ORMANETTO, Niccolo
ORMANETTO, Niccolò. – Nacque a Verona tra la fine del 1515 e i primi mesi del 1516 da Francesco, notaio, e dalla sua terza moglie, Paola Bevilacqua.
Francesco e Paola ebbero quattro figli maschi: Niccolò, Federico, Avogadro e Battista, gli ultimi due morti in tenera età. Il padre morì, lasciando un ingente patrimonio alla famiglia, quando Niccolò aveva tredici anni. I figli furono affidati alla tutela dello zio Uberto Bevilacqua, di Agostino Maffei e di Alberto Zaccaria.
Ormanetto dovette ricevere una buona educazione letteraria e umanistica. Si avvicinò presto al circolo religioso e letterario del vescovo di Verona Gian Matteo Giberti, di cui facevano parte, tra gli altri, il suo segretario Marcantonio Flaminio, Adamo Fumano, Girolamo Fracastoro, Tullio Crispoldi, Galeazzo Florimonte e Francesco Berni. Fu Giberti a spingerlo a iscriversi, nel 1533, all’Università di Padova, dove si laureò in diritto civile e canonico il 5 gennaio 1538 e dove per un breve periodo insegnò imperatorias institutiones, ossia diritto pubblico romano durante l’età imperiale.
Nel 1540 Giberti lo richiamò a sé a Verona, affidandogli in diverse occasioni il compito di visitare la diocesi, tanto che da molti fu ritenuto, a torto, suo vicario. Il 14 febbraio 1540 risultava iscritto al Collegio dei giureconsulti di Verona, dove esercitò attivamente, in qualità di lettore. Il 10 novembre 1541 fu messa agli atti la sua prima lunga assenza: venne infatti mandato a Roma da Giberti, forse per portare all’approvazione di Paolo III le Constitutiones della diocesi, le Gibertine, poi approvate nel maggio 1542 (Turrini, 1974). In quegli anni si rafforzò notevolmente il legame con Reginald Pole, che Ormanetto aveva conosciuto a Padova e a Bovolone, residenza estiva del vescovo di Verona. Nel 1541, quando Pole venne nominato legato del Patrimonio di S. Pietro, Ormanetto figurava tra i membri della sua famiglia cardinalizia (Marcora, 1961, p. 228).
Dal 12 maggio al 5 dicembre 1543 fu di nuovo a Verona, partecipando al Collegio di giureconsulti. Tra il 1541 e il 1543 decise di prendere gli ordini e di puntare sulla carriera ecclesiastica. Nel dicembre 1543 ottenne da Giberti i due ricchi benefici ecclesiastici di Bovolone e Brentonico; il 3 dicembre 1543 venne nominato anche arciprete di Bovolone, mentre del beneficio di Brentonico non prese mai possesso. Pietro Bembo tentò invano, nel 1545, di intervenire a favore del suo «caro amico» Ormanetto, «fuor di ragione spogliato del possesso d’un beneficietto» (Opere del cardinale Pietro Bembo, Lettere, Milano 1810, V, p. 333).
Il 30 dicembre 1543, alla morte di Giberti, Ormanetto era al suo fianco. Prese possesso della parrocchia di Bovolone il 23 gennaio 1544 non personalmente, ma attraverso Paolo Firpo da Albenga, che, a partire dal 1546, fu cappellano e procuratore del vescovo Vittore Soranzo a Bergamo e poi coinvolto nel processo inquisitoriale di quest’ultimo (Marcora, 1961, p. 228; Firpo-Pagano, 2004, pp. 647 s., 1017). Tra il 1543 e il 1548, anno in cui tornò stabilmente a risiedere a Bovolone, dove compilò un dettagliato resoconto di terre, canoni, decime, non abbiamo documenti che permettano di attestare con sicurezza i movimenti di Ormanetto tra Bovolone, Verona, la corte di Pole a Viterbo e la Curia romana. Si sa che, insieme con Vincenzo Cicogna, Adamo Fumano, Giovan Battista Scali, fu tra i più accaniti difensori delle Costituzioni gibertine nel 1544, quando il capitolo del clero locale propose di fare appello alla S. Sede per abrogarle (Prosperi, 1969, pp. 177, 276) e che continuò a collaborare con i successivi vescovi di Verona: Pietro, Luigi e Agostino Lippomani, Girolamo Trevisano e infine Bernardo Navagero.
