NICCOLO da Reggio
NICCOLÒ da Reggio. – Attivo nella prima metà del XIV secolo, nacque in una famiglia di lingua greca di Reggio Calabria, i Deoprepio (o Theoprepos), come si ricava dall’appellativo di «grecus» con cui compare in diversi documenti.
Alcuni storici hanno a ragione ritenuto che possa essere stato suo nonno paterno il pubblico notaio Niccolò di Theoprepos, attestato a Reggio Calabria nella seconda metà del XIII secolo.
Ricevette probabilmente una buona istruzione, anche se nulla si sa della sua formazione; l’ipotesi che abbia studiato a Salerno è fondata su supposizioni non corroborate da prove. D’altronde, in generale della sua vita si conosce ben poco: appare per la prima volta nella documentazione nel 1308, anno in cui dedica la sua prima traduzione di un testo di Galeno, il De flebotomia, a Roberto d’Angiò, duca di Calabria. Questa traduzione segna l’inizio del suo servizio, durato circa quarant’anni, presso i re angioini di Napoli, in qualità sia di traduttore sia di medico. In un documento del 1322 (Archivio di Stato di Napoli, Registri angioini, 1322 B, cc. 181-182) viene definito «dilectus physicus familiaris et fidelis noster» da Roberto d’Angiò ed è menzionato come medico personale («physicus consiliarius et familiaris domesticus») del fratello del re, Filippo di Taranto.
Si tratta di un beneficio, accordato dal re, del valore di 20 once d’oro annue, una somma considerevole, per la sua «scienza» e la sua «esperienza»; da un registro del 1308 risulta che era incaricato di «tradurre certi libri di medicina dal greco al latino» (ibid., 1309 A, c. 462). Il fatto che il documento del 1322 sia stato redatto ad Avignone ha indotto alcuni storici, come Francesco Lo Parco (1910), ad affermare che Niccolò aveva accompagnato alla corte papale il re Roberto, che vi risiedette dal 1319 al 1324. Secondo Lo Parco, in quella occasione egli avrebbe consegnato al papa un esemplare delle sue traduzioni, rimasto nella biblioteca avignonese; si tratta tuttavia di supposizioni non solo prive di prove ma errate (McVaugh, 2006). D’altronde, il fatto che lo stesso documento affermi esplicitamente che Niccolò era il medico personale di Filippo di Taranto, rimasto nell’Italia del Sud, rende poco probabile un suo soggiorno in Provenza in quel periodo, tanto più che il re era accompagnato dal suo medico personale, Giacomo di Falco di Napoli.
Nulla prova che abbia insegnato allo Studium di Napoli, anche se vi ottenne un dottorato nel 1319.
Tradusse dal greco al latino circa 60 opere di medicina, in larghissima parte costituite da testi di Galeno; volse in latino anche una parte degli Aforismi di Ippocrate e, forse, un trattato di farmacologia di Nicola Myrepsos, medico bizantino del XIII secolo. Più singolare è il fatto che gli venga attribuita la traduzione di un trattato religioso del patriarca Sofronio di Gerusalemme (Biblioteca apost. Vaticana, Vat. Lat. 1204).
Di 56 traduzioni dei trattati di Galeno, Lynn Thorndike (1946) ha fornito il repertorio, che rivela le non casuali scelte di Niccolò: si tratta in particolare di completamenti di versioni incompiute o di nuove traduzioni di testi già disponibili nelle versioni arabo-latine incomplete o insoddisfacenti; è il caso del De juvamentis membrorum, pervenuto in latino attraverso una traduzione del XII secolo della versione araba ridotta, che Niccolò riprese in modo più preciso sotto il titolo De utilitate particularum (1317). Molte traduzioni sono datate, a partire dal De flebotomia (1308) fino al De disnia (1345), segno di un’attività regolare.
Alcuni elementi confermano peraltro che Niccolò scelse le opere da tradurre in funzione di un vero e proprio programma di lavoro. Il prologo del De passionibus uniuscujusqueparticule, datato ottobre 1335, informa che Roberto d’Angiò si era fatto inviare il testo greco dell’opera dall’imperatore di Costantinopoli Andronico III, al quale erano stati richiesti libri di Galeno non ancora tradotti. D’altronde, Niccolò era in contatto con gli ambienti medici: nel 1341 tradusse il De Tyriaca per un Marcolconi da Mantova ed è citato da altri due medici coevi, Guy de Chauliac (morto nel 1368), che considerava le sue traduzioni «di stile più elevato e più perfetto» (Inventarium sive Chirurgia magna, 1997, p. 7) di quelle dall’arabo, e Tommaso del Garbo, morto nel 1370.
