LONGOBARDO, Niccolò (Long Huamin, Jinghua)
Nacque a Caltagirone il 10 sett. 1565 da Francesco, di famiglia patrizia, e da una tale Pernuzza. Nel settembre del 1581 entrò nel collegio della Compagnia di Gesù di Messina e fu ammesso al noviziato il 10 genn. 1582.
L'assenza di documenti non permette, tuttavia, di suffragare l'ipotesi di un precoce ingresso del L. nel collegio di Caltagirone, fondato dalla Compagnia l'11 ag. 1571, presso il quale avrebbe maturato la sua vocazione.
Completato il grado inferiore del cursus gesuitico in grammatica e umanità, si trasferì al collegio di Palermo, dove ebbe accesso ai corsi superiori di retorica, filosofia e teologia. Al termine del quinto anno fu ordinato coadiutore spirituale.
Benché compaia tra gli "indipeti" (i candidati alle missioni in India), il suo memoriale, inventariato presso gli archivi della curia generalizia della Compagnia di Gesù, è mancante. È, tuttavia, possibile desumere che il L. fu ritenuto idoneo per le Indie già ai tempi del suo primo anno di teologia, grazie a una lettera del provinciale Bartolomeo Ricci risalente all'aprile del 1592. Ulteriori dati relativi alla sua vocazione possono essere ricavati da una lettera, datata 20 ott. 1600, da Shaozhou e indirizzata al padre Giuseppe Grillo di Palermo. In essa il L. afferma di essere stato ispirato da Francesco Saverio e di aver voluto dapprima recarsi in Giappone, ma poi, trovandosi a Macao in attesa dei venti favorevoli, di aver ceduto al visitatore Alessandro Valignano che lo voleva per la missione in Cina.
Il L. salpò da Lisbona il 10 apr. 1596 e giunse a Goa il 24 o il 25 ottobre dello stesso anno. Proseguì per Macao l'anno successivo, salpando il 23 apr. 1597 con Manuel Dias e Diego Pantoja. Era con loro Alessandro Valignano. Dopo avere toccato i porti di Cochin e Malacca, il gruppo giunse a destinazione il 20 luglio. Il L. fu, destinato alla residenza di Shaozhou, dove giunse il 28 dic. 1597. Dopo un periodo dedito all'apostolato nelle campagne, il 12 nov. 1599 fece gli ultimi voti di coadiutore spirituale nelle mani di Lazzaro Cattaneo.
Alla morte di Matteo Ricci (11 maggio 1610), il L. divenne superiore della missione cinese, incarico che mantenne sino al 1622. La giovane missione comprendeva già cinque sedi (Pechino, Nanchino, Nanchang, Zhaoqing e Shaozhou) e i religiosi al suo servizio erano una ventina. A Pechino il L. rimase dal 1611 all'inizio della prima persecuzione anticristiana, iniziata nel 1616 e conclusa nel 1622, anno in cui sarà consentito ai missionari di fare ritorno nella capitale. L'insorgere della persecuzione è stato imputato dalla storiografia tradizionale (Goodrich - Fang, p. 986) all'eccessivo zelo apostolico del L., condiviso anche da alcuni suoi confratelli, come Alfonso Vagnoni. Essi, infatti, visti i successi nell'opera di evangelizzazione, percepivano ormai come non più necessaria la cautela che, al contrario, aveva caratterizzato il periodo iniziale della missione, guidata dal Ricci in qualità di superiore. Il L. era persino giunto a nutrire l'idea di fare esplicita richiesta al sovrano di liberalizzare il culto e la predicazione della fede cattolica.
Concluso il mandato di superiore della missione nel 1622, il L. fece ritorno a Pechino dove, secondo le testimonianze documentarie, continuò il suo apostolato senza risparmio di energie, nonostante l'età. Nel 1637 decise di recarsi nello Shandong e di costituire una comunità cristiana presso la capitale Jin'an.
Nonostante alcune riserve manifestate al principio della sua attività missionaria, in merito ai termini cinesi adottati per tradurre il nome di Dio, appare infondata la supposizione - sovente avanzata probabilmente in ossequio a quello spirito aneddotico che ha minato in buona parte la prima generazione di studi sulle missioni gesuitiche, in particolare quelle cinesi -, di una rivalità tra il Ricci e il L. circa il metodo di evangelizzazione più consono per il Regno di mezzo. È pur vero che il L. mise in dubbio l'efficacia di alcuni termini, parzialmente derivati dalla tradizione confuciana, per indicare il nome di Dio e l'anima, e si espresse a favore di una traslitterazione fonetica sull'esempio di quanto già era avvenuto in Giappone.
