LAMBERTI, Niccolò di Pietro
Figlio di un Pietro, di cui non è nota la professione, nacque intorno al 1370, probabilmente a Firenze.
Sebbene il L. sia largamente attestato nei documenti coevi, una ricostruzione della sua biografia si è avuta solo in anni recenti. I motivi di tale difficoltà sono da ricercare principalmente nella sovrapposizione che Giorgio Vasari fece tra due distinte figure - Niccolò di Pietro Lamberti e Niccolò di Pietro Spinelli da Arezzo - e nel numero esiguo di opere certamente riconducibili alla mano dello scultore.
La prima attestazione della sua attività risale al 1390, quando realizzò sei scudi di pietra per la loggia dei Lanzi. Il 1° apr. 1391 (Fabriczy) il L. si immatricolò presso l'arte dei legnaioli e scalpellini; e in tale occasione è dichiarato appartenere alla parrocchia di S. Michele Visdomini. A partire da tale anno, definito maestro, il L. compare con regolarità nei registri di pagamento dell'Opera del duomo in qualità di scultore, ma anche di tecnico per gli acquisti di marmo alle cave di Carrara e di consulente per la realizzazione degli sproni della tribuna.
Il 29 giugno 1392 il L. dichiarava di avere ricevuto 100 fiorini in dote da Caterina di Guglielmo da Tolosa, sua futura moglie e madre del figlio Pietro; all'epoca egli risultava "del Popolo" della chiesa di S. Pier Scheraggi.
L'ultimo decennio del XIV secolo fu per il giovane L. un periodo di intensa produzione, svolta da solo o associato ad altri scultori quali Giovanni d'Ambrogio, Jacopo di Piero Guidi, Piero di Giovanni Tedesco. Con tali artefici, negli anni 1391-95, il L. fu impegnato nella prima fase di lavorazione della porta della Mandorla, per la quale realizzò un angelo racchiuso in un compasso esagonale e una piccola figura nuda tra le foglie d'acanto - detta dell'Abbondanza - gotica nelle proporzioni allungate, ma con ascendenze classiche mutuate dalla scultura pisana trecentesca.
In un documento del 1394, relativo a un prestito in denaro ricevuto dagli Operai del duomo, il L. è citato per la prima volta con l'appellativo di Pela, che in seguito ricorre con grande frequenza nelle carte, forse per distinguerlo da eventuali omonimi. Risale al 1396 il pagamento di 100 fiorini d'oro al L. da parte dell'Opera del duomo per una scultura raffigurante la Vergine con il Bambino, di ardua identificazione, ma nella quale la critica recente ha inteso riconoscere la Madonna del timpano della porta dei Canonici, in virtù del fatto che nel 1402 il L. ricevette l'incarico di scolpire un angelo da collocare nel timpano, terminato nel 1403.
Tra il 1395 e il 1401 il L. e Piero di Giovanni Tedesco realizzarono quattro statue dei dottori della Chiesa, su disegno di Agnolo Gaddi, destinate alla facciata del duomo (da cui però furono asportate e trasferite sul viale di Poggio Imperiale; oggi, mutilate e manomesse, sono conservate nel Museo dell'Opera del duomo): il L. scolpì S. Agostino e S. Gregorio, dei quali il primo (luglio 1401) fu stimato ben 130 fiorini.
Nei Commentari, L. Ghiberti ricordava il L. tra i partecipanti al concorso del 1401 per la porta nord del battistero.
Gli artisti concorrenti furono sette: oltre a Ghiberti, Filippo Brunelleschi, Jacopo della Quercia, Simone da Colle, Francesco Valdambrino, il L. e Niccolò di Pietro da Arezzo. Soltanto sei di loro, però, consegnarono la formella del Sacrificio di Isacco, tema di gara, alla data di scadenza. La confusione tra i due artisti nacque qui: Vasari, difatti, riportava solo sei nomi, assimilando i due Niccolò in una sola persona. Sulla scorta di Vasari, molti studiosi tramandarono l'errore. Si deve a Ugo Procacci la confutazione di tale dato fallace: tra i documenti del duomo di Firenze i due scultori compaiono insieme, distintamente denominati, durante il consiglio per l'edificazione degli sproni della tribuna, nel 1404. Inoltre, nel caso di Niccolò da Arezzo viene di norma citata la città d'origine, mentre viene taciuta per il L., indizio chiaro che quest'ultimo era fiorentino.
