MARCACCI, Niccolò
Figlio di Pasquale, nacque a San Casciano nell'arcidiocesi di Pisa il 22 luglio 1739.
Si laureò in teologia a Pisa nel 1762 e, poco dopo la consacrazione sacerdotale, fu eletto preposto della collegiata di Pontedera. Il 4 marzo 1770 ebbe la nomina a vescovo di Borgo San Sepolcro, dove prese possesso della cattedrale il 16 apr. 1771.
Il M. cominciò il suo ministero negli anni in cui in Toscana il granduca Pietro Leopoldo di Asburgo Lorena era impegnato in una forte e generale azione riformatrice: particolarmente incisiva fu quella operata, in accordo con Scipione de' Ricci vescovo di Pistoia e Prato dal 1780 e giansenista, in materie ecclesiastiche. Fu proprio il M. che il 28 ag. 1773 dovette notificare ai gesuiti di Borgo San Sepolcro il contenuto del breve Dominus ac Redemptor, con cui Clemente XIV sopprimeva la Compagnia di Gesù, e prendere possesso dei loro beni; in realtà il granduca si appropriò di un'ala dell'ex collegio per adibirlo a scuole pubbliche, mentre il vescovo si limitò a occupare la parte rimanente per il seminario. Come vescovo di Borgo San Sepolcro il M. effettuò due visite pastorali, anche se, probabilmente, non portò a termine la seconda, iniziata il 15 giugno 1777; stabilì inoltre che il celeberrimo Volto santo (antico e monumentale crocifisso ligneo rappresentante il Cristo triumphans), custodito fino al 1770 nella pieve di S. Maria (oggi S. Agostino), venisse definitivamente spostato nella cattedrale, dove ancora si trova.
Nel 1778 il M. fu nominato vescovo di Arezzo in sostituzione di Angiolo Franceschi chiamato all'arcidiocesi di Pisa. Arrivato ad Arezzo il 24 giugno 1779, un manifesto anonimo lo esortò a non essere troppo rigoristico e lo ammonì che "se de la cittade / brama restare amico / la nobiltà rispetti / e prenda stile antico" (Cristelli, 1996, p. 188). Se il M. incontrò difficoltà a imporre la sua politica religiosa, poteva, però, contare sull'aiuto di Pietro Leopoldo, che già nel 1781, nell'esprimere giudizi negativi sulla nobiltà e sul clero aretini, aveva aggiunto che il vescovo non era soddisfatto del suo vicario Valerio Subiano ed era "un poco scoraggito di tutte le inquietudini che gli causa il paese", nobiltà e canonici in testa, tanto che "non ha quasi più il coraggio di correggerli né di castigarli come meriterebbero" (Relazioni…, II, pp. 530 s.). Gli scontri del vescovo con i suoi canonici furono certamente determinati dal fatto che gli uni non condividevano la politica granducale, mentre l'altro ne seguiva il riformismo illuminista. I contrasti si acuirono intorno ad alcune questioni particolari, come la soppressione della Congregazione detta di Murello, che avrebbe dovuto essere mutata, secondo le intenzioni del M., sostenute dallo stesso granduca, dalle ormai decadute funzioni di ospitalità e assistenza per il clero, in una struttura per gli esercizi e l'educazione dei preti.
Nel 1782 la segreteria di Stato comunicò al M., tramite il vicario generale del granduca, che il preposto Subiano, fino a nuovo ordine, era stato relegato a Volterra, nel convento di S. Vivaldo dei padri zoccolanti. In quell'occasione il granduca, nel ribadire la propria insoddisfazione per il comportamento del clero aretino, richiedeva la convocazione dei canonici dei capitoli della cattedrale e della pieve di S. Maria, che avevano creato le maggiori difficoltà, per ricordare loro "l'obbedienza, la sommissione, ed il rispetto al Vescovo" e per far presente che, in caso contrario, sarebbero stati mandati "subito a Firenze, di dove si faranno da S. A. R. relegare o a Volterra, o a Portoferraio" (Arezzo, Biblioteca Città di Arezzo, Mss., 25, gennaio 1782). In accordo con le linee dell'azione riformatrice, la fabbrica di Murello fu alla fine chiusa; similmente fu soppressa una lunga serie di conventi, monasteri e compagnie religiose laicali, e, seppure con lentezza e difficoltà, fu aperto il nuovo camposanto e furono scoraggiate le "esteriori devozioncelle" e l'"accatto del purgatorio", che il granduca voleva servisse non per le anime dei defunti, ma per fini di assistenza ai poveri. L'accordo tra il M. e il granduca è testimoniato anche dalla lettera pastorale dell'8 apr. 1785, con cui si annunciava la chiusura delle vecchie compagnie per costituirne di nuove senza beni propri e operanti all'interno delle singole parrocchie, contemporanea a quelle analoghe di altri vescovi toscani.
