DATI, Niccolò
Nacque a Siena da Agostino e da Margherita Angiolieri nel 1458: risulta, infatti, battezzato l'8 agosto di quell'anno (Archivio di Stato di Siena, Biccherna 1133, c. 212v).
Sulle orme del padre, che lo ebbe particolarmente caro, e che con ripetuti inviti lo esortò ad acquistare una vasta ed approfondita cultura letteraria, si indirizzò agli studi filosofici e letterari, aggiungendovi anche quelli medici. Giovanissimo, recitò più volte scritti del padre, come avvenne in occasione della visita a Siena di Alfonso d'Aragona, dinanzi al quale, appunto, lesse un'orazione di Agostino, ricevendone particolari attestati di ammirazione, e di quella di Ludovico Gonzaga, di fronte al quale e all'arcivescovo di Siena, il cardinale Francesco Todeschini Piccolomini (poi papa Pio III), il D. recitò un'altra orazione patema. Tenne poi spesso discorsi politici dinanzi al popolo, conseguendo grande successo. Il D. compì a Siena gli studi di filosofia, avendo a maestro Pietro de' Rossi, che era stato professore anche di suo padre, e che proprio il D. alla sua morte, celebrò come uno fra i maggiori filosofi e teologi contemporanei. Perfezionò gli studi medici a Bologna con un altro celebre maestro, Baverio Maghinardi, al quale Agostino aveva raccomandato il figlio con molto calore. Fu anche a Roma, ma non si sa a quale scopo.
La vita pubblica del D. dovette essere piuttosto limitata. P, certo, comunque, che, nel 1486 occupò l'ufficio, già tenuto dal padre, di cancelliere della Repubblica di Siena, e quindi di scrittore delle lettere ufficiali. Nel 1495 fu fra i Provveditori della Bicchema, magistratura che regolava soprattutto questioni finanziarie.
Il D. morì nella città natale nel 1500 o nel 1501.
Fu sepolto nella chiesa di S. Agostino, nella tomba di famiglia; una lapide, posta a cura della madre, ne ricordava il pregio di avere ereditato "l'eloquio paterno" e la fama raggiunta nella filosofia e nella medicina. Nella lapide (riportata dal De Angelis) era scritto che il D. morì nel 1501: e visse quarantuno anni: questo farebbe pensare che il D. sia morto tra il gennaio e il marzo del 1500 (stile senese; 1501 stile comune) e, pertanto, prima di aver compiuto i quarantadue anni.
Proprio nell'impegno a tener viva l'eredità paterna il D. si distinse con affettuosa dedizione, soprattutto curando la raccolta e l'edizione dell'Operaomnia di Agostino, che poi uscì postuma (a cura del nipote Girolamo Dati) nel 1503. I criteri di tale edizione - preceduta, tra l'altro, da una epistola in editionem laudum paternarum indirizzata a Francesco Todeschini Piccolomini, creato papa proprio mentre la stampa era in corso -, ad iniziare dall'ordine in cui sono disposte le opere, non appaiono sempre felici, e talvolta, anzi, si presentano assai discutibili. Del resto il D. stesso nel suo breve scritto De laudibus eloquentiae, premesso all'Opera del padre, dopo aver affermato di essersi trovato incerto se continuare a perfezionare il lavoro di raccolta degli scritti paterni, e quindi renderlo più preciso ed organico, oppure affrettare i tempi della pubblicazione, dichiara di avere scelto quest'ultima soluzione affinché il nome del padre potesse avere al più presto la gloria che gli spettava, la quale, attraverso la raccolta delle sue opere, sarebbe certamente aumentata. Ancor più discutibile è il comportamento tenuto dal D. nei riguardi delle Historiae Senenses di Agostino, per il fatto che da esse eliminò tutto ciò che poteva presentarsi come critica all'azione di governo compiuta dai magistrati senesi, allo scopo di non urtare Pandolfo Petrucci, signore di Siena, un cui antenato, Antonio, veniva più volte disapprovato da Agostino. Lo stesso D. giustifica questo suo comportamento nel De laudibus eloquentiae, dicendo di aver tolto deliberatamente dallo scritto del padre più cose per non turbare. "mordaci veritate... auriculas teneras": e proprio per questa deliberata condotta, che veniva a presentare l'opera non più nella sua genuina integrità, il D. decise di dare alle Historiae il titolo riduttivo di Fragmenta Senensiurn Historiarum.
