BRANCALEONI, Niccolò Filippo
Primogenito di Brancaleone, nacque intorno al 1335 e fu fratello di Pier Francesco e di Gentile. Nel 1355, a compenso dei servigi resi dal padre nella campagna contro i prefetti di Vico, il cardinale Egidio Albornoz gli concesse il vicariato della Massa Trabaria, rinnovando a quanto sembra la concessione per quattro anni consecutivi. Ma quando la crescente potenza del legato indusse i Brancaleoni a una pacificazione con i loro antichi nemici, i Montefeltro, il B. spinse la solidarietà d'interessi con la famiglia comitale d'Urbino sino a una tacita alleanza, come comprovano lettere dirette al conte Paolo, che in quegli anni era il capo della famiglia. L'accordo preoccupò il legato, il quale, anche per premunirsi dalle bande mercenarie di Ambrogio Visconti, che nelle terre dei Brancaleoni avevano trovato ricetto, richiese la consegna di alcune fortezze. Mentre il padre Brancaleone si recava ad Ancona per trattare la questione con l'Albornoz, il B. si ribellò apertamente e, pur sostenendo animosamente l'assedio che le milizie pontificie misero a Castel Durante, dovette arrendersi (fine 1366). Fu bandito da tutte le terre della Chiesa, come il maggior responsabile della rivolta e dei conseguenti disordini, mentre il fratello Gentile veniva confinato a Verona, e l'altro, Pier Francesco, seguiva il padre, quasi ostaggi del legato a Bologna. Probabilmente il B. riparò a Monte Santa Maria Tiberina, di dove era la moglie Elisabetta di Cione dei marchesi Del Monte.
Quando la generale rivolta delle terre della Chiesa contro i funzionari francesi, che il Papato avignonese riversava sulla penisola, annullò d'un tratto l'opera dell'Albornoz, e l'iniziativa politica tornò in mano delle forze locali, i Brancaleoni, nel dicembre 1375, poterono ritornare nell'avita signoria non come ribelli, ma, con il consenso del cardinal legato Guglielmo di Noellet, col compito di arginare l'espansione dei Montefeltro. In difesa della Chiesa infatti il B., insieme col vecchio padre, militò agli ordini del legato Roberto da Ginevra, e il 6 nov. 1376 si trovava a Bologna, dove tra l'altro si adoperava ad impedire che la città concedesse rappresaglie contro Siena.
La nuova situazione politica spingeva i Brancaleoni a ricercare l'amicizia e la solidarietà dei Malatesta, antichi avversari dei Montefeltro, e dei Tarlati da Pietramala, che nell'alta valle del Tevere avevano ricostruito la loro signoria col possesso di Anghiari, Citerna e Monterchi. In queste circostanze il B., vedovo ormai di Elisabetta Del Monte, prese in moglie Caterina da Pietramala, sorella di Bartolomeo e del cardinale Galeotto. Tuttavia proprio negli stessi anni in cui la stretta alleanza con i Malatesta e i Pietramala sembrava ricondurre i Brancaleoni alle tradizioni guelfe della loro casa, il B. dava in sposa la figlia Venanzia a un ghibellino romagnolo, Pino Ordelaffi, signore di Forlì.
