PICCININO, Niccolò
Capitano di ventura, nato a Callisciana (Perugia) nel 1386, morto a Cusago (Milano) nell'ottobre del 1444. Dei suoi primi anni poco si sa; figlio di un macellaio, perdette il padre a meno di dieci anni. Avviato al mestiere del lanaiolo, preferì andare in Romagna come ragazzo d'un uomo d'armi presso un Bartolomeo Sestio. Questi lo prese a stimare, lo innalzò a uomo d'armi e gli diede in moglie una sua figlia. Ma egli la uccise dopo meno d'un anno per sospetto d'infedeltà, e passò al servizio di un Guglielmo Mecca; poscia, nel 1416, a quello di Braccio da Montone. Ora cominciò veramente la sua ascesa: il grande condottiero gli diede il comando prima di cinque, poi di dieci e infine di cento uomini d'arme, quindi gli diede in sposa una sua nipote. La sfortunata battaglia dell'Aquila (2 giugno 1424), cui seguì la morte di Braccio, segnò pel P. l'inizio d'una maggiore fortuna, perché divenne ben presto il vero capo delle schiere braccesche. Dopo essere stato per quasi un anno e mezzo al servizio dei Fiorentini, passò, con grande loro sdegno, al servizio di Filippo Maria Visconti duca di Milano, che servì sempre fedelmente. Nel 1426-27 si trova insieme con Francesco Sforza contro i Veneziani e il Carmagnola: il poco accordo fra i due valenti condottieri porta alla sconfitta di Maclodio (11 ottobre 1427). Nel 1430 si distingue nel liberare Lucca assediata dalla schiere fiorentine. L'anno dopo è ancora con lo Sforza contro il Carmagnola e contribuisce assai alla vittoria del 23 giugno contro la flotta veneziana a monte di Cremona. Il 27 novembre 1432 vince di nuovo i Veneziani a Delebio e assicura in tal modo al Visconti il possesso della Valtellina. Nel 1434 guerreggia contro i pontifici e sbaraglia il 28 agosto a Castel Bolognese Niccolò da Tolentino, conquistando Bologna al duca di Milano. Nel 1436 tenta invano di prendere Genova, e minaccia poi i Fiorentini, ma l'8 febbraio 1437, a Barga, è battuto dallo Sforza. Il 1438-41 segna il periodo culminante dell'attività guerriera del P., e forse il periodo più splendido, dal punto di vista strategico, della storia delle compagnie di ventura. Forzato il passaggio dell'Oglio, il P. obbliga il Gattamelata a riparare a Brescia e ve lo assedia; ma questi riesce a sfuggirgli e, con una ritirata famosa attraverso la Val di Ledro, ripara con ampio giro a Verona. L'anno dopo, mentre Brescia è strettamente assediata, il P. si spinge fino sotto Padova; interviene lo Sforza: il 9 novembre 1439 il P. è vinto a Tenna. Ripara a Peschiera, con un colpo di mano fulmineo s'impadronisce di Verona; ma con altrettanta rapidità lo Sforza rioccupa la città. Nel 1440 il P. fa una celebre diversione in Toscana e occupa Perugia, ma è battuto da Michele Attendolo ad Anghiari. Nel 1441 si riaccende la lotta in Lombardia; respinto da Cignano lo Sforza, il P. riesce a serrarlo contro il castello di Martinengo e sta per averlo a discrezione: il P. sarebbe ora veramente l'arbitro d'Italia. Ma Filippo Maria Visconti lo comprende, fa sospendere le ostilità e dà la figlia naturale Bianca Maria in moglie allo Sforza. La fortuna del capitano umbro declina: nel 1442-43 combatte il suo grande rivale nelle Marche ed è vinto a Montelauro; ha tutto disposto per la rivincita, quando il duca di Milano, sempre geloso, lo chiama presso di sé. Durante la sua assenza, le sue schiere sono sbaragliate dallo Sforza a Montolmo (19 agosto 1444). Addoloratissimo, il P. s'ammala e muore d'idropisia il 15 ottobre.
I suoi due figli, Francesco e Iacopo, furono entrambi condottieri; restarono al servizio del Visconti, e Francesco assunse, almeno di nome, la direzione delle schiere braccesche. Ma era di troppo inferiore al padre; fu sconfitto il 29 settembre 1446 da Michele Attendolo a Casalmaggiore e il 19 agosto 1447 nuovamente a Monte Brianza. Passò poi, sempre col fratello, al servizio della repubblica ambrosiana, e nell'ottobre 1448, dopo il noto voltafaccia dello Sforza, ebbe il comando delle forze milanesi. Per un momento parve che lo Sforza riuscisse a staccare i due fratelli dal servizio della repubblica, ma in realtà essi erano più che mai inveleniti contro il vecchio rivale del padre. Francesco morì a Milano il 16 ottobre 1449.