Poche sono le opere scritte dal D., e tutte di valore molto scarso: prolisse nella forma, sono generalmente povere e confuse nel!a sostanza. Fra di esse è da ricordare, in primo luogo, un opuscolo sul modo di comporre le lettere cancelleresche, il De Republicae Senetsis scriba. Si tratta di una raccolta di quasi duecento poesie, in cui il D. espone quali debbano essere le attitudini e il comportamento di chi è cancelliere e amanuense della Repubblica (di un certo interesse sono i distici in cui vengono elencate le qualità del giovane aiutante dei cancelliere). Al D. si deve anche il già ricordato De laudibus eloquentiae pubblicato come introduzione ad A. Dathi Opera, Senis 1503 (e poi Venetiis 1516), cc. VII-XIV: è un'operetta a carattere panegirico (celebra in particolare la vita e l'attività del padre) assai prolissa, piena di argomentazioni poco inerenti al tema ed anche poco attente alla verità storica. Delle tre parti in cui è divisa, la più ampia è la seconda che esalta l'eloquenza, soprattutto quella ciceroniana. Sappiamo che il D. avrebbe voluto anche celebrare per scritto le virtù della madre, ma forse ne fu impedito dalla morte. Fra le notizie che il D. ci tramanda sulla sua attività è anche quella di aver provveduto a raccogliere sparse annotazioni scritte dal padre su diverse questioni e parole, circa centotrenta, e di aver dato a questa raccolta il nome di Flosculorum liber.
Per quanto riguarda, infine, la produzione più strettamente poetica del D. (tutta in latino come gli scritti in prosa) a noi pervenuta., e complessivamente assai ridotta, è da segnalare che nel manoscritto fiorentino Riccardiano 991, alle cc. 61r-66r, si trovano sette poesie del D., precedute da una lettera dedicatoria, in cui si esaltano i valori dell'amicizia, rivolta al maestro di scuola Zaccaria da Parma. Alcune di queste poesie sono indirizzate allo stesso Zaccaria; una è scritta per Agostino Patrizi Piccolomini in occasione della sua nomina a vescovo di Pienza; anche le altre sono di argomento occasionale. Ancora due poesie latine del D. sono conservate rispettivamente all'inizio e alla fine dell'edizione delle opere del padre (cc. II, 290r): nella prima viene esaltata la grande dottrina di Agostino, nella seconda è sottolineato dal D. il suo ruolo nel tramandare la produzione paterna. Ricordiamo infine che una poesia era stata composta dal D. per il sepolcro dell'amico medico e filosofo Francesco Mini. Si tratta, complessivamente, di versi di assai limitata importanza, che confermano, anch'essi, la sostanziale povertà poetica non solo del D., ma in generale dell'umanesimo senese, soprattutto alla fine del secolo XV.
Fonti e Bibl.: Notizie varie sul D. si trovano nella sopra citata edizione delle opere del padre (ad es. la lettera a Baverio Maghinardi a c. 130r); in fondi dell'Arch. di Stato di Siena (Balia 406, che è il copialettere dei D.; Biccherna 347), nel cod. 268 della Bibl. comunale di Siena (l'Indice degli scrittori senesi di G. A. Pecci). In opere a stampa parlano del D.: C. Gesnero, Bibliotheca instituta et collecta, Tiguri 1583, p. 623; 1. Ugurgieri Azzolini. Le pompe sanesi, I, Pistoia 1649. pp. 513, 556; G. N. Bandiera, De Augustino Dato, Romae 1733, pp. 79-85, 300-03, e passim; D. Moreni, Bibl. storico-ragionata della Toscana, I, Firenze 1805, p. 317; L. De Angelis, Biografia degli scrittori sanesi, I, Siena 1824, pp. 265 s.; L. Zdekauer, Lo Studio di Siena nel Rinascimento, Milano 1894, pp. 112 ss.; R. Avesani, La biblioteca di Agostino Patrizi Piccolomini, in Mélanges E. Tisserant, VI, Città del Vaticano 1964, p. 17 n. 81; G. Fioravanti, Alcuni aspetti della cultura umanistica senese nel Quattrocento, in Rinasumento, XIX (1979), pp. 129 s., 140 s., 147; Id., Pietro de' Rossi. Bibbia ed Aristotele nella Siena del Quattrocento, ibid., XX (1980), pp. 87, 114 PoiinUniversità e città. Cultura umanistica e cultura scolastica a Siena nel Quattrocento, Firenze 1991; Inventario dei manoscritti della Biblioteca comunale di Siena, a cura di G. Garosi II, Firenze 1990, ad Indices; P. O. Kristeller: Iter Italicum, I-II, ad Indices.