PAGANINI, Niccolo
PAGANINI, Niccolò (Nicolò, Nicola). – Nacque a Genova il 27 ottobre 1782 da Antonio (1754-1817, nato dal matrimonio nel 1745 fra Giovanni Battista Paganini e Maria Angela Teresa Gambero, residenti a Carro, piccolo centro nei pressi della Spezia) e Teresa Bocciardo (1757-1831), coniugi dal 1777.
Terzogenito, ebbe 5 fratelli: Carlo (1778-1830), anch’egli violinista, Biagio (1780-1781), Angela (1784-1786), Nicoletta (nata nel 1786) e Domenica (nata nel 1788).
Apprese i primi rudimenti musicali dal padre, chitarrista e mandolinista dilettante (di mestiere era ‘ligaballe’ al porto di Genova), dal quale trasse probabilmente origine la sua predilezione per la chitarra, strumento di cui approfondì la tecnica e la scrittura fin dagli studi giovanili e che non abbandonò mai.
Ben presto il ragazzo, precoce e dotato, venne affidato a Giovanni Cervetto (o Servetto), indi a Giacomo Costa, «celebre violinista» o, come dice Carlo Gervasoni – il primo musicografo che si sia occupato di Paganini – «primo violino delle funzioni ecclesiastiche di Genova» (1812, pp. 121, 214). La prima testimonianza di un’esibizione pubblica è del 1793, assieme al fratello, nelle feste di carnevale. Appunto sotto la guida di Costa il 26 maggio 1794 suonò di nuovo in pubblico, probabilmente pezzi scritti apposta per lui, non in un concerto ma nelle solennità per i festeggiamenti del santo patrono nella chiesa di S. Filippo Neri (idem l’anno seguente). Un’altra esibizione ecclesiastica, a S. Maria delle Vigne, è segnalata il 1° dicembre 1794 per s. Eligio. Il primo debutto documentato in un’accademia (ossia in quello che oggi diremmo ‘concerto’), al teatro di S. Agostino, è del 25 luglio 1795. Nel frattempo Paganini fu allievo anche dell’operista genovese Francesco Gnecco, dal quale apprese elementi di armonia e composizione. Nel 1797 si trasferì a Parma per consolidare la sua formazione di compositore: il violinista Alessandro Rolla lo indirizzò a Ferdinando Paer, il quale, in procinto di partire per Vienna, dopo qualche lezione lo affidò al napoletano Gasparo Ghiretti; questi rafforzò in Paganini la conoscenza del contrappunto e più in generale dei rudimenti della composizione.
Tornato a Genova per un breve periodo al volgere del secolo, Paganini si recò in Toscana, dapprima a Livorno, indi a Lucca, dove il 22 gennaio 1805 venne nominato primo violino nella Cappella nazionale della Repubblica. Era dunque giunto alla corte della sorella di Napoleone, Elisa Baciocchi; impartì lezioni di violino al consorte di Elisa, Felice Baciocchi, e prese parte alle attività musicali cittadine (per es. nella festa di s. Croce, la maggiore ricorrenza religiosa lucchese).
Sciolto il rapporto con Lucca, fra il 1810 e il 1813 Paganini lavorò a Parma, in Romagna (Cesena, Forlì, Ravenna, Rimini), a Piacenza (1812), a Brescia e Bergamo (1813), e infine approdò in una capitale, Milano, dove poté entrare in contatto con un editore importante, Giovanni Ricordi: qui dovette stringere una sincera e durevole amicizia con Rossini, allora a Milano per l’Aureliano in Palmira alla Scala. Il concerto dato da Paganini nello stesso teatro il 29 ottobre 1813 – per la prima volta eseguì Le streghe (variazioni su un tema dal Noce di Benevento di Franz Xaver Süssmayr) – si può convenzionalmente considerare il vero inizio della carriera, che da questo momento si snodò per tutta la penisola, percorsa due volte fino al 1828, anno d’inizio del giro in Europa che si protrasse fino al 1834.