Di quegli anni è anche il carme con cui Flaminio (libro V, carme XXXV, Ad Nicolaum Ormanetum, in Carmina, a cura di M. Scorsone, Torino 1993, pp. 173 s.) lo invitava a lasciare i sontuosi palazzi romani e a smettere di logorare le panche dei tribunali per raggiungerlo nella quiete del lago di Garda. La stretta amicizia con Flaminio fu probabilmente uno dei molti canali che avvicinarono Ormanetto a Pole e al suo circolo spirituale. Ma non l’unico: tra Padova e Verona, Roma e Viterbo, ebbe modo di stringere amicizia e frequentare personaggi legati al circolo padovano di Bembo e poi a Pole come Alvise Priuli, Ludovico Beccadelli, Jacopo Sadoleto, nel cui palazzo fu a lungo ospitato. Conobbe allora Giovanni della Casa e consolidò l’amicizia, già iniziata negli anni padovani, con Donato Rullo, cui rimase sempre molto legato anche negli anni bui del processo inquisitoriale di quest’ultimo. Si avvicinò a esponenti di spicco del partito imperiale in Italia e a personaggi del calibro del cardinale Ercole Gonzaga, che lo volle accanto come segretario personale nel travagliato conclave del 1549, e Bernardo Navagero.
La sua fama di esperto giurista e la sua amicizia con Reginald Pole e il suo circolo doveva essere ampiamente consolidata quando, nel 1553 fu scelto, insieme con Alvise Priuli e il teatino Thomas Goldwell, per affiancare Pole, nominato da Giulio III legato pontificio alla corte della nuova regina d’Inghilterra Maria Tudor. A partire da quel momento Pole nelle sue missioni ufficiali e nei frangenti più delicati lo scelse come uomo di fiducia. Nel difficile viaggio verso l’Inghilterra, quando la missione di Pole venne ostacolata in tutti i modi da un sospettoso Carlo V, Ormanetto (che Pole in una lettera a Giulio III definiva «mio auditore benissimo informato d’ogni cosa, al quale V. S.tà si degnerà di prestar quella fede che presteria a noi medesimi», cit. in Nuntiaturberichte aus Deutschland, XV, 1981, pp. 166-169) fece la spola tra Bruxelles – dove Pole rimaneva in attesa di un lasciapassare imperiale che non arrivava – e Roma, illustrando al papa le forti resistenze sorte da parte imperiale alla missione pontificia in Inghilterra e lo spinoso problema delle restituzioni dei beni ecclesiastici.
La legazione sbarcò in Inghilterra solo dopo la celebrazione del matrimonio di Filippo e Maria, dando l’avvio, a fianco di religiosi della corte di Filippo quali Bartolomé de Carranza, Pedro de Soto e Alfonso de Castro a una delle fasi più controverse e sanguinose della storia inglese. Ormanetto, in qualità di ‘datario e abbreviatore’, consigliò Pole nella scelta di nuovi vescovi, fu collettore generale per l’Inghilterra e l’Irlanda e sovrintese all’istituzione di collegi per chierici con cui furono anticipate le future deliberazioni conciliari in materia di seminari. L’azione riformatrice, avviata dal gruppo in favore della restaurazione del cattolicesimo inglese, fu intensa. Tra la fine del 1555 e l’inizio del 1556, il Sinodo nazionale inglese votò un progetto di riforma, conosciuto con il nome di Reformatio Angliae, le cui costituzioni furono in gran parte suggerite dallo stesso Ormanetto, a partire dalle Costituzioni veronesi di Giberti. Più tardi, come collaboratore a Milano di Carlo Borromeo, Ormanetto gli consegnò un promemoria usato da Giberti per le visite pastorali «una notula delle cose che si ha da veder nelle visitationi che portava in mano il vescovo di Verona per suo memoriale, la quale in gran parte è scritta nella riforma d’Inghilterra, ridotta a miglior forma» (in Marcora, 1961, p. 445. Il documento, conservato in Arch. segreto Vaticano, arm. LXII [Concilio Tridentino], vol. 94, cc. 98-121v, è parzialmente riprodotto in Prosperi, 1969, pp. 205 s.). John Foxe identificò in Ormanetto la vera anima nera della sanguinosa repressione ereticale inglese e ne descrisse, in pagine dense di rabbia, la minuzia e lo zelo con cui volle registrare e porre in bella copia, come un notaio dell’inquisizione, le dichiarazioni che avrebbero condannato molti membri delle università e decretato la condanna dei resti di Martin Bucer e Paul Fagius, nonché della prima moglie dell’italiano Pietro Martire Vermigli, tra lo sconcerto degli inglesi (The Acts and Monuments, V, London 1563, pp. 1618-1630). Anche Priuli dovette riconoscere la superiorità giuridica di Ormanetto, sottolineando quanto «il nostro» Ormanetto tenesse saldamente le redini della riforma delle Università così come di «tutte le altre cose pertinenti alla Legatione» (Priuli a Beccadelli, Londra, 15 dicembre 1556, cit. in Quirini, 1757, V, p. 348).
