NICCOLO di Segna
NICCOLÒ di Segna. – Non si conosce la data di nascita di questo pittore, figlio del più noto Segna di Buonaventura e fratello di Francesco, anch’essi pittori.
Di lui si hanno notizie per la prima volta nel 1331, anno in cui prese in affitto dalla Casa di S. Maria della Misericordia di Siena una bottega al fine di esercitarvi l’arte della pittura (Borghesi - Banchi, 1898). Nel documento è citato come «pictor olim Segne pictoris de Senis», fissando così il termine ante quem per la morte del padre. L’unica altra testimonianza documentaria risale al 1348, anno in cui ricevette i pagamenti per una pala, perduta, realizzata per l’altare maggiore della chiesa di S. Agostino a Borgo Sansepolcro (Polcri, 1995).
Ad agevolare la ricostruzione del corpus di opere di Niccolò restano, con certezza, soltanto due opere: la Madonna col Bambino, databile al 1336, proveniente dalla cappella di S. Galgano a Montesiepi (ora nella casa parrocchiale di Chiusdino), e il Crocifisso della Pinacoteca nazionale di Siena (inv. 46), firmato e datato 1345.
Specialmente quest’ultima opera, di non eccelsa qualità, ha pesato molto sul giudizio spesso poco benevolo di gran parte della critica su Niccolò e ha contribuito ad attribuirgli tutta una serie di dipinti ducceschi di scarsa qualità che studi più approfonditi hanno dimostrato appartenere a maestri tardivi e provinciali. In realtà, formatosi nella bottega del padre, arricchì ben presto il linguaggio pittorico duccesco attraverso eleganti suggestioni derivategli da Ugolino di Nerio e Simone Martini, per poi portare a maturazione un proprio, personalissimo stile, fortemente influenzato dal vigore formale dell’arte di Pietro Lorenzetti.
La più antica opera riconducibile a Niccolò è, con ogni probabilità, il Crocifisso della chiesa di S. Ippolito a Bibbiena (già in S. Lorenzo), che mostra strettissime affinità con le Croci di Segna di Buonaventura realizzate nel secondo decennio del Trecento e, in particolare, con quelle del Museo diocesano di Pienza e della National Gallery di Londra; ciò che diverge sostanzialmente dalle opere del padre è la diversa tecnica pittorica, espressa con pennellate ampie e pastose che conferiscono alla materia una superficie ruvida e scabrosa in luogo della delicatissima e quasi smaltata trama pittorica di Segna.
Tra la produzione giovanile, scalabile nel terzo decennio del Trecento, sono da annoverare una serie di opere di piccole dimensioni tra le quali il trittico con la Crocifissione, s. Giovanni Battista e s. Francesco del Keresztény Múzeum di Esztergom (Bagnoli, 2003, p. 271), la tavoletta raffigurante S. Caterina d’Alessandria, s. Maria Maddalena e s. Margherita conservata alla Staatsgalerie di Stoccarda (inv. 3113) e la Madonna in trono e santi del Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid.
In queste opere l’impronta duccesca è molto accentuata e richiama soprattutto le ultime opere del grande maestro senese, come la Maestà del duomo di Massa Marittima, in cui le figurazioni si fanno estremamente esili e allungate. Altrettanto evidente è il richiamo ai modi raffinati di Ugolino di Nerio e, nel gusto per i ritmi lineari gotici e l’attenzione ai particolari decorativi, l’influenza di Simone Martini.
Sul finire del terzo decennio è da collocare il polittico n. 38 della Pinacoteca nazionale di Siena, di cui manca lo scomparto centrale, probabilmente una Madonna col Bambino. La presenza di S. Benedetto e di S. Michele Arcangelo negli scomparti principalie quella di S. Giovanni Gualberto nell’ordine superiore, garantiscono la committenza vallombrosana del complesso e più esattamente la provenienza dall’abbazia vallombrosana dedicata ai Ss. Michele e Benedetto nel Poggio San Donato di Siena (dipendente da Passignano e passata nel 1683 ai carmelitani; Padoa Rizzo, 2002). La presenza di un polittico di Niccolò all’interno della chiesa in questione è confermata da un testo di Niccolò Catalano (1652), dedicato allo studio dell’abito francescano, in cui l’autore mostra di aver letto, seppur in modo errato, firma e data dell’opera: «Nicolaus Segie de Senis, 1260».
