NICCOLO dell'Isola
NICCOLÒ dell’Isola (dall’Isola). – Non è noto l’anno di nascita di questo miles, probabilmente originario di Isola del Gran Sasso, nella diocesi di Penne in Abruzzo Ultra, che si trasferì all’Aquila intorno al 1270, diventandone cittadino.
Probabilmente ottenne lo status di miles diversi anni dopo il suo trasferimento. Buccio di Ranallo (Cronica, 2008, st. 140, p. 46) narra infatti che era molto amato all’Aquila, negli anni Settanta, «prima che fosse facto cavalero vangiato». In un’epigrafe del 1284 non più esistente (riportata da Toppi, 1678, pp. 221s.), che lo definisce «pater patrie et Aquilane civitatis defensor» e lo elogia per la «vitae integritas» e la «iudicii praestantia», non compaiono appellativi di carattere nobiliare. La prima attestazione della sua condizione risale dunque al 26 aprile 1292, in una lettera di Carlo Martello, figlio di Carlo II d’Angiò re di Napoli, indirizzata «Nicolao de Insula militi de Aquila» (I registri della Cancelleria angioina, XLIV, n. 115, pp. 30 s.).
L’azione di questo «cavalero del populu» (Buccio di Ranallo, Cronica, 2008, st. 150, p. 49) si concretizzò contro gli abusi degli officiali regi e di parte della nobiltà locale ai danni dei populares sul piano fiscale. Negli anni Ottanta si determinò una situazione per la quale il capitano regio era di fatto costretto ad agire in accordo con Niccolò e non era dunque libero di esercitare le sue funzioni, ossia la giustizia criminale e il mantenimento dell’ordine pubblico. Tuttavia il suo potere informale era tollerato da Carlo II, che in una missiva del 16 gennaio 1293, destinata al capitano e a lui, pregava i due di garantire a un chierico il possesso di una chiesa e dei relativi diritti che gli aveva assegnato. Due giorni prima il re aveva attribuito a Niccolò una provvigione di 10 once d’oro l’anno.
Non mancarono peraltro contrasti anche armati tra Niccolò e la nobiltà locale, che preoccupavano il sovrano. Nel 1292 i conflitti tra i due schieramenti determinarono la consegna a Gentile di Sangro, capitano dell’Aquila, di ostaggi, poi liberati nel gennaio 1293. Forse per lo stesso motivo Nicoluccio, figlio naturale di Niccolò, fu destinato in custodia alla corte napoletana, il 20 febbraio 1293, su ordine di Carlo Martello.
In questo clima Niccolò, forte del favore popolare, «cominciò a eccedere alquanto il modo et la mesura della modestia» (Cirillo, 1570, c. 10v). Usurpò il beneficio di una chiesa aquilana, poi tolto ai suoi eredi dal re il 12 giugno 1294. L’ostilità della nobiltà aquilana rese concreto il pericolo di un attacco alla sua persona. Niccolò convocò allora un parlamento cittadino, nel quale presentò l’esistenza dei castelli del circondario come lesiva della libertà del popolo aquilano. La città era stata fondata qualche decennio addietro da immigrati provenienti da quegli stessi castelli, ma una parte dei loro detentori si opponeva ancora all’acquisizione della libertà personale degli abitanti delle rocche. Facendo leva sul sentimento antinobiliare determinato da questa opposizione, Niccolò condusse gli aquilani alla distruzione di alcuni di quei castelli.
I suoi avversari reagirono denunciandone lo strapotere direttamente al re. Secondo loro gli aquilani amavano più Niccolò che il sovrano, il quale «no potea aver denaro» senza il suo beneplacito. Carlo II, considerando anche la distruzione non autorizzata delle rocche, ordinò l’uccisione di Niccolò e inviò una spedizione capeggiata da Carlo Martello, che giunse all’Aquila il 10 luglio 1293. Niccolò gli andò incontro con un folto drappello di cavalieri rendendogli omaggio e in un successivo incontro riuscì a convincerlo dell’infondatezza delle accuse di tradimento che gli venivano rivolte. Carlo II non desistette e inviò una nuova spedizione sotto la guida di Gentile di Sangro, nominato nuovamente capitano dell’Aquila. Niccolò venne a saperlo e riuscì a fuggire prima del suo arrivo.
Il forte sostegno popolare ne rendeva impossibile l’eliminazione fisica in modo aperto: pertanto i nobili suoi nemici decisero di avvelenarlo. Il proposito fu attuato e Niccolò morì in un giorno imprecisato antecedente il 12 agosto 1293 (I registri della Cancelleria angioina, XLVII, n. 610, p. 216).
Scompariva così un capo che, non diversamente da quanto avvenne nel Duecento in molte città dell’Italia comunale, abbandonò il proprio ceto per guidare i populares. Con la sua opposizione alla nobiltà territoriale, pose le basi per lo sviluppo di una nuova aristocrazia cittadina che, pur mantenendo i legami con le proprie origini, puntò sulle potenzialità economiche e politiche di un centro urbano in rapida crescita. Infine, costituì il primo esempio di potere personale esercitato in una città sottoposta a una monarchia e a forte caratterizzazione popolare, esempio che a partire dagli anni Trenta del Trecento fu seguito da alcuni esponenti della nobiltà cittadina fino alla definitiva affermazione di Lalle Camponeschi, fondatore di una dinastia di ‘signori’ sui generis.
Fonti e Bibl.: B. Cirillo, Annali della città dell’Aquila con l’historie del suo tempo, Roma 1570; N. Toppi, Biblioteca napoletana, et apparato a gli huomini illustri in lettere di Napoli, e del regno delle famiglie, terre, città e religioni, che sono nello stesso regno. Dalle loro origini, per tutto l’anno 1678, Napoli 1678, pp. 221 s.; A. Dragonetti, Le vite degli illustri Aquilani, Aquila 1847, pp. 271-273; E. Casti, L’Aquila degli Abruzzi e N., in Rivista contemporanea, VII (1888), pp. 3-16; M. Schipa, Carlo Martello angioino, in Archivio storico per le provincie napoletane, XIV (1889), pp. 17-33, 204-264, 432-458; XV (1890), pp. 5-125 (in part., 62-71); A.L. Antinori, Annali degli Abruzzi, X, Bologna 1971, c. 269r; A. Clementi - E. Piroddi, L’Aquila, Roma-Bari 1988, pp. 21 s.; I registri della Cancelleria angioina, a cura di R. Filangieri et al., XLIII, Napoli 1996, n. 388, p. 74; XLIV, 1, ibid. 1998, n. 115, pp. 30 s.; n. 440, p. 177; n. 482, p. 200; XLV, ibid. 2000, n. 29, p. 25; XLVII, ibid. 2003, n. 425, p. 144; n. 610, p. 216; n. 611, p. 216; n. 621, p. 220; XLVIII, ibid. 2005, n. 57, p. 129; Buccio di Ranallo, Cronica, a cura di C. De Matteis, Firenze 2008, strofi 140-177, pp. 46-55.