Nel 1814 è documentato il primo contatto con l’avvocato Luigi Guglielmo Germi, di Sarzana, buon dilettante di musica, che nel giro di pochi mesi diventò per Paganini la persona di riferimento non solo per gli affari legali, giudiziari ed economici – ebbe ben presto necessità di amministrare i proventi dei concerti nonché acquistare immobili e titoli bancari – ma anche per i turbamenti dell’animo e gli assilli della vita privata. Gli stessi proventi e i frutti degli investimenti furono in parte e regolarmente destinati al sostegno della madre, vedova dal 1817, e presto anche delle sorelle, che, ancorché maritate, versavano in angustie economiche.
Nel 1815 fu denunciato per ratto di minore dal padre di Angelina Cavanna, una ventenne che per qualche tempo aveva convissuto con lui more uxorio, donde una gravidanza infausta.
La causa si trascinò per anni, Paganini la perse e fu condannato a un cospicuo indennizzo. Non fu l’unico guaio giudiziario occorsogli: a Venezia nel 1817 fu denunciato per non aver onorato un debito di gioco e nel 1838 a Parigi fu coinvolto nella bancarotta del ‘Casinò Paganini’.
Trascorse a Milano il 1816: l’11 marzo si esibì in una celebre gara col violinista francese Charles-Philippe Lafont; di lì si recò in Veneto e in Venezia Giulia. Nei primi mesi del 1817 soggiornò a Venezia, indi di nuovo a Genova. Nel viaggio di ritorno, a giugno, si fermò a Ferrara e poi a Milano, dove stipulò con Ricordi il contratto per il lavoro che avrebbe consegnato il suo nome di compositore alla storia della musica: i 24 Capricci op. 1 (apparsi infine nel 1820). Grazie ai buoni uffici del banchiere milanese Carlo Carli, il musicista poté acquistare dalla collezione del conte Cozio di Salabue un violino di Antonio Stradivari datato 1724. Lo strumento con cui amava esibirsi era però un Guarnieri del Gesù del 1743, soprannominato ‘Il cannone’ per la potenza del suono.
Tra fine 1817 e inizio 1818 restò a lungo a Torino e tenne accademie al teatro Carignano. In primavera mosse verso Piacenza (vi incontrò il violinista polacco Karol Lipiński), Parma, Cremona, Ferrara, Mantova; in estate fu a Bologna, dove venne aggregato all’Accademia filarmonica. Quindi si stabilì a Firenze fino a ottobre 1818 (con un breve soggiorno lucchese) e suonò alla Pergola. Da novembre 1818 a marzo 1819 fu a Roma per tenere accademie al teatro Argentina, poi a Napoli, dove suonò al teatro del Fondo. In aprile tornò a Roma per suonare al Tordinona e incontrare il principe Clemens von Metternich, allora in visita di Stato con l’imperatore; l’incontro gli fruttò un invito a Vienna.
Nell’autunno 1819 tornò a Napoli; qui s’imbarcò per Palermo, ove trascorse le feste di fine anno e almeno tutto il gennaio 1820; nel resto dell’anno soggiornò di nuovo a Napoli. Nella corrispondenza di questi anni è ricorrente la richiesta di notizie sulla vita musicale genovese e l’invio di informazioni sui teatri delle città che visitava. Dai primi del 1821 fino a marzo soggiornò di nuovo a Roma: oltre a tenere accademie all’Argentina e al Valle, il 24 febbraio diresse la prima della Matilde di Shabran di Rossini. Per carnevale partecipò a una celebre mascherata in compagnia dell’amico pesarese e di Massimo d’Azeglio, che la narrò poi nei Ricordi. In questo periodo Paganini accarezzò progetti matrimoniali, senza successo.
Nel 1822 fu di nuovo in Lombardia tra Milano e Pavia, anche per curare, con medicine a base di mercurio, i sintomi della sifilide che lo affliggevano. Nel 1823 soggiornò a Milano, dove si occupò di violini e strumenti ad arco d’altro taglio (viole, violoncelli), trattando per corrispondenza di restauri e attribuzioni; si trovò inoltre a dover sostenere economicamente anche la sorella più piccola, Domenica, e le sue due figlie, per via della carcerazione e poi dell’abbandono della famiglia da parte del cognato Giovanni Battista Passadore (il sostegno alle sorelle fu poi, nel 1831, una precisa richiesta testamentaria della madre di Paganini).
