’Officium Maleficiorum a Fermo nel sec. XV (1447-1496), in Studia Picena, XXVIII (1960), pp. 7 s., 10; C. Burroughs, From signs to design: environmental process and reform in early Renaissance Rome, Cambridge 1990, p. 273; A. De Benedictis, Repubblica per contratto. Bologna: una città europea nello Stato della Chiesa, Bologna 1995, p. 115; F. Ambrogiani, Vita di Costanzo Sforza (1447-1483), Pesaro 2003, pp. 37-40.