L'atteggiamento collaborativo del M., così come della gran parte dei vescovi toscani, cessò dopo questa data, probabilmente a seguito delle riforme sempre più radicali attuate da Scipione de' Ricci, culminanti nel sinodo giansenista di Pistoia (18-28 sett. 1786) e di un breve in "forma di monitorio" inviato da Pio VI al granduca. Il 26 genn. 1786 Pietro Leopoldo chiese ai vescovi di rispondere su cinquantasette "punti ecclesiastici", nel primo dei quali egli evidenziava la necessità che i vescovi adunassero un sinodo diocesano almeno ogni due anni. La richiesta pervenne in un clima generale profondamente mutato: dalle risposte dei vescovi, comprese quelle del M., apparve chiaro che la maggioranza di loro non avrebbe accettato soluzioni gianseniste, né una presa di distanza dal pontefice romano. I sinodi diocesani non furono più sollecitati; lo stesso M., pur rispondendo ai cinquantasette punti, non tenne il sinodo che aveva convocato. Tra il 23 aprile e il 5 giugno 1787, si svolse a Firenze un'assemblea dei vescovi, articolata in diciannove sessioni, propedeutica a un concilio toscano.
Furono discussi i punti indicati dal granduca, altre sei memorie del sinodo di Pistoia, e ogni vescovo scrisse le proprie obiezioni a una lettera pastorale del presule giansenista di Chiusi e Pienza, Giuseppe Pannilini, già genericamente censurata da Pio VI. Nel corso dell'assemblea, con toni molto accesi si fronteggiarono quattro vescovi della minoranza giansenista guidata da Scipione de' Ricci e appoggiata dal granduca e gli altri quattordici capeggiati dagli arcivescovi di Firenze e di Pisa, Antonio Martini e Angiolo Franceschi. Il M. si schierò sempre con la maggioranza, scrivendo anch'egli alcune osservazioni contro la pastorale del Pannilini. Insieme con altri nove vescovi contribuì alla stesura della memoria LIII, nella quale essi si schierarono con decisione a favore della supremazia pontificia, asserendo di aver provato il "diritto radicale nel Primate di limitare l'esercizio dell'Autorità dei Vescovi, secondo le necessità, ovvero l'utilità della Chiesa" (Tanzini, II, p. 465).
A margine di quell'assemblea il vescovo d'Arezzo era stato incaricato di lavorare con i colleghi di Borgo San Sepolcro e di San Miniato su una riforma degli studi, causa di molte discussioni, che avrebbe dovuto occuparsi dei testi da adottare nei seminari, lavoro che non fu portato a termine, perché il concilio toscano per il quale doveva essere predisposto non si tenne.
Tra le varie istanze promosse dal giansenismo c'era quella relativa alla centralità della dottrina di s. Agostino in opposizione alla filosofia e teologia della scolastica. Il dibattito sul pensiero di s. Agostino ebbe un'eco anche tra il clero aretino. Il 3 luglio 1788, in S. Bernardo, soppresso convento degli olivetani dove il M. aveva aperto un'accademia ecclesiastica, si tenne una disputatio in seguito alla quale uscì un volume che ne documentava gli atti (Gratia Dei et Salvatoris nostri Iesu Christi ad mentem magni Augustini exposita atque adversus antiquos et hodiernos ipsius inimicos… publice propugnata… in ecclesia d. Bernardi anno 1788, Arezzo 1788). Quando l'opera fu pubblicata, la maggioranza dei vescovi toscani, di cui il M. era parte attiva, aveva già sconfitto la minoranza giansenista e aveva fatto sentire la sua voce in merito all'esigenza di unire al pensiero di s. Agostino quello di s. Tommaso.
Nel 1795 Arezzo fu al centro di una sommossa contro il carovita e il M., che altre volte si era dimostrato sensibile ai problemi sociali, intervenne presso le autorità civili per il perdono degli arrestati.