Se nell’insieme i medici del Medioevo, come Guy de Chauliac, ne lodarono la qualità in particolare per la fedeltà all’originale greco (Niccolò afferma ripetutamente di voler tradurre i testi «parola per parola», de verbo ad verbum), meno entusiasta, talvolta, è stata la valutazione degli storici, in particolare a causa della modesta qualità formale del testo risultante da un siffatto metodo di traduzione. Ma l’elemento essenziale risiede senz’altro altrove: Niccolò ha permesso ai lettori latini di accedere a numerosi testi di Galeno fino a quel momento del tutto inutilizzati, e la sua fedeltà al testo greco ha consentito di trasmettere più fedelmente gli aspetti tecnici e scientifici delle opere.
Nonostante le loro qualità e l’uso relativamente significativo che ne fecero i medici della fine del Medioevo, tali traduzioni sembrano non aver conosciuto ampia diffusione, e questo per ragioni diverse: in primo luogo, per la maggior parte i testi di Galeno che Niccolò tradusse erano meno fondamentali di quelli già tradotti; in secondo luogo, usi ben radicati fecero sì che le nuove traduzioni fossero utilizzate ma non sostituissero completamente le precedenti, che continuarono a essere citate e regolarmente insegnate. Infine, la dispersione della biblioteca angioina di Napoli dopo il 1348, a causa del conflitto con Luigi d’Ungheria, comportò certamente la perdita di numerosi manoscritti e per questo il numero di testimoni è limitato, essendo molti testi conservati in un unico esemplare. Tuttavia l’integrazione di molte traduzioni nelle compilazioni del Rinascimento, e in particolare nell’Opera omnia di Galeno del 1490, finì per aumentare la diffusione di questi testi, dei quali oggi si è perduta in taluni casi la versione greca.
Dal 1345, data dell’ultima traduzione, si perdono le sue tracce, e non è possibile dire se la data di quell’opera corrisponda a quella della sua morte o al termine del suo servizio presso i sovrani angioini, dato che Giovanna I fu meno interessata dei suoi predecessori al mecenatismo scientifico.
Niccolò da Reggio rappresenta, più che un precursore dell’interesse umanistico per i testi greci, l’ultima grande impresa di traduzione medievale di testi risalenti all’antichità.
Fonti e Bibl.: S. de Renzi, Storia documentata della scuola medica di Salerno, Napoli 1857; R. Sabbadini, Le opere di Galeno tradotte da Nicola de Deoprepio di Reggio, in Studi storici e giuridici dedicati ed offerti a Federico Ciccaglione, II, 3, Catania 1910, pp. 15-24; F. Lo Parco, N. da R., antesignano del Risorgimento dell’antichità ellenica nel secolo XIV, in Atti della Reale Accademia di archeologia, lettere e belle arti di Napoli, n.s., II (1910), pp. 241-317; L. Thorndike,Translations of works of Galen from the Greek by N. da R. (ca. 1308-1345), in Byzantina Metabyzantina, I (1946), pp. 213-235; R. Weiss, The translators from the Greek of the Angevin Court of Naples, in Rinascimento, I (1950), pp. 195-226; I. Wille, Zur Übersetzungstechnik des Nikolaus von Rhegium in Galens Schrift De temporibus morborum, in Helikon, III (1963), pp. 259-277; G. Baader, Mittelalterliche Medizin im italianischen Frühumanismus, in G. Keil, Fachprosa-Studien: Beiträge zur mittlealterlichen Wissenschafts- und Geistesgeschischte, Berlin 1982, pp. 204-254; C.J. Larrain, Galen ‘De motibus dubiis’: Die lateinische Übersetzung des N. da R., in Traditio, XLIX (1994), pp. 171-233; Guy de Chauliac, Inventarium sive Chirurgia magna, a cura di M.R. McVaugh, Leiden-New York-Koln, 1997; M.R. McVaugh, N. da R.’s translations of Galen and their reception in France, in Early Science and Medicine, XI (2006), 3, pp. 275-301.