La questione della terminologia è discussa nell'opera Responsio brevis super controversias de Xanti [Shangdi], tienxin [Tianshen], linghoen [linghun] alijsque nominibus et terminis Sinicis, ad determinandum qualia eorum uti possint vel non in hac Christianitate, composta intorno al 1624 in portoghese e tradotta in latino dal padre minorita António de Sancta Maria nel 1661 (Roma, Biblioteca Casanatense, Fondo Fattinelli, 1516). Si tratta di un manoscritto di 30 carte, contenente 17 dei 18 "preludii" presenti nel trattato del Longobardo. La versione latina fu autenticata il 4 apr. 1662 dal domenicano Juan Bautista Morales e successivamente tradotta in francese dall'abate de Ciré nel 1701 col titolo Traité sur quelques points de la religion des Chinois. Essa fu resa nota da G.W. Leibniz nel Journal des sçavants nel 1701 (pp. 154-158), ed ebbe un'influenza profonda sul suo pensiero (G.W. Leibniz, Opera omnia, IV, 1, Genève 1768, pp. 89-144), in particolare sulla redazione del Discorso sulla teologia naturale dei Cinesi, molto più di quanto non ne abbiano avuto gli scritti del Ricci. Della Responsio esiste anche una versione in spagnolo a opera del più grande oppositore verso l'apostolato dei gesuiti in Cina e la loro tolleranza per i riti confuciani, il domenicano Domingo Navarrete. Questi la ripubblicò, per suffragare le proprie tesi, nell'opera Tratados históricos, políticos, éthicos y religiosos de la monarchia de China, I, Madrid 1676, p. 246.
Il disaccordo tra il Ricci e il L. rispetto alle questioni terminologiche non deve però essere visto come elemento scatenante della cosiddetta "controversia dei riti", che sarebbe scoppiata molto tempo dopo, ma suggerisce piuttosto la complessità, le tensioni e la dinamicità della vita di missione, elementi che vanno sempre tenuti presenti se si vuole evitare di giungere, come spesso è accaduto in passato, a un'analisi troppo generale e generalizzata dell'azione missionaria della Compagnia in Cina nella prima età moderna.
Nonostante i punti discordanti rispetto al metodo del Ricci che certamente si rilevano negli scritti del L., una volta assunta la direzione della missione egli si impegnò nella prosecuzione della strategia di adattamento e di apostolato intellettuale che aveva caratterizzato l'azione del suo precursore e che si articolò mediante il ricorso al cosiddetto metodo dell'accomodatio.
Per accomodatio, termine che ha le sue origini nell'esegesi biblica, si intende quell'atteggiamento aperto e tollerante adottato appunto dal Ricci, e che sicuramente egli aveva ereditato dal Valignano, nei confronti delle religioni autoctone dei Cinesi e in particolare del confucianesimo. Era direttamente assimilabile all'atteggiamento che i Padri della Chiesa avevano tenuto nei confronti delle religioni dell'età classica e al contempo rivelava un costrutto epistemologico di chiara matrice umanistica. Si fondava sui principî della teologia fondamentale e faceva appello alla rivelazione naturale e all'apologetica più che alla dogmatica, essendo riservata unicamente a coloro che fossero ammessi al catecumenato. Tale metodo fu chiamato anche dell'"apostolato indiretto".
Bisogna, tuttavia, osservare che, pur essendo questo metodo ben presto assurto a caratteristica precipua della missione gesuitica in Cina, esso non era unanimemente condiviso. È da ascrivere a merito del L. di avere deciso di proseguire sulla via indicata dal Ricci. Allorché, a seguito delle persecuzioni anticristiane in Giappone, un gruppo di missionari gesuiti riparò a Macao nel 1614, l'allora provinciale della missione del Giappone - dalla quale la Cina ancora dipendeva -, Valentim Carvalho, giunse addirittura all'estrema risoluzione di proibire qualsiasi attività, soprattutto scientifica, che non avesse diretta relazione con "il puro Evangelio". La nutrita corrispondenza tra il L. e Claudio Acquaviva testimonia dei suoi sforzi per impedire che la decisione di Carvalho divenisse operativa.