In anni turbolenti per motivi religiosi e sociali, a partire dal 1° febbr. 1796 la città fu scossa da terremoti che terrorizzarono la popolazione. Il 15 febbraio tre artieri aretini che si intrattenevano nella cantina dei padri eremiti camaldolesi e la cantiniera asserirono di aver visto una modesta terracotta raffigurante la Madonna, copia di quella che si venera nella chiesa di S. Maria in Provenzano a Siena, annerita e sporcata dal "fumo e dai vapori umidi ed untuosi che si sprigionavano dal sottostante focolare" divenire "bianca e candidissima più della neve" (Coradeschi, p. 34). Si gridò al miracolo, tanto più che i terremoti cessarono. Dopo averla visitata, il M. fece traslare la sacra immagine in cattedrale (non senza qualche polemica con i camaldolesi che ne rivendicavano la proprietà) e aprì un processo in cui furono verbalizzate le dichiarazioni degli artieri e della cantiniera, le deposizioni sulle prodigiose guarigioni avvenute nei giorni e mesi successivi, insieme con le notizie sulle molte conversioni testimoniate dalle numerose "confessioni generali e particolari" (Albergotti, 1800, II, p. 68). Con una solenne cerimonia e un panegirico del futuro vescovo di Comacchio, Gregorio Boari, già predicatore per la quaresima nel febbraio precedente, il 19 giugno dello stesso anno alla venerata immagine fu dato il nome di Madonna del Conforto (Cristelli, 2004, p. 365). Come prosecuzione dello scontro sul giansenismo, è opportuno ricordare che Scipione de' Ricci nelle sue Memorie non risparmiò critiche al M. e a Ferdinando III, il moderato granduca succeduto a Pietro Leopoldo, per aver permesso l'innalzamento della cappella dedicata alla Madonna, perché "lo scandaloso fanatismo di quella immagine", secondo il vescovo di Pistoia, fu il segnale dell'insorgenza antifrancese del 1799 (de' Ricci, p. 294).
Tra le molte opere del M. si ricordano nel 1781 l'iniziativa volta a promuovere la coltivazione del tabacco, con sovrana autorizzazione, nella contea vescovile di Cesa; nel 1783, all'interno della cattedrale di Arezzo, fece spostare dalla cappella del Sacramento il monumentale cenotafio del vescovo Guido Tarlati (morto nel 1327) facendolo collocare presso la porta della sacrestia dove ancora si trova; all'interno della stessa cattedrale diede l'avvio ai lavori della sontuosa cappella dedicata alla Madonna del Conforto, opera dell'architetto G. Del Rosso, terminati dal suo successore, il vescovo A. Albergotti.
Il M. morì ad Arezzo il 1° genn. 1799.
Il suo monumento funebre, posto nella cappella della Madonna del Conforto, opera di Stefano Ricci, allievo di A. Canova (1804), lo rappresenta mentre addita la sacra immagine.
Fonti e Bibl.: Sansepolcro, Arch. vescovile, Acta episcopalia, vol. III, f. 1, c. 197; Carteggio di mons. Costaguti (lettere del M.), cc. 3-243; Rescritti e decreti dell'ordinario e sua curia dal 1751 al 1779, f. IV, 1771-1778; Visite pastorali dal 1750 al 1777, cc. 239-327; Arezzo, Biblioteca del Seminario vescovile, lettere pastorali del M. (12 maggio 1779; 4 genn. 1781; 1° marzo 1784; 8 apr. 1785; 1° marzo 1787; 15 genn. 1793; 25 luglio 1795); Ibid., Arch. capitolare, Necrologio della santa cattedrale aretina, cc. 48v-49r; Visita pastorale (1779-89); Seconda visita pastorale (1795), f. 29; Governo, ff. IX (1773-83), X (1784-92); XI (1792-97); XII (1798-1802); Documenti relativi allo scuoprimento dell'immagine di Maria ss.ma del Conforto avvenuto nel 15 febbr. 