Al medesimo polittico è da riferire anche una serie di tavolette, che ne costituivano la predella (Matteuzzi, 2008 e 2009, pp. 90-97), raffiguranti S. Caterinad’Alessandria (Siena, Pinacoteca nazionale, inv. 24), S. Vittore e S. Orsola (Digione, Musée des beaux-arts) – già riconosciute come opere di Niccolò e messe in relazione con la tavoletta di Siena da Michel Laclotte nel 1955 (in Guillaume, 1980) – un Santo vescovo comparso sul mercato antiquario nel 1995 (New York, Sotheby’s, maggio 1995), un Santo vescovo voltato di tre quarti verso destra e un altro Santo vescovo voltato verso sinistra entrati nel 2008 nella collezione Salini ad Asciano (Castello di Gallico), il Cristo crocifisso del Museo Horne di Firenze; infine, la tavoletta con S. Francesco del Museo nazionale di S. Matteo di Pisa (Franci, 2003, pp. 370-372), la figura del quale risulta anche riprodotta graficamente, in modo estremamente preciso, nel citato testo di Catalano.
Ai primi anni Trenta è da ricondurre la Madonna col Bambino già in collezione Drury-Lowe a Locko Park (ubicazione ignota), riferita per la prima volta a Niccolò da Vertova (1968, pp. 23-25) per le stringenti affinità sia con la Madonna, di poco successiva e sempre riferibile allo stesso pittore, conservata nella Pinacoteca nazionale di Siena (inv. 44), sia con la citata Madonna di Montesiepi.
Una certa rigidezza nella composizione e la caratterizzazione umorale imbronciata dei personaggi denotano un’evoluzione stilistica che consiste nel progressivo abbandono delle leziosità e degli elementi decorativi della produzione precedente in favore di una figurazione più sobria e severa, e dalle forme più solide, che di lì a breve avrebbe caratterizzato la successiva produzione del pittore.
La Madonna di Montesiepi, come sappiamo dalla testimonianza dell’abate cistercense Antonio Libanori (1645), faceva parte di un trittico-reliquiario appositamente realizzato da Niccolò nel 1336 per la cappella di S. Galgano a Montesiepi. Il trittico, a fondo oro, era costituito da una tavola centrale raffigurante la Crocifissione e da due scomparti laterali con S. Michele Arcangelo e S. Galgano. La tavola centrale, movibile a guisa di sportello, recava, nella faccia posteriore, la raffigurazione della Madonna; sul gradino, sotto tale la tavola, vi era la firma di Niccolò letta, in modo parzialmente errato, da Libanori: «Nicolaus Segre [Segne] me pinxit». Spetta a Peleo Bacci (1935) il merito di aver identificato con sicurezza la tavola di Montesiepi con quella menzionata da Libanori, adducendo, come accennato, un punto di riferimento fondamentale per la ricostruzione del corpus del pittore.
Il plasticismo e il chiaroscuro costruttivo della Madonna di Montesiepi costituiscono il punto di partenza di tutta la produzione della maturità dell’artista, a cominciare dal polittico parzialmente ricostruito da Coor (1955) intorno alla Madonna col Bambino della Fondazione Giorgio Cini di Venezia (inv. 8), proveniente dalla chiesa di S. Francesco a Prato e databile al 1340 circa; dell’opera facevano parte, come pannelli laterali, la S. Lucia del Walters Art Museum di Baltimora (inv. 37.756), il S. Vitale e la S. Caterina dell’High Museum of art di Atlanta (inv. 58.51, 58.52), il S. Bartolomeo della Pinacoteca nazionale di Siena (inv. 37). Ognuna di queste figure era sormontata da un pannello con una coppia di santi inserita entro una struttura ad archetti, come testimonia l’ancora integra tavola della Pinacoteca senese. Del registro superiore facevano parte le tavolette, smembrate, con S. MariaMaddalena, S. Giacomo Maggiore, S. Domenico e S. Giovanni Battista provenienti dalla collezione Ramboux (oggi in collezione J.H. Van Heek a ’s-Heerenberg le prime due e di ubicazione ignota le seconde), e la tavoletta raffigurante S. Francesco e un santo apostolo conservata all’Ermitage (Kustodieva, 1979).