L'opera missionaria del L. può, dunque, sintetizzarsi in alcuni punti principali: fare della Cina una provincia autonoma, indipendente dal Giappone; ammettere i Cinesi al sacerdozio e consentire loro l'ingresso nella Compagnia di Gesù; procedere alla traduzione in lingua cinese del messale e del breviario, affinché l'amministrazione dei sacramenti e dei sacramentali potesse avvenire in cinese e non più attraverso le ostiche e vuote traslitterazioni delle formule latine; proseguire con rinnovato impegno nell'apostolato intellettuale, ovvero nella produzione di opere in cinese nelle quali si discutessero aspetti del sapere europeo, principalmente di tipo matematico e filosofico, e che tenessero conto delle sollecitazioni avanzate da quel circolo, composto di convertiti e simpatizzanti, intorno al quale ruotavano i missionari. È in considerazione di questi aspetti che deve essere vista la nomina di Nicolas Trigault (1577-1628) a procuratore della missione e il suo invio in Europa per descrivere al papa, su intercessione del padre generale della Compagnia, le attività dei missionari gesuiti in Cina, nonché per rifornirsi di libri e di forze nuove. In occasione dell'incontro programmatico con il L., avvenuto nell'ottobre del 1612, Trigault aveva ricevuto dalle sue mani il manoscritto di Ricci: Della entrata della Compagnia di Giesù e Christianità nella Cina, unitamente all'incarico di servirsene per redigere, durante il viaggio, la storia della missione della Cina. Tale lavoro sarebbe culminato nel De Christiana expeditione apud Sinas (Amburgo 1615). Studi recenti hanno messo in dubbio l'autenticità tanto di questo testo quanto del manoscritto ricciano, attribuendone la redazione allo stesso L. (Ricciardolo, pp. 176 s.).
Trigault si imbarcò per Macao nel febbraio del 1613 e giunse a Roma agli inizi di dicembre. L'incontro con il preposito generale Acquaviva fu così fruttuoso che questi concesse a Trigault e allo stesso L. il privilegio della professione solenne (il quarto voto di obbedienza al pontefice circa missiones, proprio del carisma della Compagnia di Gesù). La professione, peraltro già sollecitata all'Acquaviva dal Ricci nel 1606, venne formulata dal L. ad Hangzhou il 24 dic. 1617, nella cappella del grande intellettuale cattolico Yang Tingyun, durante il generalato di Muzio Vitelleschi. Secondo Aguilera (p. 612) e Bartoli (p. 392), fu la perizia nella lingua e scrittura cinese a essere annoverata tra le virtù che valsero al L. l'ammissione alla professione del quarto voto.
Alla fine di dicembre 1613 Acquaviva acconsentì a fare della Cina una missione sui iuris, elevata al rango di viceprovincia, dipendente dal preposito generale e dal visitatore (comune alla Cina e al Giappone), e governata da un superiore equiparato nei poteri a un provinciale.
Circa la ben più complessa questione relativa all'uso della lingua cinese nella liturgia, l'intercessione del cardinale Roberto Bellarmino fu determinante affinché la congregazione del S. Uffizio, presieduta dal pontefice e integrata da influenti teologi gesuiti, si riunisse in due occasioni per discutere la questione dell'uso del cinese non solo durante la messa, ma anche nell'amministrazione dei sacramenti e dei sacramentali, nonché ovviamente la traduzione della Bibbia in cinese. A conclusione dei lavori fu redatto il decreto noto come In generali, confermato il 27 giugno 1615 col breve Romanae Sedis Antistes.
Alcuni studiosi (Lamalle, p. 56 n. 19), in ragione del fatto che la questione della lingua liturgica non figurava tra le istruzioni scritte consegnate dal L. al suo procuratore, hanno voluto attribuire il decreto all'iniziativa personale di Trigault, mentre altri ne ascrivono senza ombra di dubbio la paternità al L. (Bontinck). Com'è noto, il breve non fu mai concretamente eseguito se non in merito al primo privilegio, quello di celebrare i sacri misteri a capo coperto, in ottemperanza alle norme di etichetta vigenti in Cina. Al contrario, la questione della lingua liturgica confluì nella complessa questione "dei riti", generando una serie di accese controversie che ebbero soluzione solo in epoca moderna: il pionieristico progetto del L. di vedere attuata in Cina una liturgia in lingua locale a uso di un clero locale fu parzialmente ratificato solo il 10 marzo 1949 da Pio XII. La risoluzione del S. Uffizio permise la redazione di un messale in cinese nel quale, tuttavia, si sarebbero mantenute in latino le formule del canone sino al Postcommunio, con eccezione del Pater noster, della Pax Domini e dell'Agnus Dei che, essendo recitati ad alta voce, potevano essere tradotti in cinese.
