LUDOVISI, Niccolò
Nacque a Bologna nel 1610 da Orazio e Lavinia Albergati. Lo zio paterno, il cardinale Alessandro Ludovisi, fu eletto pontefice il 9 febbr. 1621, prendendo il nome di Gregorio XV. Il L., trasferitosi a Roma con i genitori, fu nominato già il 9 marzo seguente governatore di Borgo e poco dopo castellano di Castel Sant'Angelo (carica per la quale prestò giuramento il 17 marzo 1621). Seguì la nomina a castellano di Civita Castellana, piccolo centro a nord di Roma.
Da questi titoli, usualmente assegnati ai nipoti laici dei papi, il L. ricavava rendite cospicue (un mensile di circa 610 scudi solo per la carica di castellano di Castel Sant'Angelo, che esercitò attraverso supplenti). Egli poteva contare anche su una provvigione annuale di 300 scudi d'oro proveniente dall'Università di Bologna e su una pensione di 1000 scudi d'oro dal vescovo di Como. Il pontefice gli assegnò, inoltre, un certo numero di uffici vacabili della Curia romana, che davano rendite stabili. Infine, con un chirografo del 20 apr. 1621, gli fece donazione di tutte le proprietà di cui era entrato in possesso da cardinale.
Le ipotesi di un matrimonio del L. apparvero presto un punto qualificante delle strategie di affermazione della nuova famiglia papale insediatasi a Roma. Nel luglio 1621 sembrava probabile un parentado con una sorella di Pietro Altemps, secondo duca di Gallese, che aveva circa 100.000 scudi di dote, o con una figlia del connestabile Filippo Colonna. Invece, le trattative furono avviate con la famiglia Gesualdo, principi di Venosa. Isabella Gesualdo, infatti, a soli dieci anni di età era una delle eredi più ricche d'Italia, con entrate stimate in più di 40.000 scudi all'anno. I negoziati furono lunghi e difficili, con intensi contatti diplomatici fra Roma, Napoli e Madrid. Fu superata l'opposizione di un ramo della famiglia Gesualdo che avrebbe potuto legittimamente subentrare nella linea di discendenza maschile e fu guadagnata l'esplicita approvazione da parte del re di Spagna Filippo IV. Infine, giunta l'11 apr. 1622 la dispensa per l'età dei due fanciulli (12 anni Niccolò, 11 anni Isabella), il 24 aprile furono firmati gli accordi matrimoniali. Il 1( maggio il nunzio Giovanni Battista Pamphili (futuro papa Innocenzo X) officiò il rito nuziale a Caserta, dove il L. fu rappresentato per procuratorem. La sposa fece il suo ingresso a Roma solo la sera del 23 novembre, accompagnata dalle principali dame dell'aristocrazia romana. Seguì una cerimonia solenne nella cappella Sistina il 30 nov. 1622.
La coppia ebbe una sola figlia, Lavinia, che nacque nel 1628. L'anno seguente Isabella morì, all'età di 18 anni, e il L., contrastando le aspirazioni di un diverso ramo dei Gesualdo a subentrare nella linea ereditaria, ottenne (mediante il pagamento di 42.000 scudi alla Regia Camera di Napoli) l'investitura del principato di Venosa per sé, i suoi eredi e i successori. Presto, per il giovane L. furono avanzate diverse proposte di matrimonio; la scelta cadde su Polissena Mendoza Appiani d'Aragona, principessa ereditaria di Piombino e dell'isola d'Elba, luoghi appartenuti sin dal XIV secolo alla famiglia Appiani e sottoposti alla sfera di influenza degli Asburgo. Il matrimonio fu celebrato nel 1633 e l'anno seguente il L. ricevette dall'imperatore Ferdinando II l'investitura di Piombino (21 apr. 1634); per l'infeudazione egli dovette corrispondere alle casse imperiali un pagamento assai ingente, tra gli 800.000 e 1.200.000 fiorini. A seguito della morte della figlia Lavinia (dicembre 1634), il L. subì tra il 1634 e il 1635 la confisca di Venosa, da parte del viceré di Napoli, Manuel de Zúñiga y Fonseca conte di Monterrey. Il riscatto e la formale acquisizione del patrimonio dei Gesualdo, che comprendeva più di trenta città, terre e casali in diverse zone del Regno (Principati Citra e Ultra), costarono al L. 450.000 ducati. Con Fiano (ereditata dal padre Orazio), Zagarolo (ereditata dal fratello, il cardinale Ludovico nel 1632), Venosa e Piombino, egli governava un ricco insieme di territori, molto articolato, ma certamente di grande importanza dal punto di vista strategico ed economico. Quanto allo schieramento politico, il L. appariva integrato nel sistema di alleanze intessuto in Italia dalla corte di Madrid.