Il polittico presenta, accanto a elementi della tradizione duccesca, forti segnali di interesse lorenzettiano che si esprimono soprattutto nella sostanza corporea e pienezza plastica delle figure, nel chiaroscuro più sfumato e in una occupazione dello spazio decisamente più convincente rispetto al passato.
A Niccolò sono inoltre da attribuire, in un periodo cronologicamente non distante dal polittico ricostruito da Coor, la Madonna col Bambino di Villa I Tatti a Settignano e il trittico con la Madonna in trono tra s. Giovanni Battista e s. Giovanni Evangelista conservato nel Museo diocesano di Pienza. A quest’ultima opera, e non al citato polittico n. 38 della Pinacoteca senese (Matteuzzi, 2009, p. 96), appartengono le due cuspidi raffiguranti Angeli a mezza figura del Cleveland Museum of art e quella raffigurante il Redentore benedicente di Raleigh (North Carolina Museum of art), attribuite a Niccolò per la prima volta da Van Os (1972, p. 82). La perfetta coincidenza delle misure delle tavole, e la stessa provenienza di tutti i pannellidalla collezione Pannilini di San Giovanni d’Asso avvalorano questa ipotesi, per altro confermata da Lusini (1912, p. 129) che nel 1912, alla mostra duccesca di Siena, aveva avuto modo di osservare il trittico corredato dalle tre cuspidi (Museo diocesano, 1998).
Riferibili al pittore e databili al quinto decennio del Trecento sono anche alcuni affreschi nella chiesa dei Ss. Leonardo e Cristoforo a Monticchiello (Siena), in particolare una Madonna col Bambino tra s. Leonardo e un santo vescovo nella navata sinistra, molto rovinata, il colossale S. Cristoforo e il S. Leonardo entrambi nell’abside, e il S. Pietro della navata destra, stilisticamente molto vicini alle decorazioni, anch’esse attribuibili a Niccolò, della cappella Spinelli nella basilica di S. Maria dei Servi a Siena, ovvero l’Ascensione di s. Giovanni Evangelista, due Santi vescovi (S. Ambrogio e S. Gregorio [?]), S. Gioacchino e S. Giuseppe.
Sempre al quinto decennio del Trecento sono da ricondurre il citato monumentale Crocifisso, datato 1345, della Pinacoteca di Siena che, nonostante sia un’opera firmata, mostra, soprattutto nelle figure dei dolenti, l’intervento della bottega, la cimasa con il Redentore benedicente della collezione Salini nel Castello di Gallico ad Asciano in origine appartenente a un Crocifisso non molto diverso da quello suddetto e una serie di otto tavolette raggruppate da Federico Zeri (1967, p. 477) sotto il nome di Niccolò.
Si tratta di un Santo vescovo (S. Gregorio?) in collezione privata, del S. Giovanni Evangelista e del S. Giacomo Maggiore nella collezione Perkins del Museo diocesano ad Assisi, del S. Agostino e del S. Ambrogio provenienti dalla collezione Gnecco di Genova (ubicazione ignota), del S. Antonio Abate e del S. Andrea del Museum of art science and industry di Bridgeport, Connecticut (n. 1224A-B) e del S. Cristoforo già in collezione Cahen a Bruxelles (ubicazione ignota). Le otto tavolette appaiono caratterizzate da un forte influsso della maniera di Pietro Lorenzetti, da un chiaroscuro più morbido e fuso e da un’articolazione nello spazio sapientemente costruita. Tali più moderni elementi hanno indotto la critica a dubitare talvolta dell’attribuzione di queste tavole a Niccolò: Stubblebine (1979), per es., aveva risolto il problema creando un anonimo artista, il cosiddetto Sansepolcro Master; De Benedictis (1986, pp. 336 s.) e Leoncini (1986) hanno ritenuto che le opere in questione potessero costituire l’attività del fratello di Niccolò, Francesco di Segna. Poiché le due tavole di Bridgeport provenivano da una collezione privata di Città di Castello, Leoncini (1986) ha ipotizzato una provenienza di tutto il polittico proprio da quella cittadina, situata a pochi chilometri da Borgo Sansepolcro, luogo al quale Niccolò appare legato dall’esecuzione di altre due opere: la citata pala d’altare per S. Agostino (Polcri, 1995, pp. 38 s.) e il Polittico della Resurrezione.
