GRIMALDI, Niccolò
Nacque il 6 dic. 1645 al castello della Pietra, nel Regno di Napoli, dal marchese Francesco e da Settimia Grimaldi, appartenenti in linea collaterale al medesimo ramo - quello dei marchesi di Pietra e signori di Belloforte - dell'illustre casata genovese.
Destinato alla carriera ecclesiastica, nel 1665 il G. fu inviato a Roma per compiere gli studi nelle scuole della Compagnia di Gesù. Nel 1670, divenendo referendario di Segnatura, cominciò il suo cursus honorum, proseguito con una serie di governatorati in città e province dello Stato della Chiesa. Da Rimini, nel 1671-72 (dove si procurò buona fama gestendo con prontezza e decisione i soccorsi e l'ordine pubblico in occasione del terremoto del 14 apr. 1672, aiutato dal legato di Romagna Giulio Gabrielli), a San Severino nel 1673, Fano nel 1674, Fermo dal 1680 al 23 febbr. 1685 (un vicegovernatorato - essendo la città soggetta a una congregazione cardinalizia - interrotto da una breve supplenza ad Ascoli, dall'agosto all'ottobre del 1684), Ancona nel 1685, Campagna e Marittima nel 1687 (vi fu anche commissario dell'Annona), infine Perugia nel 1689.
Il 29 ott. 1692 subentrò a Fabrizio Sinibaldi come chierico di Camera, il che gli permise di proseguire rapidamente la carriera a Roma: dapprima (1693-96) come presidente delle Strade, dal 1696 come votante della Segnatura di grazia, segretario della congregazione delle Acque e presidente dell'Annona. In quest'ultima veste, nel settembre del 1700, il G. prese discussi provvedimenti per calmierare il prezzo del grano distribuendo ai fornai quello custodito nei magazzini dell'Annona, solitamente venduto al minuto e a basso prezzo alla popolazione.
Ciò gli costò l'accusa di voler rovinare i mercanti, costretti ad aumentare i prezzi dalla diminuzione dei raccolti, e favorire i fornai. L'operazione, comunque, non dette i risultati sperati e alla fine di ottobre - durante la sede vacante - il camerlengo G.B. Spinola (a cui i Romani addebitavano la responsabilità della carestia per aver lucrato su di una tratta da lui concessa ad alcuni mercanti francesi) gli ordinò di aumentare il prezzo del pane. Il G., convinto che l'aumento non era necessario, presentò le dimissioni ai cardinali del conclave, i quali però le respinsero con la motivazione che era meglio far gravare l'aumento sul conclave anziché sul futuro papa. Così, nonostante alcuni tumulti popolari seguiti all'aumento, il 25 novembre il G. venne confermato presidente dell'Annona e il 3 sett. 1701 entrò a far parte della nuova congregazione per la Grascia e l'annona, presieduta dal cardinale Galeazzo Marescotti. Quando questi criticò le operazioni eseguite dal G. l'anno precedente, chiedendogli copia della contabilità annonaria dell'ultimo decennio, egli riuscì a dimostrare di aver sempre applicato i prezzi imposti dal precedente pontefice e di godere la stima dell'attuale. Clemente XI infatti lodò più volte la politica annonaria del G. e l'11 dic. 1701 lo promosse a segretario della congregazione dei Vescovi e regolari.
Pochi anni dopo, il 17 maggio 1706, lo stesso pontefice lo nominò cardinale diacono di S. Maria in Cosmedin, con la dispensa per avere preso gli ordini sacri fuori dal tempo prescritto; il 13 sett. gli affidò la legazione di Bologna. Questa legazione del G. coincise con la fase della guerra di successione spagnola più difficile per i territori padani dello Stato della Chiesa, perché proprio alla fine del 1706 le forze imperiali del principe Eugenio di Savoia si stanziarono nel Bolognese e nel Ferrarese, imponendo alle due Legazioni il proprio mantenimento. Né la partenza delle truppe per Napoli, nel maggio 1707, migliorò la situazione: nell'anno successivo l'occupazione austriaca di Comacchio provocò una vera guerra, ancorché poco cruenta, tra la Chiesa e l'Impero e una nuova e più pesante invasione delle Legazioni.