Rimasto di nuovo vedovo nell'agosto 1642 senza avere avuto discendenza - Filippo Gregorio, il figlio avuto da Polissena Mendoza, era morto in fasce - il L. sposò Costanza Pamphili, figlia di Pamphilio e Olimpia Maidalchini e nipote di Innocenzo X, eletto papa il 15 sett. 1644. Le nozze furono celebrate dal pontefice il 21 dicembre e festeggiate con un banchetto tenuto in via eccezionale all'interno del palazzo del Vaticano.
Il matrimonio della nipote del pontefice con il L. era un aperto segnale delle simpatie di Innocenzo X verso il re Cattolico. Il L. ne approfittò per tentare di entrare nel più stretto entourage papale, stringendo legami soprattutto con Camillo Pamphili, nominato prima generale di Santa Chiesa, poi nel 1650 cardinale nipote. La posizione di primo piano del L. apparve evidente in occasione della crisi tra il papa e i cardinali filofrancesi Antonio e Francesco Barberini, nipoti del defunto Urbano VIII. Il L., tra il 1644 e il 1645, moltiplicò le pressioni su Camillo Pamphili, suggerendo l'avvio di una formale messa in stato di accusa dei due cardinali per la gestione dell'Erario durante il precedente pontificato. Tuttavia, le sue trame dovevano scontrarsi con la crescente attitudine del papa a un accomodamento, mentre nuovi impegni lo portavano lontano da Roma.
Il L. fu nominato capitano generale della flotta pontificia il 4 maggio 1645 e ricevette dal papa lo stendardo con le chiavi di S. Pietro nel concistoro del 16 luglio 1645. Non si trattava di un incarico onorifico come quelli avuti in tenera età sotto Gregorio XV, ma di un impiego effettivo: Innocenzo X, dopo l'avvio della guerra tra i Turchi e i Veneziani per l'isola di Candia, aveva deciso di inviare in soccorso dei Veneziani la propria armata navale, insieme con le squadre delle navi fiorentine, napoletane e maltesi. Il L. si imbarcò a Civitavecchia nel luglio 1645 diretto a Messina, dove si sarebbe concentrata l'intera flotta. Quindi, presone il comando, fece vela verso Zante dove si trovavano le galere veneziane. Completato lo schieramento, le navi cristiane si diressero verso il golfo di Suda (a Creta), dove avrebbero stabilito la base: l'obiettivo era assalire la flotta turca in porto alla Canea, ma i preparativi furono troppo lenti e nulla ottennero gli attacchi lanciati il 16 e il 28 sett. 1645. Un ultimo, vano tentativo fu operato il 1( ottobre; quindi le navi pontificie fecero vela per l'Italia e l'8 nov. 1645 rientrarono nel porto di Civitavecchia. L'abbandono della guerra all'inizio dell'autunno fu molto criticato e fece nascere negli osservatori il sospetto che il L. non tollerasse di rimanere troppo a lungo lontano dalla corte pontificia, dove i contrasti con Parigi conoscevano una fase piuttosto acuta.