Il Polittico dellaResurrezione eseguito da Niccolò per l’abbazia di Borgo Sansepolcro è l’ultima opera nota del suo corpus pittorico, ed è da considerarsi il punto di arrivo di un percorso evolutivo che lo condusse ben lontano dai modi della tradizione duccesca da cui era partito.
L’iconografia di questo monumentale complesso, in cui, a fianco della scena centrale con la Resurrezione sono raffigurati numerosi santi monaci con abito benedettino o camaldolese, non lascia dubbi sulla committenza del dipinto, impedendo l’identificazione di questo polittico con quello citato dai documenti editi da Polcri (1995) in merito alla pala per S. Agostino. Oltre all’iconografia, anche l’analisi stilistica del dipinto non risulta compatibile con la datazione implicata dai documenti (1346-48) poiché è impensabile che un’opera tanto evoluta e con aspetti così fortemente lorenzettiani sia stata eseguita a ridosso del Crocifisso del 1345. Si può pertanto ipotizzare che dopo il 1348 Niccolò abbia continuato ad avere rapporti con la città di Sansepolcro, e che, a seguito della pala eseguita per S. Agostino, i camaldolesi gli abbiano commissionato questo polittico per la loro abbazia, oggi concattedrale cittadina. Plausibilmente la datazione del polittico potrebbe superare, seppur di poco, la metà del secolo, e questo slittamento consentirebbe di collocare con maggiore respiro le molte opere citate riferibili al quinto decennio del secolo. Il Polittico dellaResurrezione rispecchia in pieno il clima culturale senese della metà del Trecento, in cui si stavano spegnendo anche gli ultimi, tardivi echi della tradizione duccesca, in nome di nuovi modelli da emulare, Simone Martini e i fratelli Lorenzetti.
Tra le opere attribuibili a Niccolò spetterebbero, secondo Bagnoli (2003, pp. 271 s., 276 n. 26), la lunetta affrescata con la Madonna col Bambino e due santi della chiesa di S. Maria a Tressa (Siena) e gli affreschi della zona absidale (la serie di Santi nella fascia inferiore e, al di sopra, la Madonna col Bambino e santi, l’Adorazione dei magi e la Presentazione al tempio) della chiesa dei Ss. Giacomo e Cristoforo a Cuna (Monteroni d’Arbia), già riferiti al pittore da Guiducci (1990); secondo Bagnoli sarebbe infine riferibile a Niccolò anche l’affresco con il Redentore benedicente tra due angeli nell’abside della pieve di S. Maria a Moriano di Lucca, ipotesi che lo ha indotto a supporre una presenza in area lucchese, già confermata, solo da documenti, per il fratello Francesco (Concioni - Ferri - Ghilarducci, 1994).
Ignoti sono il giorno e l’anno di morte, sicuramente posteriore al settembre 1348.
A Bellosi (1970) spetta il merito di aver riconosciuto l’omogeneità di stile tra l’affresco con l’Apparizionedi s. Gregorio a s. Fina nella collegiata di S. Maria Assunta a San Gimignano, gli affreschi della cappella Agazzari in S. Martino a Siena, la tavola con la Madonna col Bambino del Museo comunale di Lucignano e la Madonna col Bambino del Museo diocesano di Cortona, e di aver formulato l’ipotesi che dietro a questo raggruppamento possa celarsi l’attività di Francesco di Segna. Tale proposta è stata ripresa da Bagnoli (2009), che vi ha aggiunto la Madonna col Bambino del Museo di Palazzo Venezia a Roma, il polittico del Museo diocesano di Montalcino, il S. Lorenzo del Museo d’arte sacra di Montespertoli e una frammentaria Madonna a fresco in S. Francesco a Lucca. Tutte le opere in questione mostrano forti affinità con la pittura di Niccolò, ma al contempo se ne allontanano per il chiaroscuro fumoso e l’espressione perplessa e imbambolata dei volti.
