NICCOLÒ (Nicolò) di Liberatore, detto l’Alunno o Niccolò Alunno o Niccolò da Foligno
Si ignora la data di nascita di questo pittore, originario di Foligno, figlio di Liberatore di Giacomo di Mariano, appartenente a una famiglia di speziali.
Poiché il primo documento che lo chiama in causa quale testimone risale al 1454 (Felicetti, 2000; Todini, 2004, pp. 92-97, ai quali si fa riferimento per tutti i documenti citati), periodo in cui doveva essere già operoso come artista, è probabile che sia nato verso il 1430-35 circa.
L’appellativo di Alunno, creato da Giorgio Vasari (1568), che avrebbe indotto Luigi Lanzi (1795-96) a ritenere Niccolò di Liberatore una personalità distinta, è il frutto di un fraintendimento della firma apposta sulla predella (Parigi, Musée du Louvre) del polittico già nella chiesa di S. Nicolò a Foligno: «Nicholaus alumnus / Fulginiae, patriae pulcra corona suae». Con essa l’artista affermava orgogliosamente i propri natali e la discendenza dalla scuola pittorica folignate.
Come denota il timbro formale delle prime opere, la formazione artistica di Niccolò si svolse verosimilmente negli anni intorno al 1450. I rapporti intercorsi con Pietro di Giovanni Mazzaforte (doc. tra 1432 e 1480: Todini, 2004, pp. 89-91), figura dal profilo ancora discusso, di cui nel 1460 Niccolò sposò la figlia Caterina, suggeriscono che questo tirocinio sia stato condotto – almeno nella sua fase più avanzata – nella bottega del futuro suocero, figlio di Giovanni di Corraduccio, maggiore esponente, accanto a Bartolomeo di Tommaso, della cultura figurativa locale in età tardogotica. Un gruppo di tavole – tra cui le Storie del Battista, divise tra la Pinacoteca Vaticana e una collezione privata, e gli stendardi della Pinacoteca comunale di Trevi e della Pinacoteca civica di Spello – che una parte della critica (Lunghi, 1993A; Id., 1993B; De Marchi, 2001) tende a riconoscere a Pietro, esibisce elementi comuni ai dipinti della prima attività di Niccolò, al quale è stato in passato talvolta attribuito. La responsabilità di entrambi i pittori nella realizzazione di alcune opere rende assai verosimile la proposta che i due maestri, le cui abitazioni erano fra loro confinanti, abbiano costituito nel corso degli anni Cinquanta una compagnia.
Ciò è confermato da un atto del 1458, in cui il pittore Ugolino di Gisberto si impegnava a lavorare come garzone presso la bottega dei due artisti. Secondo Lunghi (2000, p. 202) Niccolò potrebbe inoltre essere quel «garzone de mastro Pietro» documentato nel 1451 in relazione all’invio di un gonfalone da Foligno ad Assisi. Tale società si sarebbe sciolta poco dopo gli inizi del decennio seguente, sebbene nel 1467, allorché era prossimo a divenire uno tra i consiglieri del Comune, Niccolò sia ancora definito «bonus iuvenis» (ma, nello stesso atto, «doctus magister in arte sua», a suggello della conseguita affermazione quale artista).
La ricostruzione del percorso biografico e professionale seguito dal pittore è agevolata dalle notizie fornite dalle fonti cinque-seicentesche (Vasari, fra Ludovico da Pietralunga, Durante Dorio, Ludovico Jacobilli), dalla dovizia di opere documentate e dal materiale d’archivio inizialmente raccolto da Rossi (1872, 1883) e di recente incrementato (Sensi, 1982; Felicetti, 2000).
