PIZZOLO, Niccolò
Scultore e pittore, nato probabilmente nel 1421 a Padova o nel contado, morto nel 1453 a Padova. Pizzolo fu non cognome ma soprannome, datogli forse perché dei fratelli era il minore. Un primo ricordo della sua operosità artistica - oltre a quello dello Scardeone, che lo mette al solito tra gli scolari dello Squarcione - ci è offerto dal Michiel, il quale afferma aver Niccolò dipinto, con Ansuino da Forlì e Filippo Lippi, nella cappella del Palazzo del Podestà a Padova. Ciò dovette avvenire tra il 1433 e il 1437, estremi del soggiorno del Lippi a Padova, al grado attuale delle ricerche; e fu alunnato fondamentale per la formazione di Niccolò, che non doveva più dimenticare l'insegnamento della pittura di fra Filippo giovane (v. lippi, filippo). Si ha notizia di altre sue pitture giovanili a Padova e a Monteortone. Fra il 1446 e il 1448 fu aiuto di Donatello per l'esecuzione di dieci angeli per l'altare del santo. Il 16 maggio 1448 assumeva con Andrea Mantegna la commissione di dipingere le pareti della cappella Ovetari agli Eremitani di Padova; un dissidio, sorto tra i due artisti per la divisone del lavoro, fu composto dall'arbitrato di Pietro Morosini: ci è rimasto l'importante documento del 27 settembre 1449, che fissa con sicurezza quanto di quelle pitture spetti a Niccolò e quanto al Mantegna. Il P. terminò da solo la pala di terracotta dorata della cappella stessa, e avrebbe dovuto dipingere il riquadro inferiore presso l'arco verso l'altare, con una storia di S. Giacomo, decorate mezzo sottarco destro innanzi alla tribuna, e terminare la pittura della tribuna stessa; ma moriva nel 1453, lasciando incompiuto circa un terzo del lavoro commessogli. La parte assolutamente preponderante - compresa l'Assunta - di questo campo di pitture della cappella Ovetari va dunque assegnata al Mantegna; Niccolò risulta avervi dipinto le fasce decorative, gli angioletti di mezzo sottarco, e, in fatto di figura, poco più di ciò che gli aveva attribuito il Vasari: "Dio Padre che siede in maestà, in mezzo ai Dottori della Chiesa", nel catino dell'abside, e S. Giacomo (semidistrutto). Appare così alquanto limitata l'attività pittorica di Niccolò (non la sua qualità, giacché egli si dimostra veramente il sosia del Mantegna): ma in compenso si avvantaggia la sua fama di scultore; anzi in tale campo si afferma come il vero capostipite della scultura padovana del Quattrocento; poiché viene cancellata dalla realtà storica dell'arte la figura di quel Giovanni da Pisa, a cui si attribuivano, oltre alla pala di terracotta e alla Madonna dell'antisagrestia degli Eremitani, altre sculture fondamentali per la comprensione della plastica padovana, le quali vanno restituite senz'altro al P. Va invece decisamente esclusa dalle sue opere la maiolica del museo di Padova, firmata Nicoletus, il cui disegno della fine del secolo è opera modestissima di Nicoletto da Modena (Rosex). Restituite al Mantegna le pitture in alto della parete sinistra, nella cappella Ovetari, torna anche a lui il monumentale busto di santo sotto un'arcata dello Srädel Institut di Francoforte.
Bibl.: G. Fiocco, L'arte del Mantegna, Bologna 1927; A. Moschetti, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXVII, Lipsia 1933.