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BISENZIO, Niccolò di

di Daniel Waley - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 10 (1968)
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BISENZIO, Niccolò di

Daniel Waley

Figlio di Guido il Vecchio, signore di Bisenzio (sul lago di Bolsena), nacque probabilmente intorno al 1230. Nulla sappiamo delle sue vicende sino al 1257, anno in cui, insieme col padre e con i fratelli Guido il Giovane, Giacomo e Tancredi, sottomise ad Orvieto Capodimonte, un centro fortificato sulle rive meridionali del lago. Cinque anni dopo, morti il padre e, con ogni probabilità, Guido il Giovane, i tre fratelli superstiti decisero di compiere una nuova suddivisione delle terre sottoposte alla loro signoria; il B., che aveva in precedenza venduto a Giacomo la sua parte dell'isola Martana ed aveva ricevuto in Bisenzio la parte spettante a Tancredi, s'indusse ad accettare un accordo in base al quale egli avrebbe esercitato insieme coi suoi fratelli, in comune, la signoria su Bisenzio e sull'isola Bisentina sulle quali veniva riconosciuta contemporaneamente l'alta sovranità di Orvieto (1º giugno 1262).

L'energica volontà dimostrata dal papa Urbano IV di risolvere una volta per tutte, facendo valere i diritti della Chiesa, la questione della sovranità sulle regioni del lago di Bolsena, regioni che la Sede apostolica da tempo rivendicava come proprie, non poteva che necessariamente portare ad uno scontro armato fra Roma ed i signori feudali del luogo. Il riconoscimento, da parte del B. e dei suoi fratelli, dell'alta signoria di Orvieto sulle isole Martana e Bisentina deve con ogni probabilità interpretarsi come una prima misura difensiva contro il pericolo rappresentato dalle rivendicazioni del pontefice; ed eguale significato è da attribuirsi alla sottomissione di Piansano a Tuscania, compiuta dal B. nell'anno successivo (5 maggio 1263). Tali manovre non sortirono tuttavia l'effetto desiderato se, ancora nel nov. 1262, il pontefice annullava l'atto di sottomissione a Orvieto del 1º giugno precedente, ed arrivava, come pare, ad ottenere un riconoscimento della sovranità della Sede apostolica sull'isola Bisentina, che in suo onore venne ribattezzata isola Urbana. Nello stesso torno di tempo Urbano IV riuscì ad infliggere un secondo scacco ai signori di Bisenzio: giunto a metter le mani su Giacomo - che, tradotto prigioniero a Montefiascone, vi rimase per qualche tempo -, lo fece rilasciare solo dopo averne comprato, in cambio, tutti i diritti su Martana.

L'atto era di notevole gravità non solo per il B. e suo fratello Tancredi - i quali avevano mostrato chiaramente la loro riluttanza a divenire vassalli del pontefice -, ma anche per le limitrofe comunità di Orvieto, di Tuscania e Viterbo, le cui autonomie erano del pari minacciate dalle rivendicazioni del papa. Il rettore del Patrimonio di S. Pietro in Tuscia, Guiscardo di Pietrasanta (un esperto magistrato di origine milanese, che era stato in precedenza podestà a Genova, a Firenze, a Modena, a Lucca ed a Piacenza), aveva emesso una sentenza contro Giacomo di Bisenzio - probabilmente durante la prigionia di quest'ultimo a Montefiascone - ed aveva opportunamente manovrato per premunirsi contro le eventuali mosse del B. e di Tancredi, prendendo dei pegni per assicurarsi la loro buona condotta futura.

Fu in seguito a questi fatti che il B. strinse formale alleanza con i prefetti di Viterbo per far fronte al comune pericolo; e quando seppe che Guiscardo di Pietrasanta avrebbe attraversato le sue terre nel compiere un viaggio da Montefiascone a Canino, credette giunto il momento d'agire. Tesagli un'imboscata, con l'aiuto ed il concorso dei suoi fratelli, egli assalì il rettore che, nonostante la resistenza opposta dai suoi, venne sopraffatto e ucciso: il suo cadavere, mutilato, fu abbandonato sul terreno (4 febbr. 1264). Tuttavia il B. non poté godere del successo ottenuto: ferito gravemente nello scontro, moriva infatti pochi giorni dopo il suo avversario.

Lasciava almeno due figli, di cui uno si chiamava Galasso: il nome dell'altro ci è ignoto. Quanto ai suoi due fratelli, Giacomo e Tancredi, essi riuscirono a salvarsi con la fuga e ad evitare la condanna che, lanciata contro di loro dal papa, rimase senza effetto alcuno.

Fonti e Bibl.: L. Fumi,Codice diplom. della Città d'Orvieto, Firenze 1884, pp. 214 s., 233, 238 s.; Les registres d'Urbain IV, a c. di J. Guiraud, II, Paris 1901, nn. 140, 757, 764; Vita Urbani IV, in L. A. Muratori,Rerum Italic. Script., III, 2, Mediolani 1734, pp. 410 s., 415, 419; Ephemerides Urbevetanae..., in Rerum Italic. Script., 2 ed., XV, 5, vol. 1, a c. di L. Fumi, pp. 129, 155; S. Campanari,Tuscania e i suoi monumenti, II, Montefiascone 1856, pp. 167 ss.; E. Jordan,Les origines de la domin. angevine en Italie, Paris 1909, pp. 311, 321, 325, 484; D. Waley,The Papal State in the 13th Century, London 1961, pp. 167-170.

Vedi anche
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niccolo nìccolo s. m. [alteraz. del lat. onychĭnus agg. «di onice»]. – Termine presente in vecchi cataloghi di collezioni di gemme: non ha sign. univoco, e spesso è stato usato come sinon. pop. di onice.
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