Prima opera firmata è la Madonna in adorazione del Bambino, tra angeli, i ss. Francesco e Bernardino e il committente Jacopo de Rossi (Deruta, Pinacoteca comunale), in origine datata 1457 (o, per alcuni, 1458). Essa era il centro di un trittico di cui non si conoscono gli altri pannelli principali raffiguranti, secondo una fonte ottocentesca (cfr. Martino, 2004),quattro Santi (un probabile frammento della predella è stato invece rintracciato in una collezione privata; Todini, 2004), destinato con probabilità alla chiesa francescana di S. Maria dei Consoli a Deruta. La tavola è la testimonianza dell’impatto decisivo lasciato nella formazione di Niccolò dall’attività umbra di Benozzo Gozzoli, essendo la trasposizione di una composizione inaugurata dal pittore fiorentino in un dipinto (oggi a Vienna, Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie) già in S. Francesco a Montefalco. Oltre a Gozzoli, Niccolò dimostra una profonda conoscenza del polittico Guidalotti dipinto circa un decennio prima dal Beato Angelico per la città di Perugia (ora smembrato tra la Galleria nazionale dell’Umbria e la Pinacoteca Vaticana) mentre qui come in altri esiti coevi non emergono forti confluenze con lo stile di Bartolomeo di Tommaso, che può essere al più evocato «come precedente di gusto» (Todini, 2004, p. 19).
Era firmata e datata 1456 secondo Dorio (sec. XVII), ovvero 1458 per Jacobilli (1653), la decorazione della cappella di S. Marta nella chiesa abbaziale di S. Maria in Campis, nei pressi di Foligno (cfr. Omelia, 1977). Gli affreschi, in parte frammentari, i cui riquadri principali raffigurano la Crocifissione e alcune Storie di s.Tommaso, pongono la questione della collaborazione con una personalità di cultura più arcaizzante, ossia con l’artista riconoscibile in Pietro Mazzaforte, che intervenne nell’Elemosina di s. Tommaso, nell’Incredulità del santo e forse nella Distruzione degli idoli. Al confronto, lo stile di Niccolò denota una più spiccata aderenza ai canoni del primo Rinascimento umbro e una simpatia per un formulario espressivo di matrice nordica. Nella stessa chiesa, la critica è divisa nella valutazione della cappella, beneficiata da Pietro di Cola delle Casse a partire dal 1452 (Sensi, 1982), la cui erezione doveva essere terminata nel 1454. Al ciclo di affreschi che la decora, eseguito probabilmente poco dopo, presero parte più maestri, tra cui Pietro Mazzaforte, al quale spettano le parti più consone alla sensibilità tardogotica (la porzione sinistra, per esempio, della scena con la Navicella di s. Pietro e vari Santi), e un artista dal bagaglio culturale sia gozzolesco sia angelichiano (che dovette aver studiato le operedi quest’ultimo maestro a Roma), dalle predilezioni nuovamente nordicizzanti, che squadra i volumi e i tagli delle luci radenti in una sintesi formale di elevata resa icastica. Già battezzato quale Maestro di Cola delle Casse (Todini, 1987, 1989, 2004), oppure identificato con il giovane Pierantonio Mezzastris (Gnoli, 1923, p. 239; cfr., per un consuntivo, Lunghi, 2004), questi potrebbe rappresentare per alcuni studiosi lo stesso Niccolò, nella fase iniziale del suo itinerario (Faloci Pulignani, 1884; Boccolini, 1942; De Marchi, 2001). La questione è al momento aperta, mentre si possono accostare con maggiore sicurezza nei pressi della Madonna di Deruta del 1457, per ragioni di consonanza formale, opere come lo stendardo bifronte della Pinacoteca comunale di Foligno, dipinto per la Confraternita di S. Vitale ad Assisi, la Crocifissione del Pomona College Museum of art a Claremont, California (collezione Kress) e alcuni affreschi della badia di S. Michele a Limigiano, pressoBevagna. In questi ultimi – come poi nella Crocifissione del Museo di S. Francesco a Montefalco e negli affreschi della cappella Tega a Spello (1461) – Niccolò lavorò al fianco del pittore identificabile in Pietro Mazzaforte.
I rapporti con l’Angelico, forse tra i mediatori della perspicuità ottica di ascendenza fiamminga sopra notata, si colgono anche nella tavola bifacciale (forse in origine un gonfalone) formata dalla Madonna col Bambino e s. Anna del Metropolitan Museum di New York (collezione Lehman) e dal S. Michele dello University Art Museum di Princeton, il cui lessico architettonico si rifà fedelmente al repertorio del frate.