È probabile che durante il soggiorno a Como nel 1824 Paganini avviasse una relazione con Antonia Bianchi (1800-1874), cantante, con cui convisse per quattro anni. L’anno trascorse nei successi delle accademie a Milano (La Scala) e a Genova, dove Paganini finalmente tornò a maggio per breve tempo (concerti al teatro di S. Agostino). Nell’estate fu a Venezia (teatro di S. Benedetto, con Antonia) e a Trieste. Riprese quindi un secondo giro attraverso l’Italia. Nel gennaio 1825 fu per due mesi a Roma, poi a Napoli e dal 20 aprile a Palermo: vi rimase per l’estate e diede accademie al teatro Carolino, allora diretto da Gaetano Donizetti. Il 22 luglio nacque Achille Ciro (1825-1895), suo unico figlio. Il resto dell’anno e tutto il 1826 furono trascorsi a Napoli con accademie al teatro del Fondo e al S. Carlo.
Paganini intendeva promuovere i concerti per violino e orchestra (il secondo e il terzo risalgono appunto al 1826), forse per collaudare le reazioni del pubblico in vista di una prossima tournée europea. Un tratto non sempre rilevato dai biografi, che però traspare dalla corrispondenza, è la meticolosità con cui preparava il contatto con un nuovo uditorio onde trarne il maggior vantaggio, anche richiamando l’attenzione di membri di case reali o d’importanti famiglie aristocratiche nei luoghi in cui si sarebbe esibito.
Da Napoli nel 1827 tornò a Roma, dove gli venne conferito il titolo di cavaliere dello Speron d’oro. Nell’estate fu a Livorno, in ottobre di passaggio a Milano per Genova, Torino e di nuovo Milano (concerti alla Scala e al teatro Re), dove trascorse anche le prime settimane del 1828: s’interessò alle vicende per la direzione dell’orchestra del nuovo teatro Carlo Felice di Genova e si preparò al viaggio per Vienna raccogliendo lettere commendatizie per nobili e banchieri austriaci, nonché depositando presso il banchiere Carli gli strumenti ad arco in suo possesso. Partito a fine febbraio, il 16 marzo arrivò nella capitale austriaca seguito con grande attenzione dalla stampa. Vi restò fino al 10 agosto, giorno in cui si separò da Antonia Bianchi, che nel dicembre 1827 aveva ottenuto da lui un vitalizio (vi rinunciò in seguito a un accordo del 28 luglio 1828, ottenendo in cambio una cospicua somma di denaro); nella medesima circostanza legale Paganini ottenne l’affidamento del figlio Achille.
Non mancò di notare il livello della cultura musicale viennese («Qua si gusta la vera musica»; cfr. Grisley, 2006, p. 384), mostrandosi nel contempo perplesso per gli esiti più innovativi che s’erano prodotti in quello stesso ambiente («detta musica è molto stravagante», dichiarò a proposito degli ultimi quartetti di Beethoven; ibid., p. 385).
I quattordici concerti dati a Vienna mieterono ampio successo e raccolsero l’entusiastico favore della critica e la benevolenza dell’imperatore Francesco I, che a Paganini conferì il titolo di virtuoso di Camera. Partì da Vienna (dopo aver redatto il suo primo testamento) munito di lettere commendatizie per i nobili e i banchieri tedeschi; si fermò nella città termale di Karlsbad (l’odierna Karlovy Vary), ove tenne due concerti, quindi si recò a Praga dove trascorse l’autunno (afflitto da gravi problemi ai denti e alla mascella) e le feste di Natale. In Boemia sperimentò le prime recensioni non totalmente favorevoli e strinse un accordo con Julius Schottky per la stesura della sua prima biografia (apparsa nel 1830).
Nel tragitto da Praga verso Berlino, a metà gennaio Paganini passò per Dresda, ove lo raggiunse Lazzaro Rebizzo, un amico genovese che gli fece da segretario nel viaggio in Germania del 1829 e che nel 1838 partecipò all’impresa parigina del Casinò Paganini. A Dresda il musicista diede cinque concerti e in febbraio si trasferì a Lipsia, senza peraltro esibirsi, per disaccordi con la direzione del Gewandhaus sul prezzo dei biglietti, un tema, questo, che caratterizzò gran parte della sua tournée europea. Il 15 febbraio 1829 arrivò infine nella capitale prussiana: si esibì più volte, nello Schauspielhaus e all’Opera, anche davanti a Federico Guglielmo III (che lo nominò premier maître de concert honoraire), anche in concerti a beneficio di poveri e alluvionati; ma soprattutto entrò in contatto con l’élite culturale della città. Incontrò l’anziano Carl Friedrich Zelter, i Mendelssohn, Gaspare Spontini. In omaggio alla nazione che lo ospitava, come già aveva fatto a Vienna componendo la Maestosa Sonata sentimentale sopra l’inno austriaco, compose un ciclo di variazioni su God Save the King, che all’epoca serviva anche da inno prussiano.