Nel 1402 (Poggi, doc. 152) il L. lavorava a una Vergine, che Kreytenberg ha indicato nell'Annunciata attualmente installata sulla porta dei Cornacchini del duomo.
La Vergine è raffigurata in piedi, avvolta in un morbido manto sopra una veste lunga dal panneggio fluente, e colta in atteggiamento di ritrosia, la mano destra al petto. Il peso grava sul piede sinistro; mentre il destro in avanti determina un moto sinuoso dei panni, che si raccolgono sul busto, descrivendo pieghe curvilinee dai bordi falcati. L'anchement della figura affusolata rivela un linguaggio ancora tardogotico; ma nella fisionomia della Vergine, dai tratti severi, e nella capigliatura raccolta semplicemente da un nastro, si indovina una riflessione nuova sull'arte classica.
È datata 8 giugno 1403 la missiva con cui la Signoria di Firenze rispondeva al doge Michele Steno circa un trasferimento del L. a Venezia per sovrintendere alla costruzione di una sala in palazzo ducale. La Signoria richiamava gli impegni, non ancora onorati, presi dal L. con l'Opera del duomo e con l'arte dei giudici e notai riguardo ad alcune sculture e, pertanto, rifiutava il lasciapassare. Per l'arte dei giudici e notai il L. scolpì, tra il 1403 e la fine del 1406 una scultura raffigurante S. Luca destinata a decorare la nicchia della corporazione nella facciata principale della chiesa di Orsanmichele (dal lato di via Calzaioli), dove rimase sino al XVII secolo, quando venne sostituita da una in bronzo, opera del Giambologna (Jean Boulogne).
Oggi l'opera del L. si trova al Museo nazionale del Bargello; mentre la nicchia e i rilievi del frontone sono ancora in situ. Dal punto di vista stilistico il simulacro dell'evangelista è coerente con la Vergine Annunciata del duomo: la figura stante è morbidamente drappeggiata - con evidente sovrabbondanza di stoffa - secondo una linearità elegante e sofisticata, di marca ghibertiana. Le pieghe scanalate intorno alla gamba in riposo e le superfici tese generate dall'arto che sostiene il peso, contrastano con la dinamica di curve sul torso, negando il volume del corpo. Il volto, invece, dalla barba ricciuta e dalla linea affilata - guance segnate, sguardo lontano - manifesta una ricerca di maggior naturalismo.
Fabriczy riporta la notizia della realizzazione, nel 1405, della tomba di Leone Acciaioli, nella chiesa di S. Maria Novella, oggi perduta. Nella primavera dello stesso anno, invece, il L. si recò con Lorenzo di Giovanni d'Ambrogio a Carrara, per sgrossare quattro figure di marmo destinate al duomo (Poggi, doc. 162).
I blocchi certamente servivano per scolpire gli Evangelisti della facciata (oggi tutti al Museo dell'Opera del duomo), i quali, il 19 dic. 1408, furono allogati a Donatello (S. Giovanni), Nanni di Banco (S. Luca) e al L. (S. Marco); il S. Matteo sarebbe stato invece commissionato a chi tra di loro avesse più meritato. Nel febbraio seguente, però, l'Opera ne incaricò lo scultore Bernardo Ciuffagni (Poggi, docc. 172-173). Poiché il L. alternava il lavoro al S. Marco con altre commissioni - per il duomo stesso, per Orsanmichele, per il S. Francesco di Prato - la statua non fu ultimata che nel marzo 1415, quando fu apprezzata 130 fiorini. L'opera, firmata alla base, segna un netto progresso nell'arte del L., qui visibilmente influenzato dalle novità di Donatello e degli altri giovani artefici: il santo è assiso, la destra sollevata, con il Vangelo poggiato sulla coscia e retto dalla mano sinistra. Tutta l'immagine è improntata a una monumentalità nuova, ottenuta grazie a masse plastiche decise e a una struttura a chiasmo degli arti che movimenta la figura, suggerendo un moto interno. Il panneggio, in realtà, si presenta ancora legato al passato e calligrafico tanto nei bordi ondulati quanto nell'andamento ascensionale delle pieghe del busto che, avvolgendo le spalle, ne impediscono la definizione. Il volto, di palese ispirazione antica, si caratterizza per la barba folta e per l'arcata sopracciliare leggermente asimmetrica, che conferisce intensità allo sguardo.