Il polittico già sull’altare maggiore della cattedrale di S. Rufino ad Assisi (oggi esposto nell’attiguo Museo), firmato e in origine datato, secondo una fonte seicentesca, 1462, documenta una chiara elaborazione dei principi della pittura rinascimentale, sostenuta da una raffinata concezione luministica e da rinnovati influssi dell’opera perugina dell’Angelico, echeggiata nelle composizioni della predella. Niccolò licenziò una seconda opera per Assisi, il gonfalone su tela realizzato grazie a un lascito dello stesso 1462 per la confraternita di S. Crispino (Assisi, Pinacoteca comunale), una replica del quale è pervenuta al Musée du Petit Palais di Avignone.
Al 1463 è stata riferita la decorazione dell’edicola lignea della confraternita di S. Maria della Misericordia a Foligno (Lunghi, 1993A, p. 71), pagata in quell’anno a Pietro Mazzaforte, ma spettante alla mano di Niccolò. La questione dei lavori condivisi con il suocero si ripropone a proposito del polittico eseguito per la chiesa di S. Francesco a Cagli, firmato dal solo Niccolò e datato 1465.
Nel tardo Cinquecento Orazio Civalli (cfr. Todini, 2004, p. 540) ricordò di aver letto nel contratto di allogazione del 1461, sinora non reperito, il nome di Pietro, benché l’opera mostri una condotta affatto unitaria. L’ancona, conservata quasi integralmente presso la Pinacoteca di Brera a Milano (due cuspidi e parti della predella sono divise tra la Landesgalerie del Niedersächsisches Landesmuseum di Hannover e il Museo di S. Francesco a San Marino), costituisce la prima importante commissione per le Marche, occasione che è stata valutata dalla critica anche in relazione alla possibilità di un aggiornamento sulle opere di Antonio e Bartolomeo Vivarini presenti sul litorale (Perkins, 1931; Todini, 2004).
Seguì, nel 1466, il grandioso polittico per la chiesa di S. Agostino a Montelparo (Pinacoteca Vaticana) e nel 1468 il pentittico (commissionato due anni prima) del duomo Vecchio di Sanseverino Marche (esposto nella locale Pinacoteca comunale), mentre isolata restò l’attività per la città di Perugia, che si limitò all’esecuzione, nel 1466, del gonfalone con l’Annunciazione per la chiesa di S. Maria dei Servi (oggi nella Galleria nazionale dell’Umbria). Nel 1468 l’artista fu nuovamente operoso per la città di Assisi, per la cui Confraternita di S. Gregorio licenziò uno stendardo, firmato, oggi presso la Staatliche Kunsthalle di Karlsruhe (un terzo gonfalone, di circa un decennio successivo, proveniente dalla chiesa di S. Francesco, si conserva a Kevelaer, Priesterhaus).
Questa serie di opere permette di cogliere la progressiva evoluzione dello stile dell’artista verso un plasticismo sempre più sostenuto; in essa Niccolò definì inoltre un campionario di tipologie e un formulario espressivo destinato a subire lievi mutazioni, caratterizzato da una tensione psicologica strenuamente ricercata, da un naturalismo vivido e talvolta ossessivo, da un’enfasi sugli aspetti patetici che influenzarono poco dopo il 1470 l’attività marchigiana di Carlo Crivelli.
A partire dal 1466 si infittisce la documentazione sulla vita privata e pubblica del pittore, menzionato costantemente a Foligno, ove aveva sede la sua bottega, registrata nel 1470 e nel 1482 nella piazza Vecchia, accanto a quella di Mezzastris. Negli anni seguenti prese lentamente corpo una prospera carriera negli uffici del Comune, che, come enunciato innanzi, nel 1467 portò Niccolò tra i membri del Consiglio dei cento, prima della nomina a priore nel 1475 e a castellano della rocca di Verchiano nel 1477.