Fonti e Bibl: A. Libanori, Vita del glorioso s. Galgano eremita cistercense, Siena 1645, p. 130; N. Catalano, Fiume del terrestre paradiso.., Firenze 1652, p. 477; J.A Crowe - G. B. Cavalcaselle, A new history of painting in Italy…, II, London 1864, pp. 58 s.; S. Borghesi - L. Banchi, Nuovi documenti per la storia dell’arte senese, Siena 1898, pp. 16 s.; V. Lusini, Catalogo dei dipinti. Duccio di Buoninsegna e la sua scuola, in Rassegna d’arte senese, VIII (1912), pp. 105-154; B. Berenson, Italian pictures of the Renaissance, Oxford 1932, pp. 396 s.; P. Bacci, Identificazione e restauro della tavola del 1336 di N. di S. da Siena, in Bollettino d’arte, s. 3, XXIX (1935-36), pp. 1-13; G. Coor, A painting of St. Lucy in the Walters Art Gallery and some closely representations, in Journal of the Walters Art Gallery, XVIII (1955), pp. 79-90; F. Zeri, Early Italian pictures in the Kress Collection, in The Burlington Magazine, CIX (1967), pp. 473-477; L. Vertova, La raccolta di Locko Park, in Antichità viva, VII (1968), 3, pp. 23-26, 53-78; L. Bellosi, in Arte in Valdichiana dal XIII al XVII secolo, a cura di L. Bellosi - G. Cantelli - M. Lenzini Moriondo (catal.), Cortona 1970, p. 9; H.W. Van Os, Possible additions to the work of N. di S., in The Bulletin of the Cleveland Museumof art,LIX (1972), pp. 78-83; H.B.J. Maginnis, Una Madonna con Bambino di N. di S.a Cortona, in Arte illustrata, VII (1974), pp. 214-218; P. Torriti, La Pinacoteca nazionale di Siena,I, Dipinti dal XII alXV secolo, Genova 1977, pp. 78, 83 s., 95; T. Kustodieva, Due primitivi all’Ermitage, in Paragone, XXX (1979), 357, pp. 71-73; J.H. Stubblebine, Duccio di Buoninsegna and his school, I, Princeton 1979, pp. 101, 154-157; M. Guillaume, Catalogue raisonné du Musée des beaux-arts de Dijon, Dijon 1980, p. 77; G. Damiani, N. di S., in Il gotico a Siena (catal., Siena), Firenze 1982, pp. 92 s.; A. Rave, Segna di Buonaventura oder N. di S.?, in Alte und moderne Kunst, XXX (1985), 203, pp. 6-9; C. De Benedictis, La pittura del Trecento in terra di Siena, in La pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento, a cura di E. Castelnuovo, I, Milano 1986, pp. 283-316, 336 s.; M. Leoncini, Francesco di S., ibid., II, p. 571; Monteroni, arte, storia, territorio, a cura di R. Guerrini, Siena 1990, p. 95; G. Concioni - C. Ferri - G. Ghilarducci, Arte e pittura nel Medioevo lucchese, Lucca 1994, p. 296; F. Polcri, Un nuovo documento su N. di S., autore del polittico della Resurrezione di Sansepolcro, in Commentari d’arte,I (1995), 2,pp. 35-40; Museo diocesano di Pienza, a cura di L. Martini, Siena 1998, pp. 23-27; A. Padoa Rizzo, Iconografia di S. Giovanni Gualberto. La pittura in Toscana, Vallombrosa 2002, pp. 72 s.; A. Bagnoli, I pittori ducceschi, in Duccio. Alle origini della pittura senese (catal.), Siena 2003, pp. 265-277, 376 s.; B. Franci, ibid., pp. 364-375; N. Matteuzzi, N. di S.: un’ipotesi di ricostruzione e proposte per la cronologia, in Arte cristiana, XCVI (2008), 848, pp. 321-330; A. Bagnoli, Francesco di Segna, in La collegiata di San Gimignano…, Siena 2009, pp. 437-443; B. Franci, in La collezione Salini. Dipinti sculture e oreficerie dei secoli XII, XIII, XIV e XV, a cura di L. Bellosi, I, Firenze 2009, pp. 98-101; N. Matteuzzi, ibid., pp. 89-97.