Trigault fece ritorno a Nanchang al principio del 1621, in pieno clima di persecuzioni anticristiane. Era accompagnato da quattro gesuiti in possesso di una buona preparazione scientifica, come Johann Terrenz Schrek (1576-1630) e Adam Schall von Bell (1592-1666), e aveva con sé inoltre una grande quantità di testi. Furono per l'esattezza 629 i volumi donatigli, tra gli altri, dal granduca Cosimo II de' Medici, volumi che - insieme con altre 500 opere regalate da Paolo V per intercessione di Bellarmino - vennero a formare il primo nucleo della biblioteca dei gesuiti di Pechino. Un esame anche sommario del catalogo compilato nel 1949 da chi ne fu l'ultimo bibliotecario, Hubert Verhaeren, mostra una significativa presenza di opere scientifiche di argomento matematico, ingegneristico e astronomico che riflette lo spettro di attività nelle quali i missionari erano impegnati in Cina, specialmente presso la corte imperiale di Pechino. La biblioteca di Bei Tang a Pechino doveva ben presto assurgere a vero "centro di intermediazione tra Oriente e Occidente", nonché divenire parte integrante della Bibliothekenstrategie gesuitica.
Il L. morì a Pechino l'11 dic. 1655.
La partecipazione del L. alla riforma del calendario cinese, la presenza, tra le sue opere, di un trattato sui fenomeni sismici, la collaborazione alla stesura di un trattato di anatomia nonché la confezione, insieme con il confratello Manuel Dias, di un globo terrestre pongono per lui, così come per tutti gli altri missionari gesuiti attivi in Cina, il problema della loro formazione scientifica.
Nonostante il L. fosse stato ammesso al noviziato presso il collegio di Messina, noto per l'insegnamento delle matematiche, manca uno studio sulla sua formazione accademica e scientifica. Per lui, come per molti altri missionari gesuiti, è stato spesso impiegato, non senza una certa leggerezza, il termine di "scienziato", volendo porre l'accento su una figura di missionario savant, a tutto scapito di quella dell'evangelizzatore. Occorre invece, come ben segnala la più recente storiografia (Romano, 1999; Baldini), tenere presente che la formazione accademica dei futuri missionari della Compagnia, soprattutto sulle matematiche miste e la fisica o filosofia naturale, non è mai scevra dei contenuti teologici che informano il complesso delle attività intellettuali nei collegi nonché la vita pastorale in seno alla Compagnia, e più specificamente per la missione gesuitica in Cina.
Un elenco delle opere del L. in lingua cinese conservate nella Biblioteca apostolica Vaticana è in P. Pelliot, Inventaire sommaire des manuscrits et imprimés chinois de la Bibliothèque Vaticane, a cura di Takata Tokio, Kyoto 1995, ad ind.; Yu Dong, Catalogo delle opere cinesi missionarie della Biblioteca apostolica Vaticana, Città del Vaticano 1996, ad ind.; un elenco delle stesse conservate nella Bibliothèque nationale di Parigi in M. Corant, Catalogue des livres chinois, coréens, japonais etc. de la Bibliothèque nationale, Paris 1900, ad ind.; si veda inoltre H. Cordier, Essai d'une bibliographie des ouvrages publiés en Chine par les européens, Paris 1883, pp. 24 s.; titoli, luogo e anno di edizione di opere in altre lingue in E. Aguilera, Historia provinciae Siculae S. I., II, Panormi 1740, pp. 600-622; C. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jésus, IV, Bruxelles-Paris 1893, coll. 1931-1933; M. Streit, Bibliotheca missionum, IV, Roma 1929, XIV, p. 660; L. Pfister, Notices biographiques et bibliographiques sur les jésuites de l'ancienne mission de Chine, 1552-1773, I, Shanghai 1932, pp. 58-66; J. Dehergne, Répertoire de jésuites de Chine de 1552 à 1800, Roma-Paris 1973, pp. 153 s.; L.C. Goodrich - C. Fang, Dictionary of Ming biography, I, New York-London 1976, pp. 985-988; C. von Collani, L. N., in Biographisch-bibliographisches Kirchenlexikon, IV, Herzberg 1992, pp. 217-219; Handbook of Christianity in China, 635-1800, a cura di N. Standaert, I, Leiden-Boston-Köln 2001, pp. 181, 251, 309, 311, 345, 476 e passim; Diccionario histórico de la Compañia de Jesús. Biográfico-temático, a cura di Ch. O'Neill - J.M Domínguez, III, Roma 2001, coll. 2411 s.
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