Nel 1470 firmò con l’intagliatore Giovanni di Stefano da Montelparo il contratto relativo alla carpenteria del polittico destinato all’altare maggiore della chiesa di S. Francesco a Gualdo Tadino, al quale si riferisce anche un legato testamentario dell’anno seguente, allorché il lavoro era in corso. Firmata e datata 1471, l’opera (esposta nel locale Museo civico), orchestrata su quattro registri, conferma il ruolo dell’artista quale autore di diverse tra le più imponenti macchine d’altare del primo Rinascimento umbro e marchigiano. Agli anni intorno al 1470 spettano anche i quattro Santi della chiesa di S. Maria in Piazza a Sarnano, parti di un polittico smembrato, e la Madonna con il Bambino, angeli e un donatore tra due santi del Fogg Art Museum di Cambridge (Massachusetts), che è stata ipoteticamente riconosciuta (a partire da Gnoli, 1912) nella tavola ammirata da Dorio (XVII sec.) a Camerino, cui rimase impresso il dettaglio crivellesco della «caraffa d’acqua con fiori dentro, et mostra reverberarci il sole».
Alcuni affreschi sono stati rinvenuti nella casa del pittore a Foligno (Benazzi, 2000), posta a fianco del monastero di S. Anna, la cui pertinenza alla mano di Niccolò risulta tuttavia parziale: autografa appare la cornice dipinta di una porta, con il monogramma bernardiniano e due figure, che reca la data 1473.
Il polittico della collezione Albani Torlonia a Roma (ripr. in Todini, 2004,p. 568), datato 1475, contiene i primi indizi dell’influsso della cultura figurativa di Andrea del Verrocchio, che stava imponendosi in quel frangente nell’ambiente artistico perugino. Tale apporto irrobustì ulteriormente il linguaggio dell’artista, sensibile a continui aggiornamenti, ed è riscontrabile nella maggior insistenza sui valori plastico-lineari (in particolare nella figura del Battista), che si ritrova a un grado di maggiore sviluppo nel fastoso trittico ultimato nel 1480 per la chiesa di S. Venanzio a Camerino, uno tra i risultati maggiori del maestro folignate.
Il registro maggiore con la Crocifissione e quattro santi è oggi esposto nella Pinacoteca Vaticana, mentre due cuspidi, i pilastrini laterali e la predella sono divisi tra il Musée du Petit Palais di Avignone, il Museum of fine arts di Boston e una collezione privata. Si osserva qui una nuova concezione della carpenteria, con cuspidi svettanti che sarebbero state riprese di lì a poco da Crivelli, un pittore con cui Niccolò continuò a intrattenere un dialogo fecondo.
L’attività per l’Appennino marchigiano proseguì poco oltre con l’esecuzione dello stendardo bifacciale forse proveniente dalla confraternita di S. Sebastiano ad Arcevia (Bologna, Pinacoteca nazionale) e datato 1481 o 1482, nel quale si colgono analogie con lo stile di Fiorenzo di Lorenzo e di Piermatteo d’Amelia.