Dopo un trimestre a Berlino, per accondiscendere agli inviti ricevuti posticipò il viaggio per Londra e Parigi e si recò a Varsavia per l’incoronazione di Nicola I a re di Polonia (24 maggio 1829); anche Chopin assistette a un suo concerto. Protrattasi fino a luglio, la permanenza a Varsavia si risolse in un immenso successo; passando per Breslavia il musicista tornò per agosto a Berlino, ai primi di settembre fu in Assia, a Francoforte sul Meno e Darmstadt; toccò poi Magonza, Mannheim, Weimar, di nuovo Lipsia, Magdeburgo, Erfurt, Coburgo, Bamberga, Norimberga, Monaco, Stoccarda, Karlsruhe, di nuovo Francoforte ai primi del 1830, Coblenza, Colonia, Düsseldorf, Kassel, Göttingen, Hannover, Amburgo, Brema, Francoforte, Baden-Baden, Francoforte (inizio 1831), Karlsruhe, Strasburgo.
Finalmente il 24 febbraio 1831 arrivò a Parigi, la capitale musicale d’Europa, a pochi mesi dall’insediamento della monarchia di luglio; vi soggiornò fino a fine aprile, inserendosi appieno nella vita culturale della città, dov’era atteso da mesi, anche grazie all’incontro di alcune vecchie conoscenze: Rossini anzitutto, che gli fece da tramite per i concerti all’Académie royale diretta da Louis Véron, ma anche Paer, Philippe Lafont, Giuditta Pasta, Antonio Pacini, il dottor Francesco Bennati e altri. Si deve probabilmente a questa circostanza la scarsa quantità di lettere commendatizie che portò con sé a Parigi. Paganini fece vita mondana, e gli esiti dei concerti – vi assistettero anche musicisti del rango di Liszt – furono trionfali sia per la risposta del pubblico sia per l’eco della critica: «étonnante, surprenante, merveilleuse, miraculeuse, triomphante, étourdissante, inouïe, singulière, extraordinaire, incroyable, imprevue» furono gli epiteti impiegati da Castil-Blaze per descrivere l’esperienza del primo concerto tenuto da Paganini il 9 marzo 1831 (Journal des Débats, 13 marzo). I primi mesi trascorsi a Parigi rappresentarono di certo l’apice del successo nella carriera di Paganini, che diventò un vero e proprio fenomeno di costume.
Il 14 maggio sbarcò a Londra, ma non fu accolto con favore dalla stampa locale, cui non piaceva pressoché nulla del contegno e dei modi del personaggio pubblico. Le dicerie sul suo conto – prima fra tutte quella secondo cui avrebbe imparato a suonare il violino in prigione – stavano minando la sua reputazione, e Paganini si adoperò a smentirle con articoli e dichiarazioni alla stampa.
Il musicista che ergeva la tecnica strumentale a scopo dell’esibizione concertistica, anziché valersene come d’un mezzo per raggiungere vette espressive e artistiche, non era ben accetto dagli inglesi, che vi subodoravano un che di ciarlatanesco, non già un fomite alla verità dell’arte musicale. Ai pregiudizi si aggiungevano le polemiche sul costo dei biglietti e sull’ingenerosità di Paganini verso il pubblico; a conti fatti, tuttavia, l’esperienza dell’ascolto diretto di Paganini valeva più d’ogni altro argomento.
Fra il 1831 e il 1834, in vari viaggi Oltremanica (inframmezzati da soggiorni parigini tra marzo e giugno 1832, nel pieno di un’epidemia di colera, e tra ottobre 1832 e aprile 1833), sottoponendosi a dei veri tours de force Paganini si produsse pressoché in tutte le grandi città britanniche e irlandesi, senza peraltro trascurare i piccoli centri. Anche in Irlanda onorò il Paese ospite con variazioni su un tema popolare, St. Patrick’s day.