1796; L. Lallini, Memorie dei vescovi aretini, cc. 353-360; Arch. di Stato di Arezzo, A. Albergotti, Cronologia sacra de vescovi della S. Chiesa aretina, V, Memorie di N. M. vescovo di Arezzo dall'anno 1778 all'anno 1799, cc. 879-958; Fondo Albergotti, Cappella di Maria ss.ma del Conforto. Memorie dall'anno 1802 all'anno 1825, Brevissimo estratto del processo compilato ad ordine di mons. vescovo N. M. sull'immagine di Maria del Conforto in Arezzo; Arezzo, Biblioteca Città di Arezzo, Documenti relativi allo scoprimento di Maria Ss. del Conforto; Mss., 24: I. Albergotti - L. Albergotti, Memorie, quaderni II e III passim; 25: I. Albergotti - L. Albergotti - A. Albergotti, Memorie, quaderni A-G, passim; F. Coradini, I vescovi della diocesi aretina, cc. 148v-149r; Punti ecclesiastici compilati e trasmessi da Sua Altezza Reale a tutti gli arcivescovi e vescovi della Toscana e respettive risposte, Firenze 1787, pp. 409-454; R. Tanzini, Atti dell'assemblea degli arcivescovi e vescovi della Toscana tenuta in Firenze nell'anno 1787, Firenze 1788, I, passim; II, pp. 423-467; III, pp. 432-443; IV, pp. 150-159; V, pp. 1-15; Pietro Leopoldo, Relazioni sul governo della Toscana, a cura di A. Salvestrini, I-III, Firenze 1969-74, ad ind.; Lettere di Scipione de' Ricci a Pietro Leopoldo 1780-91, a cura B. Bocchini Camaiani - M. Verga, II, Firenze 1992, p. 875; Lettere di vescovi e cardinali a Scipione de' Ricci, a cura di C. Lamioni, Pistoia 1988, ad ind.; G.A. Angelucci, Degli avvenimenti nella città di Arezzo dal dì primo febbraio fino a tutto il dì XXII maggio dell'anno 1796, Arezzo [1799]; S. de' Ricci, Memorie, I, Firenze 1865, pp. 291-294, 504; A. Albergotti, Il culto di Maria… nella sposizione storica degli avvenimenti successi in Arezzo dal mese di febbraio del 1796…, Lucca 1800, I, pp. 159-183, II, pp. 46-102; Id., Maria Ss. del Conforto o sia descrizione della sua prodigiosa immagine…, Lucca 1824; A. Zobi, Storia civile della Toscana, III, Firenze 1851, pp. 150-154, 310; E.A. Brigidi, Giacobini e realisti o il Viva Maria, Siena 1882, pp. 303-308; A. Lumini, La reazione in Toscana nel 1799, Cosenza 1891, pp. 117-119, 131 s.; U. Leoni, La storia d'Arezzo, II, Arezzo 1897, pp. 105-114; A. Ramini, Il 1799 in Toscana, Reggio Emilia 1906, pp. 47-49; R. Cantagalli, La disputa per la Madonna del Conforto tra il clero aretino e i frati di Camaldoli nel 1796, Siena 1962; E. Coradeschi, L'insorgenza aretina del "Viva Maria", Arezzo [1965], pp. 19-44: C. Cannarozzi, I collaboratori giansenisti di Pietro Leopoldo granduca di Toscana, in Rassegna storica toscana, XII (1966), 1, p. 15; E. Agnoletti, I vescovi di Sansepolcro, II, Sansepolcro 1973, pp. 183-193, 217-220; M. Pieroni Francini, Un vescovo toscano tra riformismo e rivoluzione, mons. Gregorio Alessandri (1776-1802), Roma 1977, pp. 58, 174 s., 189; C. Nassini Martinelli, Economia e società nell'Aretino fra XVIII e XIX secolo, in Arezzo tra rivoluzione e insorgenze: 1790-1801…, a cura di I. Tognarini, Arezzo 1982, pp. 37-43; G. Fenzi, Movimenti e lotte politiche nell'Aretino dal 1790 al 1801, ibid., pp. 59-67; A. Tafi, I vescovi di Arezzo, Cortona 1986, pp. 165-167; S. Pieri, La Madonna del Conforto, cronaca dell'evento, in Mater Christi… (catal., Arezzo), a cura di A.M. Maetzke, Cinisello Balsamo 1996, pp. 85-87; F. Cristelli, N. M. vescovo di Arezzo (1778-99), in Atti e memorie della Accademia Petrarca di Arezzo, LVIII (1996), pp. 185-223; G. Turi, "Viva Maria". Riforme, rivoluzione e insorgenze, Bologna 1999, p. 152; F. Cristelli, Gregorio Boari, Arezzo e gli Aretini, in Atti e memorie della Accademia Petrarca di Arezzo, LXVI (2004), pp. 359-372; A. Bacci, La Chiesa aretina e il Viva Maria, in "Digitus Dei est hic!" Il Viva Maria di Arezzo: aspetti religiosi, politici e militari (1799-1800). Atti del Convegno…, Arezzo… 2000, a cura di O. Sanguinetti, Milano 2004, pp. 151-170; S. Gallorini, Le mistificazioni del Viva Maria aretino, ibid., pp. 177, 180.