Ma iniziarono a circolare anche in Inghilterra le prime voci di eresia sul cardinal Pole, che il 9 aprile 1557 venne sostituito con l’oscuro francescano William Petow, contro i voleri di Filippo e Maria. Nell’estate di quel difficile anno, richiamato a Roma e con un processo inquisitoriale pendente, Pole decise di affidare la sua difesa e una delicatissima mediazione con Paolo IV a Ormanetto, che tornò in Italia. L’esito positivo, o quanto meno interlocutorio, dell’incontro con papa Carafa si dovette probabilmente ai rovesci militari nella guerra contro la Spagna.
La missione di Ormanetto e le parole all’apparenza pacificanti di Paolo IV rappresentano un momento chiave e un nodo delicato nella vicenda di Pole e nella storia religiosa cinquecentesca, al punto da poter essere interpretate da Andrea Dudith (in Pole, Epistolae, Brescia 1744, I, pp. 1-65, in part. p. 47), e sulla sua scorta da Jacques-Auguste De Thou (Historia sui temporis, London 1733, I, p. 702) come una sorta di assoluzione da ogni sospetto di eresia su Pole. Lo stesso Antonio Caracciolo contraddittoriamente inseriva nella sua Vita di Paolo IV , in apertura del paragrafo dedicato a Pole (c. 9r), una nota in cui asseriva che Pole sarebbe stato sottoposto a purgatio canonica e assolto attraverso la missione di Ormanetto, per negare però, più avanti, ogni significato di questa missione ai fini dell’assoluzione (cfr. Firpo, 2005, pp. 401 s., 576).
Alla morte di Pole, nel novembre 1557, Ormanetto si ritirò di nuovo a Bovolone. Collaborò con i Lippomani, vescovi di Verona, il primo dei quali piuttosto vicino allo stesso Paolo IV, e osservò preoccupato da Bovolone un mondo che cambiava rapidamente e in cui il suo antico punto di riferimento, il carismatico Reginald Pole, diventava ormai eretico non solo per il suo vecchio nemico Carafa, ma anche per la corte del nuovo re di Spagna Filippo II.
Nella sua vita di Gian Matteo Giberti (in Jo. Matthaei Giberti, episcopi Veronensis, ... Opera, Verona 1740, p. LVIII) Pietro Ballerino sostiene che a Ormanetto fu offerto dal cardinal Alessandro Farnese il vescovato di Avignone, ma rifiutò. Tornò a vita pubblica nel 1563, come consigliere del cardinal Navagero, legato pontificio al Concilio di Trento, che aveva conosciuto nei suoi anni padovani. Il 29 maggio 1563 gli fu affidata un’altra missione delicata, quella presso Alberto, duca di Baviera, per dissuaderlo dal concedere ai laici la comunione del calice. La missione fu un successo e il prestigio di Ormanetto aumentò rapidamente e, da quel momento, la sua carriera ecclesiastica fu una continua ascesa.
Chiuso il Concilio di Trento, il 3 dicembre 1563 era a Verona a seguito di Navagero, cui suggerì di richiamare da Venezia Filippo Stridonio, già vicario di Giberti, per nominarlo vicario generale, e di tenere un sinodo, sotto sua supervisione, per imporre i decreti tridentini. Nello stesso 1563 Carlo Borromeo scrisse diverse lettere a Navagero per poter avere Ormanetto nella sua arcidiocesi di Milano. Nella primavera del 1564 Ormanetto era a Roma per prendere direttive da Borromeo e entrò a Milano ai primi di luglio come vicario dell’arcivescovo. Tra i suoi primi compiti vi furono l’erezione del seminario e la convocazione di un sinodo diocesano il 19 agosto 1564. Ancora prima di questo abbozzò un editto, che discusse con Borromeo, sull’onesta condotta che doveva tenere il clero, visitò, anche se in forma non ufficiale, le parrocchie di Milano e compilò un De officio parochi.