A Parigi, rimase assai colpito dalla Symphonie fantastique di Hector Berlioz, al quale commissionò un pezzo – Berlioz stesso riferisce l’episodio nelle Mémoires – da eseguirsi con una viola Stradivari di sua proprietà, di dimensioni maggiori del consueto. La collaborazione non andò a buon fine, e Berlioz riutilizzò i materiali nel suo Harold en Italie (eseguito il 23 novembre 1834). Quattro anni più tardi Paganini, proprio dopo aver ascoltato a Parigi Harold en Italie diretto dall’autore (18 dicembre 1838), si distinse per un gesto di grande generosità, donando a Berlioz 20.000 franchi.
Dopo una tappa in Belgio, nel settembre 1834 – aveva varcato le Alpi sei anni prima – Paganini ritornò in Italia e si stabilì fra Genova e Parma. La municipalità di Genova colmò di onori l’illustre concittadino e gli conferì una medaglia d’oro, a seguito d’un concerto al Carlo Felice in presenza di Carlo Alberto. In ottobre fu a Parma e nel volgere dell’anno di nuovo a Genova, colpita nel frattempo (1835) dall’epidemia di colera che aveva flagellato la Francia. Paganini vi si trattenne fino ad aprile, anche perché si trovò di nuovo in cattive condizioni di salute. In questo periodo la granduchessa Maria Luigia d’Asburgo gli affidò l’incarico di riorganizzare e dirigere l’orchestra ducale di Parma (prima metà del 1836). Paganini prese a cuore il compito: avendo suonato con diverse compagini nel suo giro europeo aveva accumulato grande esperienza sul buon funzionamento e la gestione ottimale di un’orchestra. Ne fanno fede molti degli articoli del Regolamento che Paganini redigette, alcuni dei quali mutavano alla base le consuetudini parmensi: per esempio la considerazione che per migliorare la qualità delle esecuzioni fosse opportuno in orchestra considerare i posti, non già le cariche. L’opposizione interna lo costrinse però ad abbandonare l’incarico.
Nel luglio 1836 si recò in Piemonte, anche per espletare le pratiche per il riconoscimento legittimo del figlio Achille, e poi a Nizza e Marsiglia per curarsi. Tornato a Genova, il 27 aprile 1837 vergò di suo pugno un secondo e definitivo testamento. In giugno tenne due concerti a Torino a lungo promessi, indi partì per Parigi, dove arrivò il 21: fu di gran lunga il soggiorno parigino più funesto. Si era fatto convincere dall’amico Lazzaro Rebizzo a partecipare a una società per la realizzazione d’una sala d’intrattenimenti situata in Rue de la Chaussée d’Antin: si sarebbe intitolata Casinò Paganini, già che per attrarre il pubblico si annunciavano due sue esibizioni settimanali. La sala fu inaugurata il 25 novembre, ma di fatto Paganini non poté mai sostenere l’impegno preso, per l’aggravarsi delle condizioni di salute: da fine ottobre era infatti diventato completamente afono per un’affezione alla laringe. L’avventura imprenditoriale durò dunque poco e terminò a fine febbraio, con molti strascichi giudiziari a causa delle procedure di fallimento, che i soci attribuivano alla condotta del musicista. Paganini, in condizioni di salute sempre più precarie, trascorse il 1838 tra medici e avvocati. Nel gennaio 1839 si recò di nuovo a Marsiglia e per un breve periodo a Genova: in questi mesi, con grande competenza e fiuto per gli affari, si occupò soprattutto della compravendita di strumenti ad arco.
Da Genova si trasferì a Nizza, ormai senza alcuna speranza di guarigione. Morì nel pomeriggio del 27 maggio 1840.
La vicenda biografica di Paganini non si concluse però con la sua scomparsa. Le autorità ecclesiastiche, a causa di un probabile fraintendimento fra Paganini e il sacerdote che lo aveva assistito negli ultimi momenti, vietarono i funerali e la sepoltura in terra consacrata: il defunto violinista era considerato empio. Dopo interminabili vicissitudini, solo nel 1876 le spoglie mortali trovarono definitiva collocazione nel cimitero di Parma.