Alla morte del padre, nel 1379, il B. divenne il capo riconosciuto della famiglia. Fu investito dal pontefice Urbano VI del vicariato della Massa Trabaria che, confermatogli anche da Bonifacio IX, tenne finché visse. La data della prima concessione è certamente anteriore a una lettera del 19 nov. 1380, con la quale i priori di Città di Castello si rivolgono a lui quale rettore di quella provincia. Intrattenne cordiali rapporti con Siena come provano alcune lettere, conservate nell'Archivio di Stato di Siena, e con Firenze, la quale considerò sempre i Brancaleoni come suoi fedeli. Il 19 genn. 1386 infatti i Dieci di Balia mandavano a Castel Durante Palmieri degli Altoviti e nel febbraio successivo Francesco Peruzzi con l'incarico di indurre il B. e i suoi fratelli a entrare in una lega contro il conte Antonio da Montefeltro che da poco si era impadronito di Gubbio (Arch. di Stato di Firenze, Dieci di Balia,Legazioni, R, I, c. 19). Alla lega accedettero come appare dal trattato di pace del 18 luglio di quello stesso anno, nel quale il B. e i fratelli sono annoverati tra gli "adherentes et sequaces communis Florentie, cum eorum castris, territoriis, hominibus et personis" (Ibid., Capitoli, v. 8, cc. 135-40). Allorché nel 1388 Carlo Malatesta, capitano di Gian Galeazzo Visconti, conte di Virtù, mosse contro i Carraresi, signori di Padova, il B. divenne suo luogotenente, e assunse il comando delle sue trecento lance quando il Malatesta nel settembre dovette ritornare in Romagna. Il 4 ott. 1387 il B. e i fratelli furono eletti arbitri per comporre le controversie tra Città di Castello e gli Ubaldini (Città di Castello, Arch. Capitolare, ms. VI, 3, c. 23) e, dopo aver felicemente condotto in porto il loro mandato, il 7 genn. 1390 venivano ascritti alla cittadinanza tifernate. L'11 febbraio dell'anno prima Bonifacio IX aveva confermato al B., "multarum grandiumque virtutum", il vicariato sulle terre a lui già soggette e sulla Massa Trabaria (Arch. Segr. Vat., r. 312, ff. 168v, 169r). Il 27 genn. 1392 il B. fu presente a Rimini al rilascio di una procura per la pace tra Montefeltro e Malatesta, che fece seguito alla pace di Genova tra Firenze e Milano. Nel conseguente arbitrato emesso a nome di Bonifacio IX, il 13 ottobre, in Rimini, si stabiliva tra l'altro di eseguire quanto era stato deciso a favore del B. e dei fratelli circa il possesso di Villa San Silvestro.
Morì non molto tempo dopo, nel 1394: nella bolla pontificia che il 30 apr. 1395 confermava a Pier Francesco, Gentile e Galeazzo Brancaleoni il vicariato di Massa Trabaria, è qualificato come "quondam". Lasciò ai figli Ermanno, Galeotto e Alberico, costituiti in minore età e affidati alla tutela dello zio Pier Francesco, la sua parte, un terzo cioè, dei beni familiari "pro indiviso" con gli zii Pier Francesco e Gentile.
Fonti eBibl.: Codex diplom. dominii temporalis S. Sedis, a cura di A. Theiner, III, Romae 1868, p. 43 n. 17; Ser Guerriero da Gubbio, Cronaca, in Rer. Ital. Script., 2 ediz., XXI, 4, a cura di G. Mazzatinti, p. 15; Cronache malatestiane,ibid., XV, 2, a cura di A. F. Massera, p. 32; Giovanni di Maestro Pedrino, Cronaca, Città del Vaticano 1932, II, pp. 457, 491, 493; P. P. Torelli, Sulle antiche memorie di Castel Durante oggi Urbania, in Antichità picene, XIII, Fermo 1791, pp. 172-176; G. Muzi, Mem. civili di Città di Castello, Città di Castello 1844, I, p. 121; V. Lanciarini, Il Tiferno mataurense e la provincia di Massa Trabaria, Roma 1890, pp. 344-49; F. Filippini, La seconda legaz. del card. Albornoz in Italia, in Studi stor., XII (1903), pp. 287 s.; E. Rossi, Mem. eccles. di Urbania, Urbania 1936, pp. 32-35, 427; G. Franceschini, I Brancaleoni di Castel Durante, in Atti e mem. della Deputaz. di storia patria per le Marche, s. 7, IV (1949), pp. 86, 89, 91 s., 94, 97 s.; A. Ascani, Due cronache quattrocentesche, Città di Castello 1966, pp. 9, 76; A. Esch, Bonifaz IX. und der Kirchenstaat, Tübingen 1969, ad Indicem.