La condotta zelante e intransigente di Ormanetto suscitò proteste di ogni tipo, con memoriali anonimi e indignate proteste presso le autorità spagnole e la Curia romana. Particolarmente vivace fu la protesta delle monache, cui Ormanetto volle imporre nel confessionale lamine al posto delle grate. Come coadiutori nella riforma dei monasteri femminili richiamò a Milano i suoi vecchi compagni veronesi del circolo di Giberti Vincenzo Cicogna e Alberto Lino. L’impronta gibertiana nella vigorosa opera di riforma e repressione avviata in città fu evidente. Del resto, nella fitta corrispondenza con Borromeo, continue sono le comparazioni con l’attività pastorale di Giberti, nonché con quella di Pole in Inghilterra, con frequenti accenni in senso episcopalista alle facoltà giurisdizionali concesse e ottenute dai due prelati (le lettere di Ormanetto a Carlo Borromeo, che vanno dal 1564 al 1566, sono in Marcora, 1961, pp. 387-475).
Nel 1566 Pio V lo richiamò a Roma, nominandolo ‘riformatore generale’, carica che temporaneamente si sovrapponeva alle competenze del cardinal vicario Giacomo Savelli. Con lo stesso zelo e suscitando le stesse proteste che aveva provocato a Milano, Ormanetto portò avanti la sua personale riforma.
Attraverso una visita pastorale cercò di far tornare i vescovi non residenti alle loro diocesi, punì trasgressioni di ogni genere, impose una severa clausura ai conventi, tentò, inutilmente, di far gettare nel Tevere le statue di Pasquino e Marforio (Monticone, 1953). Come a Milano particolarmente violenta fu l’imposizione della clausura ai conventi femminili. Nel 1567 con il cardinale Francesco Alciati e il gesuita Francisco de Toledo fu incaricato di procedere all’esame di tutti i confessori delle chiese di Roma.
Nel dicembre 1566 l’amico Donato Rullo moriva nelle carceri dell’Inquisizione romana, nominandolo suo esecutore testamentario, dopo aver invano cercato di fargli consegnare una ‘poliza’ scritta di suo pugno, corrompendo il garzone dello speziale delle carceri che cercò Ormanetto nel suo palazzo romano (costituto del 12 marzo 1567, cit. in Firpo - Marcatto, 2000, p. 1309). Quell’antica e continua amicizia alimentò voci e nuovi sospetti di eresia, che non arrivarono però mai a scalfire la carriera di Ormanetto.
Nel 1570, dopo una segreta e aspra trattativa con lo Stato di Venezia, gli venne affidata la ricchissima diocesi di Padova. La stessa rigidità e intransigenza che aveva fatto conoscere a Milano e a Roma, manifestò a Padova, in particolar modo nella riforma dei monasteri femminili. Si rese inoltre protagonista di uno scontro piuttosto forte con l’Università e con i suoi studenti stranieri, in gran parte luterani (Preto, 1969)
Due anni dopo, nel 1572 ottenne l’incarico di nunziatura: nominato in un primo tempo nunzio straordinario, affiancò Giovan Battista Castagna, allora nunzio ordinario, e fu poi il suo sostituto. Arrivò a Madrid nell’agosto 1572.
La sua nomina a nunzio straordinario fu inizialmente pensata da Gregorio XIII per tentare di appianare i conflitti tra Francia e Spagna e impegnare le due potenze in quelle che allora considerava le due maggiori emergenze: la lotta contro i turchi e contro l’ormai eretica regina di Inghilterra Elisabetta I, stornando contemporaneamente l’appoggio che il re di Francia continuava a dare ai capi della rivolta nelle Fiandre. Il tentato matrimonio proposto dal papa tra il duca d’Anjou e una delle figlie di Filippo II occupò una parte consistente degli sforzi diplomatici di Ormanetto ma la pretesa esorbitante del re di Francia di una dote spagnola composta dal Regno di Napoli o dal ducato di Milano – che equivaleva nelle parole di Ormanetto stesso a chiedere una «stella del cielo» (Ormanetto al card. di Como, febbraio 1573, in Arch. segreto Vaticano, Spagna, 7, c. 18) – inficiò ogni trattativa. Invano tentò anche di spingere Filippo II a intraprendere la conquista dell’Inghilterra e a spostarsi nei Paesi Bassi per poter da lì intraprendere più facilmente l’impresa. Le enormi spese cui obbligava la ribellione delle Fiandre e il pericolo di risvegliare il risentimento del re cristianissimo impossibilitarono la realizzazione dei primi due progetti della S. Sede.
