NICCOLO da Ferrara
NICCOLÒ da Ferrara. – Nacque probabilmente a Ferrara nei primi decenni del Trecento da famiglia sconosciuta.
Appartenente all’Ordine benedettino, si dedicò allo studio delle Sacre Scritture, divenendo «maestro in la Sacra Teologia», come riporta un manoscritto della sua opera storica, la Polyhistoria (Ferrara, Biblioteca comunale Ariostea, Antonelli 596).
Fu attivo in un contesto culturale straordinariamente vivace, caratterizzato da una forte ripresa degli studi teologici presso gli enti ecclesiastici e soprattutto dalla diffusione del primo umanesimo, che proprio nella corte estense, cui Niccolò fu strettamente legato, ebbe un importante centro di irradiazione; la politica culturale degli Estensi portò inoltre alla nascita dello studium cittadino, istituito con bolla papale nel 1391.
Fu abate del monastero ferrarese di S. Bartolo – talvolta citato nelle fonti anche come S. Bartolomeo, importante istituzione benedettina fondata nel IX secolo e situata extra muros, a sud-est della città – nei difficili anni dello scisma d’Occidente, che videro il mondo cattolico lacerato nell’obbedienza prima a due, poi a tre papi. Era in carica nel 1387, come si evince dal manoscritto della sua opera, ma doveva esserlo già da vari anni: era molto probabilmente lui l’abate del monastero ferrarese di S. Bartolo extra muros incaricato da Urbano VI, con una bolla emanata nel castello di Lucera il 7 luglio 1384 (Ferrara, Archivio storico diocesano, Monastero di S. Bartolo, 1/A, III), di esaminare la preparazione culturale di un canonico della chiesa di S. Antonio di Ficarolo, tale Giovanni Tencaroli, in vista della sua promozione a un beneficio.
Era alla guida del monastero il 17 agosto 1390, quando l'intagliatore modenese Tommasino da Baisio si impegnò a eseguire un lavoro per conto del monastero (Archivio di Stato di Ferrara, Archivio notarile antico di Ferrara, notaio Rinaldo Ziponari, matr. 10, pacco 1, schede 1390, c. 73: «promissit [sic] reverendo patri domino Nicolao Dei et Appostolice [sic] Sedis gratia abbati monasteri Sancti Bartholi de propre Ferrariam ac sindico et sindicario nomine dicti monasterii, presenti et stipulanti nomine et vice dicti monasterii, capituli et conventus, facere pro sacristia dicti monasterii duos armarios»).
Rimase abate almeno fino al 1394, come attestano i catastri dell’abbazia, recanti le trascrizioni degli instrumenti notarili riguardanti il monastero; il secondo volume dei catastri si apre infatti con le Soluciones recepte et date Monasterio sancti Bartholi de mense marcii termpore domini N(icholay) Abbatis, incipiendo in MCCCLXXXX e nella parte finale raccoglie trascrizioni di rogiti del notaio Rinaldo Ziponari datati dal 5 dicembre 1393 al 9 febbraio 1394, riguardanti rinnovi di investiture da parte di Niccolò in ottemperanza alla bolla di papa Bonifacio IX del 1391 a favore della città di Ferrara, inserita negli statuti cittadini e costantemente richiamata in queste carte.
Suo grande protettore fu il marchese Niccolò II, signore di Ferrara dal 1361 al 1388, a cui è dedicata la Polyhistoria. La dedica, così come l’esaltazione delle sue gesta politiche e militari, attestano chiaramente l’esistenza di forti legami culturali e politici tra Niccolò e la corte estense negli ultimi decenni del Trecento.
La Polyhistoria, opera complessa ed estremamente erudita, scritta in volgare e datata 1387, non presenta, tuttavia, unicamente finalità celebrative. È la narrazione, assai dettagliata, di una lunghissima serie di eventi posti in successione cronologica dall’origine del mondo al 1383, in un’alternanza e mescolanza di fatti storici e racconti del Vecchio e Nuovo Testamento. È articolata in quattro libri: il primo, diviso in 227 capitoli, narra gli eventi dalle origini del mondo fino alla cacciata dei re di Roma; il secondo, in 134 capitoli, procede fino alla prima guerra punica; il terzo, diviso in 289 capitoli, si chiude con la fine dell’età repubblicana; di particolare rilevanza è il quarto, che inizia con l’ascesa all’impero di Augusto e la vita di Cristo, per arrivare, dopo aver passato in rassegna i fatti di Roma, all’età medievale, analizzando le vicende di bizantini, longobardi e carolingi, l’ascesa del Papato e il suo scontro con l’Impero, fino all’età sveva, a partire dalla quale l’autore inizia a celebrare il casato estense, in una continua alternanza di avvenimenti ferraresi, italiani ed europei. Arriva così a narrare le travagliate vicende del suo secolo, dal Papato avignonese alla legazione dell’Albornoz, ai Visconti e alle imprese di Obizzo d’Este; si sofferma su grandi avvenimenti europei come la guerra dei Cento anni, mostrando inoltre una profonda conoscenza delle vicende politiche dei regni di Ungheria e di Napoli, retti dalla dinastia angioina. L’opera si chiude con il ritorno della S. Sede a Roma.