La fortuna di Paganini è complessa come la sua figura artistica. È un dato acquisito che nella sua biografia l’aneddotica abbia costituito non solo una parte significativa del racconto della vita, ma sia stata anche uno dei principali vettori, lui vivente, della sua fortuna d’interprete e di musicista. È altrettanto chiaro che Paganini stesso incoraggiò tale propensione: nel tracciato biografico si individuano elementi che ne fanno una figura modernissima di promotore della propria immagine pubblica e di quella celebrità che per un buon quindicennio lo contraddistinse in Europa. Attraverso la stampa Paganini sapeva stimolare le aspettative del pubblico, preparava con cura l’arrivo in una nuova città, smentiva dicerie: e anche quando le aspettative andavano deluse (per es. a causa del costo elevato dei biglietti), il risultato era comunque un incremento di notorietà. Quanto moderna fosse la recezione di Paganini lo rivelano le metamorfosi nell’uso del suo stesso nome: ‘Paganini’, da semplice patronimico, diventò un sostantivo antonomastico da attribuire tout court a qualsiasi virtuoso che puntasse a eccitare l’immaginazione del pubblico: il Paganini del clarinetto, il Paganini hindu, il Paganini polacco e così via; Paganinerl si chiamò a Vienna la banconota da cinque fiorini, i capelli à la Paganini si acconciavano ovunque e si preparavano dolci sotto il suo nome.
L’immagine pubblica e la fama di Paganini vanno poi collegate anche alla complessione fisica del musicista. Aveva una corporatura assai particolare: magro, un bacino estremamente spigoloso, un naso «non meno celebre del suo talento», come affermava la stampa francese (Le Charivari, 8 dicembre 1832, col. 7), tratti somatici sapientemente evidenzati nella scultura caricaturale di Jean-Pierre Dantan (1832). «Una persona pallida e magra, “stanca e sazia di vita”, con i capelli neri a ciocche e la sciarpa al collo, con l’ampia fronte contrapposta alla parte inferiore del viso sorprendentemente corta e con l’asimmetria delle due guance che sembrano confermare l’assenza di denti», a detta del pittore Ludwig Emil Grimm in una lettera al fratello Wilhelm (cfr. Moretti, 2006, pp. 294 s.). La cronaca della Revue musicale sul suo primo concerto parigino allude alla «figura pallida e malinconica» del musicista (14 maggio 1831, p. 113); «un’espressione di sofferenza e d’ironia anima i suoi tratti fortemente pronunciati, una capigliatura nera gli cade sulle spalle […] è una fisionomia che non vorremmo mai incontrare nei boschi della Calabria» (Gazette littéraire, 17 marzo 1831, p. 253). D’altro canto Paganini stimolò un grande interesse nella classe medica, che a lungo s’interrogò sulla fisiopatologia del grande violinista, riconducendo a essa in parte la spiegazione della strabiliante tecnica strumentale (è il caso dell’aracnodattilia, detta poi sindrome di Marfan). Per curare le innumerevoli affezioni che lo tormentavano (soprattutto la sifilide e le malattie dovute agli effetti collaterali delle medicine per curarla) Paganini incontrò i più grandi medici dell’epoca, tra cui l’oftalmologo Karl Gustav Himly, il laringologo e foniatra Francesco Bennati, il fisiologo François Magendie e perfino il fondatore dell’omeopatia Samuel Hahnemann, in una continua alternanza di speranze di guarigione e disillusioni.
Il mito di Paganini germogliò e prosperò mentre il violinista era all’apice del successo: donde una fortuna postuma di inusitata tenacia. Lo testimoniano, oltre alle pièces teatrali a lui ispirate (per es. Der falsche Virtuos di Karl Meisl e Franz Gläser, Vienna, 1828), le biografie e alcuni pamphlets pubblicati nel 1830-31: un’autobiografia nella Allgemeine musikalische Zeitung, un’autobiografia nella Revue musicale, la Notice sur le célèbre violiniste Niccolò Paganini di Georges Imbert de Laphalèque, una monografia curata da Julius Schottky sempre nel 1830, e la Notice physiologique di Francesco Bennati (Revue musicale, 1831); nonché il breve saggio di Carl Guhr, Über Paganini’s Kunst, die Violine zu spielen (Mainz, [1830]).