In cambio le contese giurisdizionali di Milano, che videro protagonisti dal 1573 Borromeo e il nuovo governatore del ducato Luis de Requesens y Zúñiga, commendatore maggiore di Castiglia, terminarono dopo dodici anni di costante lotta grazie alle mediazioni di Ormanetto, aiutato da un nunzio straordinario, Carlo Bescapé, chierico regolare di S. Paolo e più tardi vescovo di Novara, che Borromeo aveva inviato segretamente a Madrid (cfr. Prodi, 1963). Non riuscì invece a dirimere le controversie giurisdizionali a Napoli e in Sicilia, riannodate con estrema violenza nel 1573, tra il viceré Granvelle e l’arcivescovo di Napoli Mario Carafa.
La corrispondenza di Ormanetto abbonda di particolari anche sull’impressione prodotta in Spagna dalla morte dell’almirante Gaspard de Coligny e dalla notte di s. Bartolomeo; sugli abusi nell’amministrazione della cruzada, del subsidio e dell’excusado, sulle proteste dei nobili catalani contro l’excusado e di quelli di Valencia contro il subsidio; sulle istanze da parte di Roma perché si inviasse a Tunisi don Juan de Austria, sull’impegno del papa a concedergli il titolo di re di Tunisi e sull’opposizione di Filippo II; sugli eccessi contro la giurisdizione ecclesiastica in Catalogna e Aragona; sui contrasti tra l’arcivescovo di Siviglia e i vescovi di Pamplona e di Urgel contro i propri capitoli; sugli abusi giurisdizionali del S. Uffizio, sull’esplodere della cosiddetta eresia degli alumbrados e infine sulla riforma intrapresa dal nunzio degli ordini religiosi (francescani, premostratensi e carmelitani soprattutto ), per cui Gregorio XIII gli aveva concesso amplissimi privilegi (Il card. di Como a Ormanetto, 25 novembre 1575, in Arch. segreto Vaticano, Spagna, 14, s.n.).
Per quanto riguarda la penisola italiana la vittoria più eclatante fu forse il riconoscimento da parte di Filippo II del titolo di granduca di Toscana concesso ai Medici da Pio V, riconoscimento che arrivò nel dicembre 1575 dopo cinque anni di vani sforzi diplomatici. Un ruolo fondamentale il nunzio giocò anche nella pacificazione di Genova, cui intervenne insieme con il cardinal Giovanni Morone.
L’ultimo dispaccio firmato da Ormanetto porta la data del 31 maggio 1577. Morì a Madrid il 17 o 18 giugno di quell’anno.
Corredo e oggetti personali furono venduti e la somma di 10.000 reali fu divisa tra le sorelle Francesca, Caterina, Anna e il nipote Gasparo, figlio del fratello Federico, defunto. Esecutore testamentario fu il vescovo di Vicenza Michele Priuli che fece redigere un atto il 29 gennaio 1580.