La Polyhistoria fu a lungo attribuita a fra’ Bartolomeo da Ferrara, cronista assai più noto e appartenente a una generazione successiva, ritenuto suo autore da Ludovico Antonio Muratori, che trascrisse parte del quarto libro nei Rerum Italicarum Scriptores. Studi recenti, tra cui quelli di Gabriele Zanella, ne hanno ricondotto la paternità a Niccolò, come del resto si può evincere dalla chiusa del manoscritto modenese dell’opera, appartenuto ai Rangoni: «Compiuto è lo libro de Polistoro peremi facta Nicola da Ferrara maestro in la Sacra Teologia et humile abbate del Monastero de San Bartholo appresso Ferrara. In mile CCCLXXXVII adì XXV del mese di Septembre». Assai eloquente è anche la dedica del manoscritto Cl. I, n. 490 di Ferrara, copia di Roberto di Giovanni di Gavello, in cui si legge: «fra Nicolò da Ferrara de l'ordine de San Benedetto et Maestro in la sacra teologia». Muratori segnala anche l’esistenza di un manoscritto veneziano, mentre un secondo codice ferrarese contiene un estratto del primo libro, copiato da Alessandro Sardi nel Cinquecento.
Niccolò morì entro il 1400, quando il monastero divenne commenda di Ugo de Roberti da Tripoli, patriarca di Gerusalemme.
Rimasta di fatto senza guida, l'abbazia dovette sprofondare in una gravissima crisi, poiché nel novembre 1400 risultavano in capitolo soltanto un priore claustrale e due monaci.
Fonti e Bibl.: Ferrara, Archivio storico diocesano, Monastero di S. Bartolo, 1/A, III; Ferrara, Biblioteca comunale Ariostea, Antonelli 596; 489a; Cl.I, n. 490, cc. 139; Polyhistoria ... ab anno MCCLXXXVII usque ad MCCCLXVII, italice conscripta, a cura di L.A. Muratori, in Rerum Italicarum Scriptores, XXIV, Milano 1738, pp. 697 s., coll. 699-848; G. Sardi, Historie ferraresi, Ferrara 1556; A. Libanori, Monaci illustri della badia di S. Bartolomeo di Ferrara, Ferrara 1650; F. Ughelli, Italia sacra, III, Roma 1650, pp. 557 s.; A. Libanori, Ferrara d’oro imbrunito. Parte II, Ferrara 1670; A. Lubin, Abbatiarum Italiae brevis notitia, Roma 1693, p. 132; R. Creytens, Barthélemy de Ferrare O. P. et Barthélemy de Modène O. P. deux écrivains du XVe siècle, in Archivum Fratrum Praedicatorum, XXV (1955), pp. 346-375; A. Ostoja, L’antica abbazia benedettina di S. Bartolo alle porte di Ferrara, Ferrara 1959; A. Alecci, Bartolomeo da Ferrara, in Dizionario biografico degli Italiani, VI, Roma 1964, pp. 718-720; A. Franceschini, I “catastri” dell’abbazia di S. Bartolomeo fuori le mura di Ferrara, in Benedictina, XXII (1975), pp. 39-49; G. Zanella, Riccobaldo e dintorni: studi di storiografia medievale ferrarese, Ferrara 1980; A. Benati - A. Samaritani, La chiesa di Ferrara nella storia della città e del suo territorio, I, Secoli IV-XIV, Ferrara 1989, p. 244; Repertorio della cronachistica emiliano-romagnola: secc. IX-XV, a cura di B. Andreolli, con introduzione di A. Vasina, Roma 1991, pp.183 s.; A. Franceschini, Artisti a Ferrara in età umanistica e rinascimentale. Testimonianze archivistiche, I, 1341-1471, Ferrara 1993, pp. 42 s., nn. 75, 79; L. Chiappini, Gli Estensi, Varese 2001, pp. 82-89; G.L. Bruzzone, Antonio Libanori: cistercense e studioso, in Analecta pomposiana, XXVII (2002), pp. 231-293.