Accanto a questa importante commissione il L. è attestato operoso nella seconda campagna per la porta della Mandorla (1404-09), dove eseguì alcuni fregi decorativi per l'archivolto e gli angeli con i cartigli. Le sue prestazioni, comunque, non dovettero soddisfare gli Operai, i quali nel maggio 1408 gli ingiunsero di provvedere a correggere i propri manufatti, che non rispondevano ai disegni di Giovanni d'Ambrogio. Nel contempo, il L. operava per la fabbrica di Orsanmichele: nel 1409 fu incaricato dall'arte dei linaioli di recarsi a Carrara per scegliere e sgrossare un blocco marmoreo per erigere un S. Marco per la facciata, scultura poi allogata a Donatello. Nel 1410 è citato più volte nei registri di pagamento come capomastro per la decorazione della porta della chiesa, verso il palazzo di Calimala. In tale frangente compare per la prima volta il figlio Pietro, retribuito per aver nettato - dunque rifinito - nove opere del tabernacolo della Vergine (Finiello Zervas, doc. 300). Nel dicembre dello stesso anno, però, il L. venne licenziato per essersi assentato dal cantiere per cinque giorni, "quando andò a Charrara pe' suoi fatti" (ibid., doc. 310). Tra il 1411 e il 1412 il L. scolpì la lapide funeraria di Francesco di Marco Datini, di gusto tardogotico, tuttora conservata nel duomo di Prato: il mercante è raffigurato mentre giace sul letto di morte, entro un'edicola cuspidata e impreziosita da colonnine tortili. Nel 1413 Guasti lo dice attivo per la facciata del duomo di Prato, in veste presumibilmente di architetto: infatti gli fu richiesto dagli Operai del Cingolo di non smontare i ponteggi che poi sarebbero serviti per il nuovo pulpito, commissionato infine a Donatello e Michelozzo nel 1428.
"Maistro Nicolo Pela" è documentato a Venezia il 23 ott. 1416 in una nota a tergo del testamento del lapicida Pietro da Campione, come debitore di quest'ultimo per dei fogliami scolpiti (P. Paoletti, p. 117). Il tipo di commissione che il L. rivolse a Pietro da Campione ha suscitato numerosi interrogativi circa il ruolo che il L. avrebbe svolto in Laguna. La critica recente è orientata a riconoscergli una funzione di coordinamento nella decorazione della basilica di S. Marco (Markham Schulz, p. 15).
Nel luglio 1419 il L. figura in due rescritti a firma di Paolo Guinigi, signore di Lucca, indirizzati rispettivamente a Leonardo Mocenigo e Marino Caravello, procuratori di S. Marco, e al doge Tommaso Mocenigo. Il L. era stato inviato alle cave di Carrara - di proprietà lucchese - dalla Serenissima per scegliere e comperare un grande quantitativo di marmo destinato alla basilica; non potendo soddisfare subito tale illustre comanda, Guinigi in persona scrive al doge per far sapere che il marmo sarebbe stato pronto per il marzo seguente e che il L. riguardo quanto "a lui avete commesso con ogni solicitudine ae cercato mettere ad effecto". Il 24 febbr. 1420 il L. è nuovamente a Lucca per adempiere al compito (Fabriczy, p. 10).