Il cardinale G. Mazzarino, ministro del re di Francia, appariva deciso a riaprire il confronto per insidiare l'egemonia spagnola in Italia e nel 1646 promosse due spedizioni navali francesi contro lo Stato dei Presidi. La prima iniziativa militare francese (tra maggio e luglio) si spense nel tentativo di conquistare Orbetello, poco più a nord del confine dello Stato ecclesiastico: il L. inviò in questa occasione contingenti armati a sue spese in soccorso degli Spagnoli. La seconda spedizione, a fine estate dello stesso 1646, investì in pieno i possessi del L. e Piombino cadde l'8 ottobre (seguita poco dopo dal presidio spagnolo di Portolongone, sull'isola d'Elba). I Francesi lasciarono il L. nominalmente principe di Piombino, tentando di allontanarlo dalla fazione spagnola di Roma e di consolidare il miglioramento dei rapporti con il papa dopo che, nelle stesse settimane, si erano appianati i suoi attriti con i Barberini; ma il L. si mantenne fedele alla Corona di Spagna, anche al costo di perdite economiche rimarchevoli (valutate in 100.000 ducati annui). Proprio per ribadire la forza dei legami con Madrid, il L. partecipò alla reazione spagnola alla rivoluzione napoletana del 1647, inviando uomini e mezzi finanziari a sostegno di don Giovanni d'Austria viceré di Napoli. Addirittura, il 28 giugno 1648, non essendo a Roma l'ambasciatore di Spagna, il L. si incaricò di presentare al papa l'omaggio feudale per il Regno di Napoli (la cosiddetta chinea).
In virtù della fedeltà al re Cattolico, il 28 apr. 1649 fu infeudata al L. Salerno. Ne scaturirono forti proteste nella città campana, che da circa cinquant'anni era territorio demaniale: il L. poté fregiarsi solo nominalmente del titolo di principe di Salerno. Nell'autunno successivo, nel Regno di Napoli iniziarono i preparativi per la riconquista di Piombino, ancora in mano francese. Le operazioni occuparono i mesi tra maggio e agosto 1650, mentre la Francia era scossa dai disordini della Fronda. Sotto il comando di don Giovanni d'Austria, Piombino e Portolongone furono assediate e conquistate. Il L. inviò all'armata in formazione un contingente di 1000 fanti e 300 cavalieri, che parteciparono alle operazioni: un'ulteriore prova di servizio per la Corona di Spagna allo scopo di superare le opposizioni a un definitivo insediamento come signore feudale di Salerno. Gli sforzi furono vani. Il 6 giugno 1651 la giunta di Stato madrilena risolse in favore dei ricorrenti e, pur ricordando i meriti del L., decise di lasciare Salerno nelle terre demaniali del Regno di Napoli. Il L. tentò ancora nel 1653 di ottenerne l'investitura, insieme con i risarcimenti per l'occupazione francese di Piombino: le richieste non ebbero però alcun esito. L'incidente non inficiò i rapporti tra il L. e la Corona di Spagna: nel giugno 1654 il L. ostacolò vivamente le intenzioni di Innocenzo X di ammettere alla corte pontificia l'ambasciatore di Portogallo (Regno sottrattosi al dominio spagnolo nel 1640). Giunse al punto di lasciare Roma e di ritirarsi nel feudo di Zagarolo, donde fu richiamato al momento della malattia e morte del papa. Quindi, nel 1655, ricevette la massima onorificenza spagnola, il Toson d'oro.
Il L. fu altresì impegnato in incarichi di governo per il re Cattolico. A partire dal maggio 1659 fu luogotenente e capitano generale d'Aragona; l'anno seguente viceré dello stesso Regno. Oltre all'impegno nelle funzioni amministrative e giudiziarie, il L. fu a lungo occupato dai problemi legati alla smobilitazione delle truppe (dopo la pace dei Pirenei con la Francia, nel 1659) e ai preparativi militari per la riconquista del Portogallo. Quindi, il 7 luglio 1661 ricevette la nomina a luogotenente e capitano generale della flotta di galere di Sardegna. Seguì, il 5 luglio 1662, quella a viceré di Sardegna.
Il L. giunse ad Alghero nel novembre 1662. Dopo qualche settimana di sosta a Sassari, prestò giuramento il 21 febbr. 1663, a Cagliari. Trovò esauste le casse dell'isola e dovette addirittura ricorrere al suo patrimonio per provvedere alle spese per la difesa. Si occupò altresì di vigilare sul movimento di navigli olandesi e di Amburgo, ormai molto attivi in Mediterraneo.
Il L. morì a Cagliari il 25 dic. 1664.