Nel 1480 Niccolò, assistito per la prima volta dal figlio Lattanzio (doc. 1474-1527), assunse l’incarico di dipingere «unam conam» per la chiesa di S. Giovanni a Cannara, portata a termine nel 1482, come si deduce dall’iscrizione in calce alla tavola, tuttora in loco, che ricorda il ruolo dei committenti laici. Essa è il primo esempio di pala quadra nella produzione dell’artista, che avrebbe poi continuato a prediligere per lo più il genere del polittico a scomparti, come rivela il complesso con la Natività e santi già nella cattedrale di Nocera Umbra (oggi custodito nella Pinacoteca comunale), firmato e datato 1483. Due anni più tardi stabilì il compenso dovuto a Nerio di Monte da Perugia per la realizzazione di una vetrata per la chiesa di S. Feliciano a Foligno e stipulò un secondo contratto (essendo già scaduti i termini di quello stilato nel 1479) con Brigida di ser Giovanni degli Elmi, relativo all’esecuzione di una «tabula sive cona» da compiersi «ad veram et debitam perfectionem» entro due anni per la cappella che la committente aveva fatto costruire nella chiesa di S. Nicolò a Foligno. I lavori si protrassero tuttavia per alcuni anni e, nel frattempo, Niccolò licenziò il trittico ad ante mobili oggi alla National Gallery di Londra (dal convento di S. Chiara all’Aquila), firmato e datato 1487, così come un’ancona con la Pietà per la chiesa della Confraternita di S. Maria delle Grazie a Todi, di cui è sopravvissuta solo la predella (Foligno, Pinacoteca comunale), recante la firma di Niccolò e del figlio Lattanzio e la data 1491 (Bruni - Sensi, 1984). Quest’ultimo affiancò il padre in diverse commissioni tarde e la critica appare talvolta divisa nell’attribuzione di alcune opere all’una o all’altra personalità. All’interno di tale sodalizio la figura di Niccolò risulta tuttavia quella predominante, come dimostra la parabola figurativa degli ultimi anni di attività. Nel citato polittico di S. Nicolò (datato 1492), ancora in situ a eccezione della predella emigrata al Louvre, è evidente il passaggio dalle parti più antiche (i pilastrini) a quelle dipinte dopo il 1485-87 (diversi tra gli scomparti maggiori e la predella), ove emerge un nuovo interesse per lo stile di Luca Signorelli, operoso in quel frangente in Umbria e nelle Marche, e in parte per Pietro di Galeotto e Perugino (quest’ultimo nella resa del paesaggio). Il linguaggio è infatti più aspramente espressivo, la muscolatura più nervosa e tesa, le figure più elastiche e allungate. Questi dati si colgono anche nella pala con l’Incoronazione della Vergine e due santi, portata a termine nel 1495, come attesta una quietanza di quell’anno, che fa riferimento al lascito testamentario di Antonia, vedova di Giovanni di Antonio di Marino Guerci, che volle l’opera per la cappella eretta dal marito nella chiesa di S. Nicolò a Foligno.
Il Crocifisso tra due santi su tela (Terni, Pinacoteca comunale), che è datato 1497, e l’Imago Pietatis della Pinacoteca comunale di Foligno sono esempi della produzione devozionale dell’attività inoltrata di Niccolò, caratterizzata da quel patetismo languido ed esasperato che è alla base sia della sua fortuna (a iniziare da Vasari), sia delle stroncature (in particolare quella di Adolfo Venturi) nella storiografia tra Otto e Novecento (cfr. Cesarini, 1984; Mercurelli Salari, 2000). Allo stesso anno si lega l’esecuzione di un trittico su tela, probabilmente formato dalla Madonna del Soccorso tra due santi e diviso tra la Galleria Colonna a Roma, lo Szépművészeti Múzeum di Budapest e una collezione privata (Omelia, 1966). Il trittico della collegiata della S. Croce a Bastia Umbria, firmato e datato 1499, rivela l’ascendente di Pintoricchio: si tratta di una fra le ultime commissioni impegnative assunte dall’artista, che lasciò poi incompiuta l’esecuzione della tavola con il Martirio di s. Bartolomeo (Foligno, chiesa di S. Bartolomeo di Marano). In un codicillo del 18 agosto 1502, apportato al testamento stilato sei giorni prima, si specifica come Lattanzio avrebbe dovuto portare a compimento la realizzazione del dipinto.
Morì a Foligno tra questa data e il successivo 1° dicembre, quando i figli Lattanzio e Marchesio pervennero alla divisione della sua eredità.
Fu figura di indubbio rilievo nella pittura della seconda metà del Quattrocento in Italia centrale e la personalità di maggior spicco in questo frangente nell’Umbria meridionale, ove seppe fondere in una sintesi di forte originalità gli apporti della cultura fiorentina con le peculiari tendenze espressive proprie della tradizione locale. Oltre che a Foligno, il suo magistero trovò eco a Perugia, ove influenzò artisti come Bartolomeo Caporali, e nelle Marche, dove maestri come Lorenzo d’Alessandro e Ludovico Urbani risentirono del suo linguaggio innovativo e carico di suggestione.
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