Il 30 apr. 1420 il L. è a Firenze: gli Operai del duomo gli restituiscono del materiale da lavoro che egli aveva lasciato (marmo, legno, pietre). Oltre ad alcune testimonianze non assumibili con sicurezza, a causa dell'assenza del patronimico o dell'appellativo o della città d'origine, il L. compare con certezza a Bologna il 7 giugno 1428, citato come "Nicolaus Petri Pela de Florentia", in un arbitrato tra l'Opera di S. Petronio e il lapicida Domenico di Sandro da Fiesole. Un Niccolò di Piero da Firenze, verosimilmente il L., fu attivo nel palazzo degli Anziani di Bologna nel 1429; ma non si sa a quali opere.
Non si conosce l'esatta data di morte del L. avvenuta probabilmente prima del 22 ag. 1434, come dimostra una firma autografa di Pietro Lamberti, che si dichiara figlio "del quondam Nicolò da Firenze" (Sartori, p. 132). Il documento è oggi scomparso, ma Markham Schulz ne ha pubblicato uno datato al 1435, in cui Pietro compare come "filius quondam Nicolai". Procacci, invece, nel 1927 aveva riportato il documento di morte, datato 25 giugno 1451, di "Nicholo chiamato Pela populo di S. Lorenzo riposto in Santo Barnaba".
Fonti e Bibl.: C. Guasti, Il pergamo di Donatello pel duomo di Prato, Firenze 1887, p. 12; P. Paoletti, L'architettura e la scultura del Rinascimento in Venezia, Venezia 1893, p. 117 (doc. 111); C. von Fabriczy, Niccolò di Piero Lambertid'Arezzo. Nuovi appunti sulla vita e sulle opere del maestro, in Arch. stor. italiano, s. 5, XXIX (1902), pp. 308-327; G. Poggi, Il duomo di Firenze (1909), a cura di M. Haines, Firenze 1988, ad indicem; I.B. Supino, La scultura in Bologna nel sec. XV, Bologna 1910, ad indicem; U. Procacci, N. di P. L., detto il Pela di Firenze e Niccolò di Pietro Spinelli d'Arezzo, in Il Vasari, I (1927), pp. 300-309; G. Fiocco, I Lamberti a Venezia, I, N. di P. L., in Dedalo, VIII (1927-28), pp. 287-314; III, Imitatori e seguaci, ibid., pp. 432-458; Id., in Enc. Italiana, XX, Roma 1933, pp. 411 s. (s.v. Lamberti Niccolò); R. Krautheimer, Lorenzo Ghiberti, Princeton, NJ, 1956, ad indicem; A. Sartori, Documenti per la storia dell'arte a Padova, Vicenza 1976, ad indicem; W. Wolters, La scultura veneziana gotica (1300-1460), Venezia 1976, ad indicem; G.R. Goldner, N. and Piero Lamberti (tesi di dottorato, Princeton University, 1972), New York 1978; Id., Two statuettes from the doorway of the campanile of Florence, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XVIII (1974), pp. 214-226; Id., N. L.and the Gothic sculpture of S. Marco in Venice, in Gazette des beaux-arts, s. 6, LXXXIX (1977), pp. 41-50; Id., The decoration of the main façade window of S. Marco in Venice, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XXI (1977), pp. 13-34; A. Markham Schulz, Revising the history of Venetian Renaissance sculpture: Niccolò and Pietro Lamberti, in Saggi e memorie di storia dell'arte, XV (1986), pp. 7-61, ill. pp. 137-222; G. Kreytenberg, Una "Madonna lignea" di N. di P. L., in Prospettiva, 1988-89, nn. 53-56, pp. 184-189; M. Bergstein, Two early Renaissance putti: N. di P. L. and Nanni di Banco, in Zeitschrift für Kunstgeschichte, LII (1989), 1, pp. 82-88; L. Cavazzini, N. di P. L. a Venezia, in Prospettiva, 1992, n. 66, pp. 10-26; D. Finiello Zervas, Orsanmichele. Documenti 1336-1452, Modena 1996, pp. 126 s., 129 s., 132; J.T. Paoletti, in The Dictionary of art, XVIII, London-New York 1996, pp. 673 s.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXV, pp. 436-438 (s.v.Niccolò di Pietro).