Dal matrimonio con Costanza Pamphili aveva avuto quattro figli: Giovan Battista, che ereditò i domini familiari, Lavinia (moglie di Girolamo Acquaviva, duca di Atri), Olimpia (monaca) e Ippolita. Da quest'ultima, sposata nel 1681 a Gregorio Boncompagni, prese vita il lignaggio Boncompagni Ludovisi. Nel testamento, il L. lasciò ai gesuiti una somma di 10.000 scudi per la continuazione della fabbrica della chiesa romana di S. Ignazio, edificata sotto il patronato del cardinale Ludovico Ludovisi e aperta al culto nel 1650.
Alla morte del fratello cardinale (1632), il L. aveva ereditato la raccolta d'arte, ricca di dipinti e di statue antiche. I collezionisti se ne erano subito interessati; tuttavia, nonostante fosse nota "la necessità nella quale si trova[va] il principe Ludovisio" (G. Mazzarino a P. Maccarani, 23 ott. 1641, cit. in Le Pas de Sécheval, p. 70), egli aveva resistito alle prime offerte. Preferì donare a Filippo IV l'Adorazione di Venere e i Baccanali di Tiziano. Nuove proposte d'acquisto - stavolta riguardo villa Ludovisi, i dipinti colà esposti e "le altre galanterie che in essa si contengono" (ibid.) - furono avviate nel febbraio 1642 per conto del cardinale Richelieu, ministro del re di Francia. I prezzi richiesti furono giudicati eccessivi e l'affare non si concluse: la collezione Ludovisi si sarebbe dispersa solo alla morte del L., a causa delle vendite effettuate dal figlio Giovan Battista.
Il L. non riuscì a portare a termine il progetto di un nuovo palazzo familiare a Roma. Con un forte contributo di Innocenzo X (di 100.000 scudi), egli aveva acquistato nel 1653 dal cardinale Luigi Capponi un edificio posto dietro la chiesa medievale di S. Biagio (nel rione Colonna). Quindi, aveva acquistato le case limitrofe con l'intenzione di demolirle e di edificare una grande residenza. Gian Lorenzo Bernini fu incaricato del progetto, ma i lavori proseguirono lentamente: alla morte di Innocenzo X (nel 1655) erano state iniziate le ali, trascurando il centro della facciata; solo l'ala destra era stata coperta e completata. Nella pianta di Roma di Giovan Battista Falda (1676), palazzo Ludovisi appare come cantiere aperto, con i lavori interrotti: alla fine del Seicento il sito verrà scelto per edificarvi la cosiddetta Curia innocenziana (l'attuale palazzo Montecitorio).
Fonti e Bibl.: Biblioteca apost. Vaticana, Boncompagni-Ludovisi, E.101-106 (corrispondenza del L. con la corte di Spagna per il periodo 1660-64); Arch. segr. Vaticano, Archivio Boncompagni-Ludovisi (documenti relativi ai possessi feudali del L.); G. Pillito, Memorie tratte dall'Archivio di Stato in Cagliari riguardanti i regi rappresentanti che sotto diversi titoli governarono l'isola di Sardegna dal 1610 al 1720, Cagliari 1874, pp. 109 s.; Die Hauptinstruktionen Gregors XV(, a cura di K. Jaitner, Tübingen 1997, ad ind.; A. Guglielmotti, Storia della Marina pontificia, VIII, La squadra ausiliaria della marina romana a Candia e alla Morea, Roma 1893, pp. 13-42; A. Le Pas de Sécheval, Les collections Ludovisi et la politique artistique royale française au XVIIe siècle(, in Revue de l'art, 1991, n. 94, pp. 69-73; D. Cosimato, N. L. mancato principe di Salerno: Napoli-Roma-Madrid, 1649-1653, Salerno 1992; C. Costantini, Fazione urbana: sbandamento e ricomposizione di una grande clientela a metà Seicento, Genova 1998, ad ind.; La nobiltà romana in età moderna. Profili istituzionali e pratiche sociali, a cura di M.A. Visceglia, Roma 2001, ad ind.; A. Karsten, Künstler und Kärdinale. Vom Mäzenatentum römischer Kardinalnepoten im 17. Jahrhundert, Köln-Weimar 2003, p. 66.