Il comando delle forze milanesi fu allora assunto dal fratello minore Iacopo, di ben altro valore. Caduta la repubblica ambrosiana, Iacopo passò al servizio dei Veneziani e nel 1452-53 guerreggiò con alterna fortuna contro lo Sforza. Licenziato dopo la pace di Lodi, alza bandiera di ventura, tenta invano Perugia e Bologna, quindi devasta il Senese e infine ripara a Castiglione della Pescaia, per poi passare al servizio d'Alfonso d'Aragona re di Napoli (novembre 1456). Un anno più tardi partecipa con Federico d'Urbino alla guerra contro Sigismondo Malatesta di Rimini. Morto poi il 6 agosto 1458 Callisto III, Iacopo scorrazza per lo Stato della Chiesa; poi, scoppiata la guerra di successione nel regno di Napoli, passa al servizio di Giovanni d'Angiò. Da Bertinoro, con marcia famosa, giunge all'Abruzzo e il 27 luglio 1460 batte a San Fabbiano, presso Giulianova, Alessandro Sforza, quindi assume il comando di tutte le forze angioine. Nel 1461 combatte con varia fortuna contro Giorgio Castriota; il 18 agosto 1462 è vinto sotto le mura di Troia di Puglia, ma si sostiene ancora in Abruzzo. Nell'agosto 1463, tramontata la fortuna angioina, passa al servizio del re Ferrante, come capitano generale col feudo di Sulmona. Ma il re di Napoli vuole ormai disfarsi di lui; il P. cerca la protezione di Francesco Sforza, si reca a Milano, sposa il 13 agosto 1464 Drusiana, figlia naturale del duca, e passa con la sposa l'autunno nel castello di Pavia. Ma proprio ora Ferrante otteneva l'approvazione del duca al suo disegno di disfarsi dell'odiato condottiero. L'anno dopo per consiglio dello Sforza, Iacopo si decide a tornare nel reame; va a Sulmona e quindi a Napoli, dove è magnificamente accolto. E adesso gli Angioini preparano un ultimo tentativo per mare, destinato a fallire il 7 luglio con la battaglia navale d'Ischia. Re Ferrante non vuole indugiare più: il 24 giugno Iacopo è arrestato a un banchetto d'addio, mentre si prepara a tornare a Sulmona, e dopo una parvenza di processo, sotto l'accusa di sommuovere il regno e attentare alla pace d'Italia, è strozzato in Castelnuovo.
Bibl.: P. C. Decembrio, Vita N. P., in Rer. Ital. Script., XX; Porcellio, De Gestis Scipionis Piccinini (per la guerra del 1452-53), ibid., XX e XXV; L. Spirito, Il libro chiamato Altro Marte, Vicenza 1489; G. B. Poggio, Vita di N. P., vers. ital., Perugia 1636; A. Fabretti, Biografia dei capitani venturieri dell'Umbria, Montepulciano 1842, I; E. Ricotti, Storia delle compagnie di ventura, Torino 1844, III; A. Semerau, Die Condottieri, Jena 1909; W. Block, Die Condottieri, Berlino 1913 (per le battaglie dell'Aquila, Anghiari, San Fabbiano); L. Bignami, Condottieri viscontei e sforzeschi, Milano 1934; G. Portigliotti, Condottieri, Milano 1935. Interessanti considerazioni sulle battaglie combattute da N. P. in Governo et esercitio de la militia di Orso Orsini, in Arch. stor. nazionale, 1933. - Su Iacopo P. per il periodo 1455-56 v. L. Banchi, Il P. nello stato di Siena e la lega italica, Firenze 1879; F. Cerone, La politica orientale di Alfonso d'Aragona, in Arch. stor. nap., 1903. Per gli ultimi anni e la tragica fine, v. specialmente: E. Nunziante, I primi anni di Ferdinando d'Aragona, in Arch. stor. napol., 1892-98; C. Rosmini, Istoria di Milano, Milano 1820, IV; A. Portioli, La morte di Jacopo P., in Arch. stor. lomb., 1878; B. Buser, Die Beziehungen der Medicer zu Frankreich während der Jahre 1434-1494, Lipsia 1879; F. Forte, Atti del processo contro J. P. (1465), in Miscell. Luzio, Firenze 1933, I.