Due aspetti si intrecciano nella fortuna di Paganini compositore e virtuoso. In primo luogo i Capricci, che il violinista non eseguì mai in concerti pubblici: ma i compositori coevi ne colsero le enormi potenzialità costruttive e musicali. Nei cataloghi di Moscheles, Chopin, Schumann, Liszt, Brahms, e poi di Rachmaninov (sulla cui musica coreografò Fokine), Busoni, Milhaud, Dallapiccola, Casella, Lutosławski, Szymanowski, per giungere ai chitarristi heavy metal Yngwie Malmsteen e Steve Vai, compaiono pezzi che elaborano musiche paganiniane: oltre i Capricci (in particolare i nn. 5, 9 e 24), anche il Rondò finale del Secondo concerto per violino e orchestra (la celebre ‘Campanella’) e l’altrettanto famoso ‘Carnevale di Venezia’ (per es. in Chopin). In secondo luogo è evidente che l’arte di Paganini doveva dir loro molto di più di quanto non facesse la forma musicale del tema con variazioni. Ha ragione Carl Dahlhaus quando, a proposito di Liszt, sostiene che in Paganini «il virtuosismo, anziché ridursi a mero epifenomeno quanto a sostanza musicale, era perfettamente in grado, in linea di principio, di concorrere alla rivoluzione romantica propugnata da un Berlioz sull’esempio di Victor Hugo» (1980, p. 111). Non va dimenticato infine il continuo richiamo di Paganini al modello della vocalità operistica coeva, per la cantabilità e la floridezza delle melodie che da quel mondo provenivano.
Paganini, che per qualche tempo accarezzò l’idea di pubblicare un metodo di violino, non fondò una vera e propria scuola violinistica e non impartì mai lezioni regolari; a parte la genovese Caterina Calcagno, che secondo Gervasoni (1812, p. 103) prese lezioni da fanciulla, l’unico a potersi davvero definire suo allievo fu Camillo Sivori, anch’egli di Genova, mentre col violoncellista napoletano Gaetano Ciandelli e la pianista inglese Clara Loveday il rapporto didattico fu più generico e dovette riguardare aspetti generali di interpretazione musicale.
La scrittura strumentale di Paganini consistette essenzialmente nell’impiego estensivo di suoni acuti e acutissimi, nell’arricchimento del repertorio dei colpi d’arco (picchettato, saltellato, balzato ecc.) e delle loro combinazioni, nell’uso protratto di terze, seste, ottave e decime, nella combinazione simultanea di tremolo e melodia, nell’ampio impiego di suoni armonici anche doppi, nell’abbondante sfruttamento delle risorse della corda singola (tipicamente la quarta), nell’uso della scordatura, nel frequente uso di estese scale cromatiche e di repentini, vertiginosi salti di registro. Queste risorse strumentali erano poste al servizio della massima varietà, un principio estetico cui Paganini puntava fin dalla costruzione del programma di un concerto. Sotto il profilo della tecnica violinistica Paganini si situa sulla linea di Giovanni Battista Viotti, Pierre Rode, Rodolphe Kreutzer; e va in un certo senso considerato suo ‘allievo’ – oltre Sivori e i continuatori della sua scuola, Francesco Sfilio e Giuseppe Gaccetta – anche il polacco Henryk Wieniawski.
Opere: cfr. il catalogo completo in M.R. Moretti - A. Sorrento, Catalogo tematico delle musiche di N. P., Genova 1982 e successivi aggiornamenti in articoli e comunicazioni in atti di convegno; e inoltre Edizione nazionale delle opere di N. P., Roma 1976.
Oltre ai 24 Capricci per violino solo (composti nel 1817), nel catalogo delle opere di Paganini spiccano soprattutto i lavori per violino e orchestra; fra di essi si segnalano, oltre alla Sonata ‘Napoleone’, i cinque Concerti (composti fra il 1816 e il 1830) e altre opere costruite sul principio del tema con variazioni come Le Streghe (1813), i lavori su temi tratti sia da Rossini (la Sonata a preghiera «Dal tuo stellato soglio», 1818-19, dal Mosè in Egitto; «Non più mesta», 1819, dalla Cenerentola; I palpiti, 1819, dal Tancredi) sia da altre opere (per es. la Sonata con variazioni Pria ch’io l’impegno, 1819, dall’Amor marinaro di Joseph Weigl, 1797) o su inni nazionali (come la Maestosa sonata sentimentale del 1828). Copiosa anche la produzione di musica da camera: 15 Quartetti per violino, viola, violoncello e chitarra, e altre musiche per violino e chitarra (fra cui 37 Sonate, 18 delle quali si trovano nel Centone di sonate, databile a dopo il 1828, conservato autografo a Roma, Biblioteca Casanatense) e 43 Ghiribizzi (1820) per chitarra sola.
