PALLAVICINO, Niccolo
PALLAVICINO (Pallavicini), Niccolò. – Marchese di Busseto, era figlio di Oberto e di Caterina di Marsilio Rossi. Non si hanno notizie attendibili sulla sua data di nascita, che dovrebbe collocarsi verso il 1340.
Sposò in prime nozze, nel 1360, Antonia di Bartolomeo Casali, signore di Cortona, che morì nel 1394; e in seconde nozze (1395) Maria di Giovanni Attendolo da Cotignola. Da nessuna delle due mogli ebbe prole legittima e a ereditare i suoi domini fu il figlio naturale Rolando. Altri figli naturali furono Uguccione e Giovanna.
Comparve sulla scena politica nel 1360, anno in cui fu membro dei Dodici a Siena. Nel 1363, al fianco di Bernabò Visconti, prese parte alla battaglia di Solara, dove cadde prigioniero. Attivo collaboratore del padre Oberto, nel 1366 prese possesso in suo nome del castello di Tabiano e delle relative saline, acquistate dagli agnati Pallavicino di Scipione cinque anni prima. Le fonti sono avare di informazioni fino al 1374, anno in cui esercitò la carica di podestà di Bergamo e fu coinvolto nell’oscura vicenda dell’assassinio di Giacomo Pallavicino di Bargone (e di suo figlio Giovanni) da parte del nipote, Francesco Pallavicino di Scipione. I rapporti con Bernabò subirono una brusca svolta nel 1375, quando il Visconti tolse a Niccolò il castello di Tabiano per compiacere la moglie Regina della Scala. Egli cercò di recuperare la rocca suscitando una rivolta contro il castellano visconteo, col risultato di subire l’ulteriore confisca di Bargone (di cui si era impossessato dopo la morte del nipote Francesco) e del palazzo che possedeva a Milano nella parrocchia di S. Pietro all’Orto, oltre alla proibizione di continuare a fortificare le rocche di Castellina e di Costamezzana. La tensione creatasi nei rapporti con il signore di Milano emerge per esempio dalla sua richiesta del 1376 a Ludovico Gonzaga, affinché intercedesse presso Bernabò a favore di un civis cremonese (soprattutto a Cremona Niccolò coltivava, infatti, una robusta clientela tra le famiglie cittadine di tradizione ghibellina). Alla politica autoritaria di Bernabò corrispose, da parte dei Pallavicino, la ricerca di coesione tra i rami di Busseto e di Ravarano-Zibello, come mostrano l’acquisto pro indiviso della metà della motta di Tolarolo e dei connessi diritti signorili da parte di Niccolò e dei cugini Giovanni e Federico (acquisto alla radice del secolare conflitto tra Pallavicino e Rossi nella bassa pianura), perfezionato nel 1376, e i patti intercorsi fra i tre cugini nel 1378, probabilmente subito dopo la morte del padre di Niccolò, Oberto.
Nel 1385, l’esautorazione di Bernabò da parte di Gian Galeazzo Visconti segnò l’inizio di una nuova fase nelle relazioni di Niccolò con i signori di Milano. Egli divenne, infatti, uno degli uomini di fiducia del Conte di Virtù, che gli affidò incarichi di rilievo, tra i quali spicca la missione a Pisa presso Pietro Gambacorta nel 1391; nel 1394 ottenne la cittadinanza pavese. Nel 1391 Niccolò stipulò un trattato con Gian Galeazzo anche per conto dei cugini Giovanni di Ravarano e Federico di Zibello. I Pallavicino ottennero il rispetto dei loro privilegi imperiali e la licenza di fortificare e ristrutturare ad libitum tutte le rocche in loro possesso. Niccolò chiese tra l’altro che gli fosse riconosciuto il pacifico possesso di Bargone, nonché la restituzione di Tabiano e del palazzo milanese; inoltre, chiese di avere libero transito in tutto il dominio visconteo con una scorta di venticinque famigli armati: per Donnino e Giovanni ne erano previsti quindici, a sottolineare le gerarchie interne al lignaggio. Inoltre, spese la sua influenza a favore degli «amici» di Piacenza, facendogli sciogliere, nei capitoli del trattato, dai bandi loro inflitti da Bernabò; e a favore di quelli di Parma, Borgo San Donnino e Cremona, per i quali ottenne un trattamento di favore da parte degli officiali viscontei. Infine, considerata la povertà degli uomini di Zibello e Santa Croce, pesantemente tassati dal Comune di Cremona, richiese per loro l’esenzione per dieci anni dai carichi fiscali signorili e cittadini. Nel 1395, anno dell’investitura di Gian Galeazzo a duca di Milano, Niccolò ottenne da Venceslao di Lussemburgo la conferma di tutti i privilegi. Sempre nel 1395 stipulò un accordo con Giovanni di Ravarano affinché, nel caso in cui uno di loro fosse morto senza figli maschi, l’eredità passasse all’altro; un anno prima, tuttavia, si era premunito facendo legittimare da Gian Galeazzo il figlio naturale Rolando. Il suo crescente prestigio e la centralità che aveva assunto all’interno del casato e nei rapporti con il principe suscitarono l’ostilità degli agnati, e in particolare di Giovanni di Ravarano, che nel 1397 organizzò, senza esito, una congiura contro di lui assieme ad alcuni parenti e a diversi aristocratici del Parmense; ma nel 1399 andò a buon fine un piano ordito dallo stesso Giovanni per fare abortire la moglie di Niccolò, Maria Attendolo.
Nel 1401 Niccolò e Maria morirono avvelenati nel castello di Tabiano.
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