Fonti e Bibl.: Città del Vaticano, Arch. segreto Vaticano, Segreteria di Stato, Spagna, 7, 8, 10, 14, 16; ibid., arm. LXII (Concilio Tridentino), vol. 94, cc. 98-121v; Bergamo, Biblioteca civica Angelo Mai, Archivio Silvestri, Carte Stella, b. 40; Milano, Arch. storico diocesano, cart. uff. LXXVII: Memoriale per l’honesto vivere di Milano; Ibid., Bibl. Trivulziana, cod. 1132, VI, cc. 5v-6r (istruzioni dei legati a N. O. per la missione in Baviera); Verona, Arch. della Curia, Extraordinarium (1579-1588): Esecuzione del testamento di N. O. [pubblicato in G. Mantese, A proposito del testamento di N. O., in Rivista di Storia della Chiesa in Italia, XIV(1960), 1, pp. 121 s.]; G. Quaini, Oratio gratulatoria in adventu Rev.mi D. Domini N. O. Episcopi Patavini, Meiettos, Patavii 1572. La vita di Ormanetto scritta dal nipote Gian Battista Tinto è conservata manoscritta in Arch. di Stato di Verona, Archivio Malaspina (pubblicata in appendice a C. Romanoni, Mons. N. O. e l’opera da lui svolta per l’attuazione della riforma cattolica nel secolo XVI, tesi di laurea, Magistero di Maria S.S. Assunta, Roma a.a. 1945-46); G. Quirini, Epistolae Reginaldi Poli et aliorum ad ipsum, Brescia 1757, V, p. 348; Monumenti di varia letteratura tratti dai manoscritti originali di mons. Lodovico Beccadelli, arcivescovo di Ragusa, a cura di G. Morandi, I, 2, Bologna 1797, p. 319; Nuntiaturberichte aus Deutschland nebst ergänzenden Aktenstücken, XIV, Nuntiatur des Girolamo Muzzarelli. Sendung des Antonio Agustin. Legation des Scipione Rebiba. (1554-1556), a cura di H. Lutz, Tübingen 1971, p. 94; ibid., XV, Friedenslegation des Reginald Pole zu Kaiser Karl V. und König Heinrich II. (1553-1556), a cura di H. Lutz, Tübingen 1981, pp. 166-169; M. Firpo - D. Marcatto, I processi inquisitoriali di P. Carnesecchi (1557-1567): Il processo sotto Pio V, 1566-1567, Città del Vaticano 2000, III, p. 1309; M. Firpo - S. Pagano, I processi inquisitoriali di Vittore Soranzo (1550-1558), Città del Vaticano 2004, pp. 647 s., 1017; M. Firpo - D. Marcatto, Il processo inquisitoriale del cardinal Giovanni Morone, n. ed., I: Il processo d’accusa, con la collaborazione di L. Addante - G. Mongini, Roma 2011, pp. XLIII, 212. Per la bibliografia su Ormanetto: F. Carini, Monsignor N. O., veronese, vescovo di Padova, nunzio apostolico alla corte di Filippo II, re di Spagna 1572-1577, Roma 1894; R. de Hinojosa, Los despachos de la diplomacia pontificia en España. Memoria de una misión oficial en el Archivo Secreto de la Santa Sede, I, Madrid 1896, passim; C. Robinson, N. O. A papal envoy in the sixteenth century, London 1920; A. Monticone, L’applicazione a Roma del Concilio di Trento: le visite del 1564-1566, inRivista di storia della Chiesa in Italia, II (1953), pp. 225-250; E. Cattaneo, Influenze veronesi nella legislazione di s. Carlo Borromeo, in Problemi della vita religiosa in Italia nel Cinquecento, Padova 1960, pp. 123-166; C. Marcora, N. O., vicario di s. Carlo (giugno 1564-giugno1566), in Memorie storiche della diocesi di Milano, VIII (1961), pp. 209-590; P. Prodi, S. Carlo Borromeo e le trattative tra Gregorio XIII e Filippo II sulla giurisdizione ecclesiastica, in Rivista di Storia della Chiesa in Italia, LXXV (1963), pp. 195-240; P. Preto, Un aspetto della riforma cattolica nel Veneto: l’episcopato padovano di N. O., in Studi veneziani, XI (1969), pp. 325-363; A. Prosperi, Tra evangelismo e controriforma G.M. Giberti (1495-1543), Roma 1969, pp. 177, 205 s., 276 ; L. Turrini, L’O., dalla Canonica di Bovolone alla corte di Madrid, Verona 1974; S. Carlo Borromeo.Catholic reform and ecclesiastical politics in the second half of the sixteenth century, a cura di J.M. Headley - J.B. Tomaro, Washington 1988, ad ind.; I. Fernández Terricabras, El nuncio N. O. y la reforma de las órdenes religiosas en tiempo de Felipe II, in Madrid, Felipe II y las ciudades de la monarquía, III, a cura di E. Martínez Ruiz, Madrid 2000, pp. 321-332; W. de Boer, La conquista dell’anima. Fede, disciplina e ordine pubblico nella Milano della Controriforma, Torino 2004, pp. 15 s., 21 s., 37 s., 72 s.; M. Firpo, Inquisizione romana e Controriforma. Studi sul cardinal Giovanni Morone (1509-1580) e il suo processo d’eresia, Brescia 2005 (I ed., Bologna 1992), pp. 401 s., 576.