Queste vicende nocquero al prestigio del G. che, arrivato a Bologna con la fama di "uomo forte, e rigoroso", più vicino alla Francia che all'Impero, ne uscì - secondo l'Ottieri - con quella di pusillanime. Nel 1707 fu accusato di aver concesso subito agli Imperiali, per paura di un saccheggio mai minacciato, tutte le richieste del comandante Ulrich Daun (ostacolando le trattative condotte dall'inviato pontificio presso il principe Eugenio, l'abate D. Riviera); nel 1708 fu accusato di essersi rinchiuso nel suo palazzo "sopraffatto dal timore" all'apparire degli Austriaci, delegando alle magistrature cittadine l'onere di trattare le modalità del passaggio dell'esercito attraverso Bologna, dopo che, durante i 17 giorni dell'assedio di Bondeno, aveva invece dichiarato di volere resistere agli invasori. In realtà furono attribuite al G. responsabilità gravanti invece su Clemente XI e il suo segretario di Stato F. Paulucci, dai quali aveva ricevuto l'ordine di "cedere alla forza" e, "per evitare il maggior danno […] lasciarsi ingannare" circa le promesse di pagamento dei viveri richiesti dall'armata imperiale nel 1707. Nel 1708, inoltre, il G. non disponeva di alcun mezzo per difendere Bologna, essendosi ritirati in Romagna e poi nelle Marche l'esercito pontificio del generale Luigi Ferdinando Marsili e il piccolo presidio bolognese comandato dal nipote del papa, Alessandro Albani, mentre quello del Forte Urbano (peraltro ridotto di numero) era bloccato dal nemico. Il G. adoperò invece la maniera forte sul piano economico, fronteggiando la carestia prodotta dalla guerra con ripetuti calmieri sulle carni, il grano, l'olio e i legumi, accompagnati dal bando da Bologna dei forestieri poveri e da provvedimenti contro la corruzione nei pubblici uffici. Dovette poi imporre anche a Bologna la tassa sulla carne per il Monte del sussidio (istituito da Clemente XI per sovvenire alle spese di guerra) e la tassa del milione, avente il medesimo scopo. Tuttavia, per non esasperare gli abitanti della Legazione, mascherò la seconda quale donativo, salvando almeno nelle forme il principio secondo il quale Bologna non doveva contribuire come gli altri luoghi dello Stato, meno provati dalla guerra. Però la firma della pace con l'Impero, il 15 genn. 1709, lo costrinse a vendere a prezzi assai inferiori a quelli con cui le aveva acquistate le provviste che aveva inutilmente fatto accumulare nei magazzini del Forte Urbano, prevedendo un più lungo assedio.
Il 9 nov. 1709 il G. lasciò la legazione di Bologna a Lorenzo Casoni. Tornato a Roma, fece parte delle congregazioni cardinalizie delle Acque, dei Vescovi e regolari, dell'Immunità e della Sacra Consulta. L'8 giugno 1716 cedette ad Annibale Albani la diaconia di S. Maria in Cosmedin, nello stato fatiscente in cui l'aveva ricevuta dieci anni prima, assumendo il titolo presbiteriale di S. Matteo in Merulana. Aveva donato all'antichissima basilica di S. Maria in Cosmedin (dal 1690 priva di cardinale titolare) solo una lampada d'argento. Pur essendo ricchissimo, non vi fece eseguire restauri (compiuti invece dal successore), forse a causa delle 60 cause mosse dall'erudito arciprete della chiesa, l'abate C.B. Piazza, contro il capitolo, i canonici e il parroco che respingevano le riforme da lui volute. Il G., insieme con un'apposita congregazione cardinalizia, diede torto alle tesi del Piazza, ma solo la morte di costui nel 1713 pose termine alle questioni legali permettendo, nel 1715, l'inizio dei lavori di livellamento e sistemazione della piazza antistante.
Il G. morì a Roma, nella propria residenza presso la chiesa dei Lucchesi, il 25 ott. 1717. Fu sepolto in una tomba assai modesta nella chiesa dei Cappuccini, dopo aver lasciato al nipote 4 milioni di scudi in contanti, pari alla metà del proprio patrimonio, accumulato grazie alle tante rendite godute in vita.
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