NICCOLÒ dall'Arca
N. da Bari, scultore, fu detto dall'Arca per la sua opera nell'Arca di San Domenico a Bologna. Fu probabilmente, prima del 1463 o tra il 1464 e il '68, a Venezia, ove lasciò un rilievo in terracotta del Presepe, ricordato da Francesco Sansovino. Nel '63 eseguì a Bologna il Santo Sepolcro in Santa Maria della Vita; nel '69 fece la convenzione per il compimento dell'Arca di San Domenico, scolpita nel Duecento da Nicola Pisano e da fra Guglielmo. In Bologna, con evidenti influssi emiliani, eseguì la Madonna di Piazza. Altra sua opera: l'aquila sulla porta di San Giovanni in Monte. Morì il 2 luglio 1494.
Spirito autocritico, morendo, si lamentava di non poter mettere in pezzi le sue sculture; artista impressionabilissimo, trasse dai luoghi che traversò nella vita forme d'arte mutevoli, ma tutte impresse della sua forte personalità. La definizione che di lui diede il Borselli, d'artista "phantasticus et barbarus" si riferiva certamente a opere come il sepolcro di Santa Maria della Vita in Bologna, scolpito dal maestro pugliese con i ricordi recenti di un viaggio in Borgogna, necessario ad ammettersi da chi voglia comprendere la gran furia dell'effetto drammatico, il delirio della mimica, il capriccio decorativo dei drappi spiegati ad ala dal turbine. Anche l'Arca di San Domenico serba impronte dell'arte borgognona nelle statue degli Evangelisti, dei Santi Floriano e Vitale, dell'Eterno al vertice dell'Arca. Ma il coronamento composto come trionfo di festoni, putti, volute con rose e adorni candelabri, anche i due angioli di tipo rosselliniano, mostrano che l'arte impetuosa di N. piega verso gentilezze toscane. Anche di Venezia può scorgersi qualche ricordo nelle belle statue dei santi Francesco e Domenico, come impastate di colore nella loro morbidezza. La fantasia sfrenata della Pietà di Santa Maria della Vita si raccoglie in più tranquilli sogni; la musica selvaggia cede ai ritmi calmi del Rinascimento; lo stile trae nuova grandezza dalla semplificazione italiana. Caratteristico di N. è il morbido spessore di panneggi, di una calda sensualità, come d'impasto, anche nell'angiolo soavissimo, fiorito di ogni eleganza, esile come stelo, contrapposto all'angiolo del Buonarroti, in un'antitesi affascinante della grazia alla forza.
Gran virtuoso del marmo, che prende dal suo lavoro vellutate morbidezze, delicato modellatore, il "barbaro" N. nell'arca di San Domenico, fra ritmi italiani ed esotiche fantasie, gareggia in delicatezze con i più gentili maestri del Rinascimento toscano.
V. tavv. CXIX e CXX.
Bibl.: E. Scatassa, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, II, Lipsia 1908 (con bibl.); A. Venturi, Storia dell'arte ital., VI, Milano 1908 pp. 753-68; A. Sorbelli, Un autografo di Niccolò dall'Arca, in Miscellanea Supino, Firenze 1933, pagine 457-60.