Fonti e Bibl.: la figura e l’arte di Paganini sono diffusamente trattati nei Quaderni dell’Istituto di Studi paganiniani, Genova, 1972-2000, e successivamente nei quattro fascicoli monografici de La pagina e l’archetto, Genova, 2001-04. Per la ricostruzione documentaria delle vicende biografiche di Paganini sono fondamentali gli articoli di Z. Výborný, il cui fondo è descritto in M.R. Moretti, I fondi paganiniani di Pietro Berri e Zdeněk Výborný, Genova 2011. C. Gervasoni, Nuova teoria di musica ricavata dall’odierna pratica, Parma 1812, pp. 103, 121, 214 s.; C. Guhr, Über Paganini’s Kunst, die Violine zu spielen, Mainz [1830]; G. Imbert de Laphalèque, Notice sur le célèbre violoniste N. P., Paris 1830 ; G. Harrys, P. in seinem Reisewagen und Zimmer, Braunschweig 1830; L.F. L’Héritier, Some account of the celebrated violinist, N. P., London 1830; N. Paganini, [Autobiografia], in Allgemeine musikalische Zeitung, XXXII (1830), n. 20, coll. 324-327; J. Schottky, P.’s Leben und Treiben als Künstler und als Mensch, Prag 1830; F. Fayolle, P. et Bériot, in Courier de l’Europe, 9 giugno 1831; G.E. Anders, Biographical sketch of N. P., London 1831; H. Berlioz, Mémoires de Hector Berlioz comprenant ses voyages en Italie, en Allemagne, en Russie et en Angleterre, 1803-1865, Paris 1848 (disponibile all’indirizzo http://www. hberlioz.com/Writings/HBMindex.htm); A. Codignola, P. intimo, Genova 1935; M. d’Azeglio, I miei ricordi, a cura di Alberto M. Ghisalberti, Torino 1971, pp. 352 s.; D. Prefumo, P. e la chitarra, in Il Fronimo, 1978, n. 23, pp. 6-14; n. 24, pp. 6-15; C. Dahlhaus, Die Musik des 19. Jahrhunderts, Wiesbaden 1980, p. 111; P. Berri, P.: la vita e le opere, a cura di M. Monti, Milano 1982; G. Croll, Paganinis Konzerte in Wien, in Österreichische Musikzeitschrift, XXXVII (1982), pp. 675-684; Paganiniana: manifestazioni celebrative nel bicentenario della nascita di N. P., 1782-1982 …, a cura di M. Pavarani - M. Conati, Parma 1983; E. Porta, Il violino nella storia, Torino 2000, ad ind. (in partic. pp. 70-73); E. Neill, N. P. Il cavaliere filarmonico, Genova 1990; Fonti paganiniane a Genova, a cura di M.R. Moretti - A. Sorrento, in La pagina e l’archetto, Genova 2004; C. Cimagalli, N. P. e la burocrazia pontificia: nuovi documenti autografi relativi ai suoi concerti romani del 1827, inStudi musicali, XXXIII (2004), pp. 165-184; N. P.,Epistolario, a cura di R. Grisley, I, 1810-31, Milano-Roma 2006; II, in corso di pubblicazione; M.R. Moretti, Sei giorni di una tournée europea di N. P.: Kassel-Göttingen-Kassel, 25-30 maggio 1830, inRivista italiana di musicologia, XLI (2006), pp. 273-306; N. P.Diabolus in musica. Atti del convegno… La Spezia ..., 2009, a cura di A. Barizza - F. Morabito, Turnhout 2010, in particolare: M. Mainardi, P. e Milano, pp. 257-284 e R. Agresta, Les concerts de P. à Paris(1831), pp. 307-326; L. Sisto, Nuove fonti sulla biografia e l’attività di N. P.: Napoli 1816-1821, inStudi musicali, XXXVIII (2009), pp. 75-107; M. Kawabata, P., the ‘Demonic’ Virtuoso, Woodbridge 2013.